La guardai, la spogliai dei vestiti e del corpo. La vedi dentro, bella, forte e donna. La donna che pensavo sarebbe diventata, bella, forte e soprattutto donna. Mi innamorai di nuovo, come ogni volta. La volevo stretta al mio corpo, volevo i suoi graffi sulla schiena, i morsi sul collo. L'avrei presa lì, ci avrei fatto l'amore, ancora una volta, per una nuova prima volta. "Quanto resta il tuo amico?" non c'era traccia d'affetto, ero famelico, la volevo. Lì. Sul quel letto dove tante volte avevamo dormito insieme, a volte senza mai toccarci, di schiena, arrabbiati. La porta conteneva sempre poesie, le pareti contenevano sempre foto. Paesaggi, amiche, lei al mare, lei in città. Quella cornice con la foto dei suoi genitori, sulla scrivania, un affetto smisurato, nonostante tutto. Il disordine, in stanza come nella mente, i cd messi in ordine, i libri catalogati. Tutto come un tempo, come se nulla fosse mai cambiato. "Domani mattina".
Serrai la mascella, mi imposi di restare calmo, la guardai e mi calmai. "Hai ancora la chitarra? Prometto che faccio piano". Tirò fuori la chitarra, e l'appoggiò sul letto. E poi mi guardò, stava aspettando la canzone, e non sapevo che canzone. Continuavo a guardare i suoi ricordi, appesi alle pareti e cercavo di trovarne uno nostro. Non c'erano, di me non c'erano ricordi. Iniziai a strimpellare qualcosa, senza importanza senza farci caso. Stoppò la mia musica "Cosa hai? Perché suoni triste?" mi guardai intorno, e i miei occhi si posarono sui suoi "Non c'è niente di me" una scintilla di rabbia sfiorò i suoi occhi, e allora ancora, la vidi dentro, bella, forte, donna. "I ricordi si tengono di chi se ne va, non di chi nonostante tutto resta".
"Vieni qui"
Pochi movimenti, misi solo via la chitarra e lasciai appoggiarsi su di me. I capelli, il profumo, la voglia di prenderla, la mascella tirata, la poca forza che ho di contenermi. "Ti amo". Due parole, mai tanto vere come questo momento. Potevamo essere ovunque, l'importante era insieme. Due settimane senza di lei erano state un incubo, un continuo sentirsi incompleto. "Sei così sexy" mi sorrise, e iniziò con la sua dolcezza a baciarmi il collo ed il viso, e al contempo con la sua sicurezza iniziò a provocarmi l'erezione che premeva sui pantaloni. In un attimo i nostri occhi si incrociarono, i nostri cuori si sfiorarono e tutto ciò che i nostri corpi volevano, fu fatto. La misi sotto di me, senza preoccuparmi di estranei in casa, di come ci saremmo distrutti, il sangue scorreva caldo e veloce nelle vene, avevamo bisogno di sentirci amati, voluti. Dovevamo farlo, unire i nostri corpi adagiandoli alla perfezione, fu fatto. Era come stare in paradiso dentro di lei, sentirsi felice e appagato, gli istinti calmati. Avevamo raggiunto il nostro luogo. Sentirla irrigidirsi sotto di me, la schiena che si sforza, gli occhi che d'istinto si chiudono. "Aprili" li aprii ed io mi persi. Le premetti una mano sulla bocca, mentre navigavo nel grigio dei suoi occhi. Lei fissò i miei, neri, impenetrabili da tutti tranne che da lei. "Resta con me Sarah, perché io sono solo dove tu sei". "Resta con me Alex, perché ovunque tu sarai io sarò".
La mattina mi svegliai per primo, le accarezzai i capelli facendo attenzione a non svegliarla. Lessi le poesie sulla porta, sempre le stesse. Tranne una, una non l'avevo mai vista ma doveva averla messa quando ancora abitava in Italia, il foglio rovinato e mezzo staccato me lo facevano capire. Mi pianse il cuore a leggere quelle parole, qualcosa in me si spezzò di nuovo.
"La sigaretta che si spegne piano.
All'affievolirsi delle mie parole
Leggo ciò che scrivo, e che tu non hai letto mai.
Mi accompagno con il suono di un basso.
Inciso nella mia mente.
Immagino le tue dita, sicure sulle corde.
Poi le sposto, sicure sul mio corpo.
Ma è finzione, perché
Io e te, sicuri non li siamo stati mai.
La sigaretta che si spegne piano.
All'affievolirsi delle mie parole.
Con la speranza che non ho mai voluto abbandonare.
La sigarette che si spegne piano,
gli occhi che si chiudono,
il suono che riconosco.
Le parole che conosco a memoria.
Ma non conosco più te".
"Non conosco più te", quanto tempo fa l'avrà scritto? Davvero era arrivata a credere di non conoscermi, lei che di me conosceva ogni sfaccettatura, ogni gusto, ogni parte di me. Come ha potuto credere di non conoscermi, come ha potuto credere che per me era tutto passato ed io come sono riuscito per anni a farglielo credere. L'aria in quella stanza mi mancava, mi faceva sentire sull'orlo del precipizio, c'erano troppi ricordi, le cose erano uguali. Le cose erano troppe uguali. La guardai dormire, completamente serena. E iniziai a immaginarmela, che scriveva veloce sul suo computer, con le solite canzoni in sottofondo, la vidi torturarsi i palmi nei momenti di stress, abbracciata ginocchia al petto a guardare il vuoto nei momenti in cui la mancanza era troppa. E poi me la immaginai diversa, fuori con le amiche a ridere e ad essere felice, abbracciata ad altri, cantare con altri. La vidi rileggere ciò che aveva scritto, scuotendo la testa e criticando il livello a cui era arrivata nei momenti più bui. La vidi con altre persone, con altri corpi stretti al suo. Mi pianse il cuore, e nonostante stessi solo immaginando tutto mi sentivo adirato, la mascella contratta ed i pugni chiusi. Mi buttai sotto la doccia gelida, per scacciare via i pensieri.
"Oh scusa non sapevo ci fosse qualcuno" Ero girato di spalle, mi stavo passando l'asciugamano sui capelli ma quella voce la riconobbi subito. Non era lei, era Luca, e anche se il mio cervello con solo il nome non ci sarebbe mai arrivato, la voce era inconfondibile. Non era "un compagno di classe", era "il compagno di classe". Mi scrisse più volte dopo che io me ne fui andato da lei, non lo vidi mai, mi chiamò ed io feci lo stronzo, come ogni volta. E dopo un po', lei diventò sua. Mi girai, con la schiena dritta e la testa alta "Immagino tu sia Luca" sorrise beffardo "E tu sempre Alexander, sei ancora qui". Gli avrei spaccato la faccia, più che volentieri, ma non potevo, non potevo farle questo. "E determinato a rimanere".
Uscii dal bagno, e andai a prepararmi un caffè, lo preparai anche a lei, tanto lo sapevo che le piaceva freddo, in preda all'ansia di aver incontrato quella persona, le rubai una sigaretta e mi misi a fumarla in balcone. Sentii dei rumori provenire dalla sua camera, si era svegliata, e io le portai il caffè. Mi fermai prima che mi vedesse, in camera c'era l'amico, stavano parlando.
"Glielo dirai?" cosa doveva dirmi, "No Luca, non lo so." Dovevo ascoltare o non ascoltare?
O生BX
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Capita e poi Passa
RomansaLei da bambina a donna, mentre lui non c'era. Lui completamente in bilico, un'assidua paura di perdersi. Un amore incondizionato, che dura da una vita. Si leggevano dentro, e si amavano. Ma basterà a tenerli insieme, o si perderanno, anche questa vo...