Sentimenti

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Mi piace osservarti, perché sei bello e le cose belle vanno osservate, scrutate in ogni minimo dettaglio.

Questa sarà una delle mie mille lettere che scrivo, righe blu che riempiono queste piccole pagine bianche di un diario marrone dalla copertina di pelle.
Ho sempre agito per istinto, per intuito, ma certe cose, John, non riescono ad uscirmi dalla bocca.
Le mie labbra si muovono sempre per cause che non si avvicinano neanche un po' al vostro termine di dolcezza.
Solo che, insomma sì, non ci riesco.
Sherlock Holmes, l'uomo intelligente di Londra, del 221B di Baker Street, non è capace di esprimere i propri sentimenti.
Ma il punto è questo.
Sentimenti.
Cosa sono in realtà i sentimenti?
Quelli che provo per te sono sentimenti? E che sentimenti sono? Hanno un nome?
Sono così intelligente in milioni di ambiti, ma proprio non ci arrivo.
Non lo so.
E, non mi piace non sapere.
Mi sento un po' te, per un minimo riesco a capire come ti senti realmente quando inizio a parlare o quando certe volte ti guardo senza dire nulla, dando per scontato che avresti capito i miei scopi.
Deve essere insopportabile, devo essere insopportabile.
Come puoi starmi accanto per così tanto tempo e non avere neanche la tentazione di lasciar perdere tutto e andartene.
Non credo che tu sia abbastanza intelligente da capire che senza di te il mondo mi crollerebbe completamente addosso.
No, deve essere altro.
I sentimenti.
Hai dei sentimenti, provi dei sentimenti per me.

Oh, dai Sherlock, andiamo,lui ha un cuore, non tutte le persone sono uguali a te.

Meglio, preferisco essere l'unico che annoiarmi nel leggere una mente insensata come la mia.
Non mi capisco, certe volte mi sento anche fin troppo stupido.
Ho un grande orgoglio, credo che questo mascheri un po' il tutto.
Ecco perché mi definiscono così tanto astuto ed intelligente.
Infondo uso solo intuito e schiettezza.
È così difficile per le persone usare un po' di ciò?
Santo cielo, sono così imbecilli.

Ecco, lo hai fatto di nuovo, Sherlock.

Zitto Mycroft.

Sei solo uno stupido, fratellino.

SH.

"Uscite dalla mia testa!" Si lamentò il riccio con la penna tra le mani, sentì poi dei passi salire le scale, erano abbastanza lenti e uno più pesante dell'altro.
John.
Chiuse rapidamente il 'diario' e lo nascose nel secondo cassetto, tra la biancheria.
«Sherlock, sono a casa.» Avvisò il biondo appena messo piede nell'appartamento, il riccio si alzò dal letto, prese la sua vestaglia turchese e l'indossò in un gesto rapido sopra la camicia bianca.
Raggiunse poi lentamente il proprio coinquilino che con fare attento estraeva gli oggetti dalle buste della spesa per riporle nei vari armadi e mensole.
Rimase ad osservare i suoi gesti precisi con espressione apatica, beccandosi poi uno sguardo confuso.
"Ciao, John." Salutò con il suo solito tono profondo, lo raggiunse per dare un'occhiata a ciò che aveva preso.
«Oh, sì, tieni.» Farfugliò l'uomo più basso infilando la mano destra nella tasca anteriore dei pantaloni marroni, estraendone poi la carta di credito.
La porse al riccio che la prese con nonchalance sfiorando la pelle calda di John, la poggiò sopra al frigo e si avvicinò al tavolo sedendosi su una sedia, difronte alle attrezzature.
"Muoviti, che ho bisogno di spazio."
Watson fermò le proprie mani estraendole dalla seconda busta, voltò il capo verso il coinquilino con fare lento, incrociando i suoi occhi color ghiaccio.
Schiuse le labbra e corrugò la fronte.
«Potresti anche aiutarmi, sai?» Ammiccò un sorriso abbastanza sghembo ridendo a quell'arroganza e continuando a rimettere a posto la spesa.
"Non è lavoro mio."
«Oh, è mio?»
"No, della signora Hudson, ma tu sei troppo preciso per lasciare in disordine tutto."
Il rumore del barattolo di salsa fece un rumore secco quando venne poggiato con determinazione sul marmo della cucina.
John si voltò, dato che aveva dato le spalle al bruno per alzarsi sulle punte, in modo da rimettere a posto la pasta negli scaffali alti, il petto sfiorò quello del più alto.
«Che c'è adesso?»
La mano di Holmes circondava ancora il barattolo di salsa, tenendo intrappolato il corpo del dottore, tra la cucina e il proprio.
Rimasero uno negli occhi dell'altro per qualche attimo, lo sguardo attento del genio poterono notare le labbra secche del biondo, i battiti irregolari e di nuovo quel qualcosa.
Quei sentimenti che furono nuovamente padroni dei loro corpi.
"Mi avevi chiesto di aiutarti."
Il respiro del soldato si regolarizzò, mentre il riccio con fare indifferente si scostò per lasciargli spazio, riponendo poi in un mobile il barattolo.
«Bene, allora finisci tu, io andrò a farmi un bagno caldo, ne ho bisogno.»
Detto ciò oltrepassò la cucina svoltando a destra nel piccolo corridoio dove vi era il bagno e la stanza di Holmes che rispose "Non entrare nella mia camera."
«Tranquillo.»
Lo rassicurò afferrando la maniglia color oro della porta bianca, l'aprì facendo leva e vi entrò chiudendosela poi alle spalle, ma non a chiave.
Si sbottonò con lentezza la camicia rossa mentre l'acqua scorreva nella vasca, fino a riempirla abbastanza da poter ricoprirgli il corpo.
Si tolse le scarpe e i calzini ed infine sbottò i pantaloni e li lasciò sfilare, insieme ai boxer, immergendosi, poi, nell'acqua calda, ma non troppo.
Le sue labbra sottili si schiusero in leggero gemito di piacere, sentendo i propri muscoli rilassarsi.
Chiuse gli occhi coprendo le sue iridi azzurrine lasciandosi andare a quello stato di benessere.
Intanto, Sherlock, con tre barattoli di shampoo tra le mani, entrò nel bagno con una spallata per aprire la porta socchiusa, cercò di essere il più silenzioso possibile per non farsi notare dal biondino in vasca, ripose i prodotti nel mobiletto sopra al lavandino e poi rimase ad osservare John.
La schiuma lo copriva dal dorso, lasciando intravedere la forma del suo petto, che veniva accarezzato dall'acqua, difatti delle piccole goccioline scivolavano sulla pelle rosea.
Era così bello.
Non si accorse di essersi fermato troppo al lungo, fino a quando Watson, riaprendo gli occhi di scatto urlò
«Che ci fai qui?!»
Holmes sussultò, forse per la prima volta fu realmente sorpreso.
La punta della lingua passò rapidamente sul labbro inferiore carnoso, prima di schiudere entrambe.
"Avevo lo shampoo da sistemare." Si giustificò con il suo tono indifferente ammiccando con un cenno di capo al mobile.
Il medico alzò gli occhi al cielo respirando pesantemente per lo spavento.
«Mi hai spaventato.» Confessò.
"Non era mia intenzione, non volevo."
«Potresti uscire, adesso? Per favore?»
Chiese con un sopracciglio sollevato in modo interrogativo, rivolto al più alto che ignorandolo completamente cambiò discorso.
"Abbiamo un caso, devi uscire da lì."
Mormorò determinando non distaccando gli occhi dai suoi.
«Un caso? Da quando?» Chiese con un pizzico di ironia, curvando le labbra verso l'alto in un sorriso leggero.
"Da..."
Il cellulare di Sherlock squillò, lo prese tra le mani.
"Ora."
Rispose a Lestrade mettendo in viva voce.
"Jeff"
'È Greg, comunque sia abbiamo un caso per te, una bambina è stata rapita.
Figlia di una donna, il padre non c'è, non ha mai conosciuto la bambina, neanche ne sa l'esistenza potres-'

Thin lips & curly hair || Johnlock (one shots) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora