Capitolo 1.

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Prima persona (sara)
Oggi.
-Svegliati. Insomma, svegliati-
Gridava. Già, mia madre sapeva bene che sarebbe stato difficile anche per un masso svegliarmi. Ma, mia madre non mi farebbe perdere il primo giorno di scuola per niente al mondo. È così, mi svegliai.
-Arrivo- Dissi, o almeno, cercai di farlo, la mia stanchezza era talmente tanta che non riuscivo a parlare. Eravamo arrivati in quella casa quella stessa notte, e all'incirca avevo dormito 4-5 ore.
-
Alzo leggermente la testa, per poi ributtarmi nel lenzuola e infilare la testa sotto il cuscino. Non sono assolutamente pronta per un primo giorno di scuola. Dovrò conoscere delle persone, che già tra di loro si conoscono. Sará una vergogna per me , anche perché sono poco socievole, per non dire, per niente socievole. Ho 15 anni e non ho mai avuto nè degli amici nè un fidanzato.
Sará per il mio aspetto goffo e lo sguardo serio. Non É colpa mia se indosso due paglia di occhiali rossi e un sorriso a 30 denti con in vista un divertente apparecchio.
E non dimentichiamo, non posso andare in giro senza aver attorcigliato e sistemato i miei capelli con frangia in una lunga coda di cavallo. E se non è perfetta,non esco di casa.
-Vuoi arrivare in ritardo il primo giorno di scuola?- chiede mia madre retoricamente.
-Di seconda superiore. E non conoscerò nessuno, sarà una faticaccia socializzare-
-In Italia è diverso. É stato bellissimo trasferirsi. Finalmente a Casa.-
Esulta mia madre.
Già. Quando sono nata mio padre era già morto, e mia madre ha voluto trasferirsi in America per dimenticare. Naturalmente non ha dimenticato nulla. Mio padre non c'è più per colpa di un incidente. Sono vissuta senza un padre, senza una spalla maschile, una figura maschile , un appoggio maschile. Quando le persone lo vengono a sapere, si dispiacciono con me. Di cosa mi dovrei dispiacere? Io non l'ho nemmeno mai visto mio padre. Cioè, in foto. Mia madre e mio padre si volevano molto bene.
Credo che qualche volta, avrei bisogno di un'altro genitore, ma ormai me ne sono fatta una ragione.
Adesso siamo ritornate in Italia, nella città in cui sono nata, Lecce, dove É morto mio padre. Questa città É mancata molto a mia madre.
Lei non mi ha mai voluto dire il motivo del nuovo trasferimento, e penso che mai me lo dirá. Ogni volta, cerca di cambiare argomento.
-Sei pronta?-
-Andiamo- dico io, affannata per aver sceso di corsa le scale con lo zaino pieno.
Salgo in macchina e ho mille pensieri per la testa. Sono ansiosa, sono sempre stata ansiosa. Ho paura. Ho anche molta paura. Ho paura di essere giudicata, di essere rifiutata, di non essere considerata. Se la mia vita non cambierà, resterò infelice per sempre.
Mentre penso a me e al mio futuro, siamo arrivate.
-Di già?-
-La scuola è vicina, ahahah, mi dispiace, questo era il primo e ultimo giorno che ti ho accompagnato in macchina-
Mia madre sembra molto divertita. Scendo dall'auto sbuffando. E, alzo gli occhi. Ho davanti a me la scuola superiore più importante di Lecce, "liceo classico Palmieri" migliaia di ragazzi che corrono e ridono, e zaini ovunque, muretti , telefoni , libri.
Saluto mia madre e procedo avanti, con le spalle alzate e con passi decisi, per sembrare più determinata.
C'è un simpatico bidello alla porta della scuola. Mi avvicino, e con scarsi risultati, cerco di fare la simpatica.
-Ciao, sono Sara!- esclamo al bidello. Fortunatamente ricambia con mio stesso tono di voce, guardandomi con aria allegra.
Terza persona (Narratore)
E così Sara si avviò in quella scuola, senza mai poter sapere quello che gli sarebbe accaduto, cosa gli sarebbe capitato, quale emozioni avrebbe provato.

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