Kagakuro (red)

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L'ombra che protegge la luce...

Un fantasma, ecco quello che sono, un ragazzo invisibile agli occhi di tutti: dei miei amici, dei miei familiari, dei miei compagni di squadra e, per mia fortuna, anche dei miei avversari.

"Oggi Kuroko non c'è, quindi possiamo iniziare!"

"Mmh, dov'è Kuroko?"

"Qualcuno ha visto Kuroko?"

Quante volte ho sentito pronunciare queste parole, pur essendo proprio davanti alle loro palpebre.
Quante volte sono scomparso dalle memorie della gente, rimpiazzato da un'ombra fugace o una semplice sensazione.
Ormai ho perso il conto...

Ho sempre creduto che essere il "sesto uomo fantasma", fosse l'unico modo per proteggere i miei compagni, supportarli nelle loro giocate, nei loro attacchi, permettere loro di arrivare alla tanto desiderata vittoria. Restare nell'oscurità del campo e comparire solo pochi attimi, per poi ripiombare nuovamente nel dimenticatoio. Questo ho sempre fatto, sempre, ma tutto cambiò nel momento in cui lo vidi schiacciare.
Quei capelli rossi che vibravano tra l'aria, quella maglia che si muoveva al ritmo della folata di vento, sprigionata dalla sua grande mano sulla palla dura, quegli occhi tenaci, colmi di determinazione, quei muscoli possenti che sembravano volare sopra il campo da gioco, mi catturarono fin dal primo istante.

Tutto il suo corpo sembrava volteggiare all'altezza del canestro, quasi come volasse, mentre che, con irruenza, insaccava la palla nella rete, come un leone che dà il colpo finale alla sua preda.

Fu in quel momento, che intravidi per la prima volta, la luce per cui avrei voluto tanto battermi, la luce che avrebbe creato la strada con le sue stesse mani, pur di raggiungere il suo obbiettivo.

Fu allora che scelsi la luce rossa dell'ardore, come la creatura da proteggere in ogni circostanza...

"Kuroko..."-mi sussurrò una voce, risvegliando i miei occhi dal sonno che si erano concessi.

"Aka-gami-kun..."- bisbigliai tra i denti, schiudendo dolcemente le palpebre.

"Ti sei di nuovo allenato fino a tardi?"-domandò il Rosso sorridendo caldamente alla mia espressione svampita.

"Non lo so... Forse..."-risposi distogliendo lo sguardo, portandolo dietro di me, cercando di capire dove fossi.

"Certo che sei davvero un idiota a volte..."-rise, poggiando i palmi sui fianchi.
Mossi le dita, tastando il pavimento liscio del campo da basket, scontrandomi con la palla con la quale mi era pesantemente allenato, finché il mio corpo non aveva ceduto per la troppa fatica.
L'afferrai, portandola verso il Rosso, porgendola al cielo:

L'afferrai, portandola verso il Rosso, porgendola al cielo:

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