5. PICCOLI PER SEMPRE

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Quella ragazza era impossibile da sopportare, era fastidiosa. Era l'ottobre 2006, la vidi in classe che leggeva un libro, non lessi il titolo e nemmeno me ne interessai, avevo sedici anni cosa me ne interessava di leggere. Alzò lo sguardo e mi vide, sbuffò leggermente e io risi facendole una smorfia. Faceva migliaia di gesti stupidi, alzava gli occhi al cielo, sbuffava, si strofinava i palmi sui jeans, mordicchiava le labbra. Era il punto d'incontro perfetto tra un carattere forte ed una profonda insicurezza. Mi fece cenno di avvicinarmi e io lo feci sorridendo e provocandola. "Ciao, Alexander giusto?"

Conosceva il mio nome? Io sapevo solo che era una primina rompiscatole che forse rischiava una sospensione, e così sbagliai e le chiesi di quella "Tu sei quella che forse verrà sospesa?". Pensai che si sarebbe alzata e lasciato li da solo come un idiota in una prima ed invece no, chiuse il libro e mi rispose "Si, un peccato vero per chi ha una media dell'otto?" e iniziammo a parlare. Da lì le cose si fecero sempre più facili, alla mattina l'aspettavo alla fermata. Andavamo a comprare le sigarette e ci bevevamo qualcosa, lei mi faceva domande sulla mia vita, le mie ambizioni i miei sogni, ed io mi sorpresi di averne così tanti. Rideva molto, e faceva ridere anche me, diceva che amava la mia risata ed io rispondevo che probabilmente ci sentiva male. Eravamo così diversi, lei aveva la pelle chiara e gli occhi indescrivibili, io la pelle scura e gli occhi neri. Lei diceva di amarli e io passavo ore a cercare di capire di che colore avesse gli occhi. La nostra conoscenza per un lungo periodo si fermò solo alla mattina e quelle sei ore da scuola. Non messaggiavamo, non ci telefonavamo. Sapeva che mi facevo le canne, e che il sabato sera bevevo sempre. Ma non mi aveva mai visto, ne sentito in quei momenti. I miei amici mi chiedevano cosa mi passasse per la testa, ero sempre distratto, affascinato da qualcosa che loro non comprendevano, così decisi di parlare di lei. Mi presero in giro, e poi commentarono che "questa è davvero caduta ai tuoi piedi, cazzo amico, vedi che apre le gambe in pochissimo tempo". Io risi, una risata da fatto, e annuì. Non ero cattivo, ma lo pensavo anche io, quella ragazza con me diventava un'altra. Non era il topo di biblioteca che era in classe, faceva discorsi strani, parlava di cosa la eccitava, di cosa la spaventava del sesso. E io commentavo, e l'ascoltavo. E allora si, perché no? Magari avrebbe aperto le gambe: scommetiamo?

E così iniziò quel lungo gioco, la provocavo, lei ci stava. Avevo sedici anni, e sicuramente ero abbastanza cretino e oltretutto fidanzato.

Ci perdemmo e riprendemmo tante volte in quei sei mesi, quando c'era mi portava i Donuts a scuola, mi ascoltava lamentarmi della mia ragazza, della mia famiglia, e quando non c'era io non ci pensavo: fumavo e bevevo. Un giorno se ne andò, disse di odiarmi e se ne andò, io ero in crisi con la mia ragazza e avevo bisogno di lei. O era abitudine? Non riuscivo a capirlo, erano solo sei ore al giorno, ma dopo quelle sei ore? Lei era davvero importante? Mi mollai con la mia ragazza, e sembrerò uno stupido ma volevo morire. Ora se guardo indietro nel tempo mi rendo conto che era una cosa assai infantile, tipica di amori adolescenziali e illusori. La cercai, la scuola era finita ed io la cercavo ovunque. Ma appunto non sapevo cosa facesse durante il giorno, dove stava, dove abitava. Inizia a chiamarla, un po' ma non troppo. Fin quando non mi rispose e da lì iniziò il tutto. Corse da me, e mi aiutò a risollevarmi. Io bevvì tantissimo in quel periodo, e lei puliva il mio vomito, i miei stavano divorziando e in casa non volevo starci. Lei iniziò ad aprir le porte di casa sua, i suoi mi conobbero e diventammo una grande famiglia. Dormivamo in camere separate, avevo un mazzo di chiavi e portavo a spasso il suo cane. Non ci baciammo ne facemmo sesso. Eravamo una famiglia, quasi fratelli. Passavamo i pomeriggi a guardare le serie tv che amava tanto, le suonavo sempre qualche canzone prima di andare a letto. Mi obbligò a leggere libri, un giorno mi disse che aveva imparato i miei lineamenti a memoria e che non mi avrebbe mai dimenticato ed io le risposi che non ce ne sarebbe stato bisogno. Diventammo una cosa sola, imparai che odiava la nocciola dentro gli m&m's e allora gliela mangiavo io, imparai che amava il caffè con l'acqua fredda e ogni mattina glielo facevo trovare pronto. Stetti a casa sua per un mese, ed in quel mese ci unimmo da far paura, dormivamo insieme alcune sere. Aveva il respiro pesante, scalciava, e parlava nel sonno ma la adoravo comunque. Io tornavo a casa tardi, ubriaco fradicio o vomitavo ogni cosa che avessi fumato quella sera: lei si prendeva cura di me ed inventava scuse con i suoi. Alla domenica andavamo da me a mangiare, mia mamma l'adorava. Le sue amiche la prendevano in giro "Hai quindici anni e già sembra che convivi con uno? Sei pazza" e forse sì, pazza la era. Ma era pazza di me, mi amava, ed io non riuscivo a capirlo. Finchè, quando fui tornato a casa mia e il nostro rapporto continuava a persistere ammise di amarmi. In quel momento mi resi conto che quella ragazza mi piaceva, ed eccitava. La baciai, presi la patente e la portai al mare. Lo facemmo in hotel, e poi sulla spiaggia. Le accarezzai la pelle nuda, le baciai le clavicole e le lasciai segnare le mie, e poi io segnai lei, per sempre. Era innamorata di me, ed io non capivo più se amavo più me stesso o lei. Diventammo ancor più inseparabili di prima, tornai più volte a dormire a casa sua, e a svegliarla con dolci carezze sui capelli. Si aveva aperto le gambe, ma non era più una scommessa. Un giorno, ad una partita: conobbi una ragazza, si chiamava Laura. E non capii più nulla: Sarah era abitudine o amore? Era piccola, ed era così diversa da me. La lasciai sola, ero innamorato di lei ed ero convinto che sarei finito ad essere un ubriacone che viveva con i soldi dei proprio genitori. Lei era una stella, anzi era la stella. Lei era il sole, piena di ambizioni, di sogni e sapevo li avrebbe realizzati. Non pensai mai "Non mi merita", sapevo che mi meritava, perché sapevo che con lei riuscivo ad essere tremendamente buono, solamente dovetti compiere una scelta. Abitudine o amore? Decisi fosse abitudine, e la lasciai sola. Mesi dopo mi misi con Laura, e con lei parlai sempre meno, fino a scomparire. Laura imparò a conoscermi, ed io iniziai a cambiare: niente fumo niente alcol. Diventai il bravo ragazzo che lei voleva, e feci di tutto per quella quasi donna. Le tolsi la verginità, e me ne innamorai perdutamente. Non ho mai realmente capito se si potesse davvero amare così tanto due volte, o se Sarah fosse stata solo uno sbaglio adolescenziale.

Bussavano alla porta, mentre ero perso nei miei pensieri , andai ad aprire abbastanza tranquillo "Stasera vieni vero? Devi venire?". Max e Mark, che praticamente urlavano, ma tanto urlavano sempre. Non capivo dove dovessi andare e perché sembrava una cosa così importante. "Dove?" mi spiegarono che c'era un falò in spiaggia a qualche chilometro da lì, e continuavano ad urlare dicendo che sarebbe stato fantastico, una delle serate più belle della mia vita. Un fuoco in spiaggia, non capivo qual era la parte "bella" solo abitudine, ne avevamo fatti tanti di falò negli anni. "Certo che ci vengo ragazzi". E quella sera tutto cambiò di nuovo.

Capita e poi PassaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora