Capitolo 1

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17 ANNI DOPO

"Lucrezia svegliati! Aiutami a preparare la colazione per i signori!" la ragazza si stiracchiò sbadigliando, la luce dell'alba splendeva tenue attraverso gli scuri di legno illuminando i pulviscoli nell'aria come fossero una pioggia dorata. Lucrezia si alzò rabbrividendo al contatto col freddo impiantito di pietra. Riempì il catino d'acqua e vi immerse il viso, gesto che compieva abitualmente ogni mattina per svegliarsi completamente. Si pettinò i lunghi capelli color rame in una treccia e indossò l'abito da cameriera di cotone blu con il grembiule rosso i colori del casato degli Aringhieri, la famiglia che serviva da ormai sei anni. Si recò con passi svelti verso i locali adibiti alla cucina preparandosi alla giornata che la aspettava. La sera ci sarebbe stato un ricevimento a palazzo, a cui avrebbero presenziato le famiglie più illustri della città. "Che devo fare oggi Vannozza?" chiese la ragazza facendo il suo ingresso nelle cucine. "La contessina ha chiesto espressamente una torta di more quindi devi tagliarne una fetta e portarla nei suoi appartamenti insieme al resto della colazione" Lucrezia annuì disponendo su un vassoio d'argento un bricco di latte, una fetta della crostata e due fette di pane farcito d'uva. "E tesoro?" la chiamò Vannozza.
"Si balia?"
"copriti quei capelli rossi, sai bene che la contessa non li tollera!" Lucrezia fece un cenno con la testa e si allontanò con il vassoio. Sapeva che Vannozza l'aveva redarguita per il suo bene ma nonostante questo soffriva terribilmente nel rinnegare così il suo aspetto, le piacevano i suoi capelli nonostante molti considerassero il rosso come il colore del diavolo per lei erano parte della sua identità, una traccia di quello che era, qualcosa che la legava a coloro che le avevano dato la vita così come i suoi occhi dorati costellati di tante piccole pagliuzze più scure. Allo Spedale era stata educata a tenerli sempre bassi, le donne, le dicevano e specialmente le serve, non dovevano mai alzare gli occhi ma dovevano mostrare ubbidienza e sottomissione. Era stata una battaglia lunga quella tra lei e le severe educatrici del Brefotrofio dove era cresciuta: fin dai più teneri anni le avevano detto che il suo sguardo faceva paura, era troppo diretto, sembrava che potesse leggere nell'anima delle persone ma lei si rifiutava di abbassarlo, non si sarebbe prostrata in presenza di Dio, figurarsi davanti a degli esseri umani. Tuttavia, con il tempo, stanca delle continue punizioni che le infliggevano a causa di quella sua vena ribelle aveva finito per adottare l'atteggiamento che ci aspettava da una donna di modeste condizioni come lei ma il suo spirito indomito, seppur sopito continuava ad albergare in lei destandosi in rare occasioni.
Lucrezia sospirò, era ormai ora di recarsi a svegliare Bice, la figlia minore del conte e della contessa nonché ragione per cui lei era stata presa a servizio: il suo compito principale era assistere la giovane contessina, aiutarla a vestirsi, a svestirsi, accompagnarla nelle sue passeggiate in carrozza, leggere per lei e prestarle un occhio vigile. Avrebbe dovuto ringraziare per quell'impiego, ne era consapevole, aveva avuto la fortuna di ricevere un'istruzione seppur rudimentale per merito di Suor Agnesa una donna che, vedendo l'intelligenza acuta della bambina, le aveva insegnato a leggere a scrivere e a contare. Suor Agnesa... savrebbe dovuto andarla a trovare, dello Spedale lei era quella che le mancava di più, forse l'unica che le mancasse davvero, era probabilmente la cosa più vicina a una madre che lei avesse avuto. Era stata lei a trovarla sul portone in quella notte di tempesta diciassette anni prima. "Lucrezia!" la voce di Bice la sottrasse prepotentemente alle sue elucubrazioni "Lucrezia dove è la mia colazione?"
La ragazza sospirò: talvolta la contessina sapeva essere insopportabile. "Ecco mia signora" disse entrando nella stanza di Bice "Vi ho portato anche la torta di more come avete ordinato" Aprì le tende illuminando la camera. Bice, sorretta da una moltitudine di cuscini di piume rivestite da stoffe damascate stava giocherellando con una ciocca dei lunghi capelli dorati. Lucrezia si avvicinò all'imponente letto a baldacchino e porse il vassoio alla giovane che vi sedeva. "Non vedo l'ora di vestirmi per la festa di stasera, mia madre mi ha fatto confezionare un abito nuovo, è di broccato, dice che si intona perfettamente ai miei occhi!"
"L'ho visto signorina, sono sicura che vi starà d'incanto!" rispose mentre allestiva l'occorrente per la toeletta del mattino. Bice, nonostante avesse solo quattordici anni era estremamente vanitosa, le piaceva che tutti apprezzassero la sua bellezza candida, cercava l'approvazione da parte di tutti. Anche Lucrezia aveva imparato a volerle bene, la padroncina era sempre stata gentile con lei, inoltre ogni sua mossa era dettata dalla purezza tipica dell'infanzia che nonostante fosse ormai in età da marito, non era scomparsa. Lucrezia si augurò che questa sua dote così peculiare non svanisse con il matrimonio e la conseguente presa di coscienza della realtà. Bice aveva vissuto tutta la sua vita all'interno del palazzo, salvo rare occasioni e non riusciva a comprendere l'esistenza della povertà, del dolore, della morte. Per lei ogni giornata trascorreva alla stessa maniera: si alzava, Lucrezia l'aiutava ad acconciarsi, assisteva alla messa della mattina, talvolta prendeva lezione di musica, talvolta Lucrezia leggeva per lei, poi andava a riposare, spesso trascorreva i pomeriggi a disegnare con un carboncino o a ricamare e, dopo un ricco banchetto in compagnia del conte, della contessa, del fratello e di qualche sporadico ospite si recava in camera da letto dove Lucrezia la faceva coricare. L'attività più interessante che le era concesso di fare era passeggiare in carrozza una volta a settimana e sempre lungo zone sicure della città, in modo che nessuno potesse aggredirla o attentare alla sua preziosa vita. Lucrezia era costretta a seguirla e ad esaudire ogni suo capriccio, prestandole sempre un occhio vigile. "E' l'ora di vestirsi mia signora, vostra madre ieri sera mi ha chiesto di comunicarvi che vi attende nella sala del ricamo prima della funzione del mattino" La ragazza sbuffò corrugando le labbra in un'espressione che la fece sembrare ancora più giovane di quanto non fosse. "Cosa vorrà mia madre? Sicuramente avrà qualcosa da ridirmi, non le va ma bene quello che faccio".
"Sono sicura che non è così, ora sedetevi così posso pettinarvi"
Bice fece come le veniva detto e Lucrezia cominciò a intrecciarle i capelli in due trecce che poi appuntò sul capo coprendole con una retina decorata con piccole perle lucenti. Le fece poi indossare un semplice abito di velluto azzurro ricamato con un filo d'argento sulla scollatura. La ragazza si contemplò allo specchio soddisfatta del risultato "Grazie Lucrezia! Come al solito sai fare miracoli!" le disse prima di sparire dietro la porta, pronta ad affrontare la madre. Lucrezia si lasciò cadere sulla sedia della toeletta: le braccia le dolevano per lo sforzo, non era semplice pettinare i capelli di Bice. Fissò il suo riflesso allo specchio come se le potesse dire qualcosa "Chi sei?" chiese alla ragazza che la fissava. Era Lucrezia Innocenti. Trovata sulla porta dello Spedale. Era orfana o peggio, abbandonata. Ma chi era veramente? Allentò i lacci della cuffia lasciando che i capelli le ricadessero sulle spalle. Era bella e lo sapeva. Il viso ovale aveva una forma aggraziata, le labbra a cuore di un bel colore vermiglio lasciavano intravedere i denti piccoli e diritti; il naso leggermente all'insù le dava un'aria aristocratica; ma gli occhi, gli occhi tradivano la sua vera natura; erano del colore dell'oro colato, chiunque li guardava ci si perdeva dentro, era uno sguardo fiero, ribelle, passionale, affascinante,si poteva restarne incantati, si poteva averne paura, si poteva esserne turbati ma era impossibile dimenticarselo. Le avevano insegnato che quegli occhi e quella chioma le avrebbero portato innumerevoli problemi, il rosso era il colore delle fiamme dell' inferno, il giallo quello degli occhi di satana e lei, per sua somma sfortuna li possedeva entrambi.

"Fanciulla mia cosa fai seduta qui? Con tutto quello che c'è da fare oggi non puoi permetterti di perdere tempo" la redarguì Vannozza affacciandosi alla porta della camera. "Scusa Vannozza, ho avuto un capogiro, ma ora è passato. Vengo subito!"
"Va bene cara. Oggi dovrai acconciare la contessina con una cura particolare ... disposizioni della contessa."
"Qual è il motivo di cotanta apprensione?" chiese Lucrezia inarcando un sopracciglio.
"Tienitelo per te bambina mia ma, a quanto si dice, oggi Bice verrà presentata al suo promesso sposo, un aristocratico che discende da una delle più antiche famiglie di Roma"
"Ma...non è possibile. Bice è ancora così infantile. Non è certo pronta ad assolverei doveri di moglie!"
"Non sono problemi che ci riguardano Lucrezia. E ora aiutami a fare il letto"
La ragazza cominciò a rassettare le lenzuola in modo automatico lasciando i pensieri liberi di vagare per la sua mente: come potevano pensare di dare Bice in sposa a qualcuno? Era ancora così candida, così simile a una bambina, non era ancora pronta per la vita matrimoniale fatta di doveri coniugali e responsabilità. E di lei che ne sarebbe stato? Era la dama di compagnia della contessina ma se si fosse sposata l'avrebbe portata con lei? Ma soprattutto lei avrebbe voluto seguirla?

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