Arrivai sotto le mura enormi di Sandstone alle prime luci dell'alba. Il sole era ancora sopito dietro le immense dune di sabbia, ma proiettava già lingue di fuoco per tutto il cielo. Ero stanco morto, distrutto, piagato, ma ormai ero arrivato a destinazione. La città di Sandstone era immensa, immensa. Fuori dalle mura aveva passato piccoli villaggi, sobborghi, dove la gente comune viveva con poco, si copriva di pelli e prendeva l'acqua dal pozzo comune. Di notte le strade erano vuote, con qualche lanterna qua e là ad illuminare lo sterrato scialbo e raccattato alla meglio. Passare per le strade mi aveva messo ansia, sembrava come se mille e uno occhi mi osservassero. Il rumore degli zoccoli mi era entrato nella mente, sembrava come coordinato con il battito del mio cuore, lento. Preoccupato.
Attraversai i sobborghi tranquillamente, comunque, anche se sentivo un pugnale roteare nello stomaco ogniqualvolta sentivo un sassolino cadere o una coppia di voci parlare sommessamente di questa o quell'altra notizia. Inutile dire che il paesaggio era completamente spettrale, a quell'ora del giorno. Era terribile, faceva rivoltare lo stomaco. Non tanto per la puzza o per chissà quale spettacolo, ma per la tensione che fisicamente premeva sulla schiena, che aggrappava con dita di ghiaccio la bocca dello stomaco e la torceva senza pietà.
Le mura di Sandstone erano alte, forse 35, 40 metri, interamente di pietra gialla come l'oro, che rifletteva le lingue di fuoco del sole nascente. Erano inespugnabili, in più di 600 anni di dominio Podero non erano mai cadute, complici anche le condizioni meteorologiche tutt'altro che favorevoli del deserto, che respingevano con il vento e il degradamento degli utensili, la scarsità di vettovaglie e quant'altro anche il più organizzato esercito su questa terra, o almeno fino ad allora.
Dentro le mura si svolgevano le attività più importanti per la vita della città, si commerciava, amministravano i guadagni e la religione cittadina. I Podero erano una delle famiglie più antiche e un tempo forti di tutta Golinëroi, provenivano direttamente dall'est, dalla terra luminosa, avevano conquistato e strappato quelle terre desertiche dalle fredde mani dei Lord-Che-Furono, gente guerriera, nomi che negli anni sono svaniti come un pugno di sabbia, ma che non poteva nulla contro la prorompente forza dei soldati Orientali, guidati dalla mano dei Mille e uno dèi, gli Antichi. Dopo circa 600 anni dalla conquista del deserto da parte di Re Arkehn Podero, gli dèi erano stati quasi tutti messi da parte, tranne il Dio Sole. Il suo enorme tempio, le sue enormi quattro torri, si ergevano sopra tutte le mura, oltre i 100 metri. Erano brillanti come l'oro lucidato, potevano essere viste a leghe di distanza, dal mare. L'unica cosa più alta di quelle enormi e sottili torri era la residenza dei Podero, il Castello di Sabbia. Si ergeva su una collina verdeggiante. Quel castello era come una fortezza nella fortezza, una cinta di mura, fatta dai migliori architetti e costruttori dell'Impero del Deserto, la civiltà oggi dimenticata dei Podero, quando ancora la famiglia era divisa in due diversi Rami. Non sapevo ancora di tutti quei nomi, quei bastardi e tutti i figli minori dei vari Re e Lord Podero, ma ciò che sapevo era che tutti i maschi erano accomunati dai capelli grigi come la cenere, e che improvvisamente uno dei due Rami principali dei Podero cessò di esistere a causa di una lotta fratricida, le peggiori di tutte le lotte dinastiche. Fratelli e sorelle che fino a qualche giorno prima giocavano nella stessa sabbia e mangiavano allo stesso tavolo, impugnavano spade, lance e archi, indossavano cotte a maglia e si lanciavano uno al collo dell'altro per qualche metro di terreno o un castello a confine. E tutto terminava con un unico impero insanguinato e gettato nel caos per un piccolo screzio, la gente che moriva di fame e le pestilenze che si diffondevano ovunque, come l'acqua quando cade sul marmo. Le pestilenze erano praticamente a cadenza annuale, dopo la Guerra del Sud che coinvolse anche Innershill e...lei. E me. Ammazzavano decine di migliaia di persone, tutti. Grandi e piccoli, ricchi e poveri, era come una "Grande Livella" come diceva il vecchio Willem quando parlava della Grande Pestilenza e degli Anni Bui, dell'anarchia assoluta e della Riconquista, anni di cui nessuno voleva parlare e con cui ti guadagnavi solo frustate dalle guardie. Erano gli anni della vergogna per i Podero, che da Re incontrastati del Deserto passarono a meri Lord, a meri alfieri sulla scacchiera di Golinëroi, posizione che non piaceva a Lord Ajo e a quelli che lo avevano preceduto. Perché tutti i lupi volevano essere il maschio alfa ma nessuno che prevaricava sull'altro.
Mi fermai per qualche secondo a guardare le grosse mura d'oro, ma fu quel secondo che fece avvampare ogni singola piaga sulle mie gambe e sul mio sedere. Piaghe che ormai si erano rotte e che sentivo sanguinare contro il tessuto dei miei pantaloni e mutande, troppo pesanti per il deserto e che ormai avevano inflaccidito la pelle delle mie gambe. Scesi da...cavallo e mi guardai attorno, la faccia sconvolta da una fitta di dolore che partiva dalle cosce e arrivava fino alla schiena. Cavalcavo ormai da ore, ininterrottamente, e la cosa era diventata abbastanza dolorosa e stressante. Individuai quasi subito un pozzo per l'acqua da dove le donne attingevano l'acqua, appunto, per il bucato e gli uomini per la casa. Esistevano due diversi tipi di pozzi, a Sandstone. Un tipo era riservato all'uso umano, e i bordi del pozzo erano dipinti di rosso, l'altro era riservato al corpo dei Pompieri, dato che a Sandstone gli incendi erano frequenti con la temperatura che sfiorava i 45°C in una tipica giornata estiva. Camminai verso questo pozzo bordato di rosso, guardandomi attorno e scorgendo figure di persone che si affaccendavano intorno, portavano panni avanti e indietro e ceste con grossi pani dentro, e bambini che correvano uno verso l'altro, saltavano i carretti delle vecchiette pieni di mele e arance grandi come palloni, gli stessi palloni di pezza e fieno pressato che di tanto in tanto volavano sopra o sotto di me. Guardare intorno portava a vedere quanto ferveva la vita in quella zona di città, piena di persone di ceto sociale così basso che quella vita mi avrebbe fatto rimpiangere presto il pane e acqua che mangiavo ad Innershil. Molto presto. Bambini che petulanti si attaccavano alle mie ginocchia mentre procedevo verso il pozzo diventarono ben presto da uno a due e da due a tre, tutti gemelli. Occhi verdi come l'erba, i capelli marroni come il legno d'albero e la faccia macchiata di polvere e sudore, tutti accomunati dall'inquietante somiglianza. Più cercavo di camminare verso la salvezza e l'acqua fresca e più bambini si attaccavano addosso a me, prendevano le mie pieghe del tessuto e lo tiravano, certe volte, strappandolo. Tirarono e gridarono fino a quando non ne scacciai uno via con una leggera manata. Appoggiai giusto le nocche sulla sua guancia e lo spostai leggermente, ma il bambino rotolò nella sabbia come se fosse stato colpito allo stomaco da una freccia e urlò a squarciagola. La città sembrò fermarsi tutta assieme, tutte le donne si fermarono con essa e gli uomini posarono le punte delle loro zappe, dei loro forconi e falci a terra e mi guardarono. Occhi di fuoco, sguardi ammiccanti e occasionali sputacchi riempivano l'aria, la rendevano fisicamente pesante sulle mie spalle. Ero uno straniero e loro lo avevano visto, sentito e anche, secondo me, odorato. I due gemelli rimasti sgattaiolarono verso quello più piccolino che ancora era a terra a spazzarsi le ginocchia con una mano mentre con l'altra si teneva la guancia con un gesto a dir poco plateale, i suoi occhi del colore dell'erba che affondavano nei miei, un gesto mezzo di sfida e mezzo di pietà per quello sciocco ragazzo che aveva osato posare le mani su un bambino in casa propria. Una delle donne che portava un cesto, una donna minuta ma dall'aria combattiva, con i dolci boccoli biondi che scintillavano al sole, si fermò dinanzi a me e mi spinse leggermente, facendomi indietreggiare, uno sguardo quasi truce di poteva leggere dentro i suoi occhi, la cesta che per la spinta era rotolata a terra e le mele che fuoriuscivano da sotto il lenzuolo umido per tenere la frutta fresca. Evidentemente, e io stupido come ero non me ne ero ancora accorto, dovevo andare. Era tutto così grande e ostile, dentro quella città: tutti sembravano voler volare al tuo collo e sottrarti qualcosa... Mi girai, Martello che sbruffava incontrollabilmente ogni tre secondi, che guardava intorno e poi a me, potrei aver giurato con lo stesso sguardo astioso con cui le persone mi stavano guardando in quel momento. E ne sentivo centinaia di occhi addosso, e più mi guardavano attorno e più si moltiplicavano, ma di guardie nemmeno l'ombra. Tra tutti i pensieri che avevo in mente (e neanche l'ombra di quello di scappare), il pensiero che era più in alto e affollava la mia mente era se Sandstone fosse davvero la residenza reale. Insomma, solo un piccolo sguardo e si notava la totale assenza di miliziani. O forse all'alta aristocrazia importava meno di niente dello stupido volgo, come probabilmente era. Insomma, ero immerso nei miei pensieri proprio nel momento in cui il tempo di reazione veloce e il pensiero immediato erano più richiesti, e sicuramente in un momento poco opportuno. Mi risvegliai quando lo stesso bimbo di prima mi lanciò un ciottolino dietro il collo. Gli rivolsi uno sguardo mezzo scioccato, mezzo indiavolato. E allora, i suoi occhi verdi come lo smeraldo o più realisticamente le foglie di un albero, mi fecero ricordare perché dovevo andarmene immediatamente via di lì.
Cominciai subito a cercare una via d'uscita, lo sguardo che volava a destra e a sinistra, il sudore che ormai faceva appiccicare tutta quella sabbia orribile a cui non ero abituato sul mio corpo, camminando dalla parte opposta rispetto a quella da cui ero venuto, per una piccola stradina. Presi a spallate un paio di uomini che per tutta risposta mi rifilarono qualche calcione o pugno debole sui fianchi, mentre la folla cominciò a raccogliere sassi e a lanciarli contro di me. Che avevano e ancora hanno nel cervello i Nati dal Deserto non ho spiegazioni, stavano lapidando un uomo, letteralmente. Mi coprii la faccia con le mie mani e preseguii a spintoni e calci tra la folla. Non ero sicuro di voler sguainare la spada...sarebbe potuta andare a finire molto peggio. Mi feci faticosamente strada verso un piccolo viottolo acciottolato, uomini e donne in cerca di guai che ancora continuavano a venirmi dietro. La strada sarà stata larga un metro a malapena, porticciole che si aprivano a sinistra rispetto alla direzione che stavo prendendo. Le persone dietro che ribollivano mentre camminavano nella mia direzione: avevo toccato un loro bambino, anche se era un bimbo di chissà quale degradata e odiata famiglia. Quando la strada cominciò a farsi più stretta, pensai di morire soffocato. Già mi stavo immaginando il mio scheletro bello stretto in mezzo a quelle due pareti, come due fette di pane e carne di coniglio. Involontariamente, sorrisi a quell'idea sciocca e presi la prima svolta a sinistra, un vialotto ancora più stretto e sabbioso. Ero morto, ero la carne di coniglio, oppure gravemente ferito e derubato e poi ucciso da chissà quale intemperia. Ma, se gli dèi hanno mai avuto un volto, quel giorno era proprio suo. Una porta si aprì dietro di me, qualcuno mi aggrappò alla maglia e mi portò dentro uno scantinato secco e caldo. Chiusi gli occhi, tutta la sabbia che venne alzata improvvisamente voleva entrare in essi. "Straniero!" Una voce squillante tagliò il silenzio secco. "È facile mettersi nei guai con quel tipo di capelli, eh?"
Il suo nome era Khan.
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A Knight's Tale {OVERHAULING}
FantasíaLa triste storia di un cavaliere, un giovane ragazzo in cerca di vendetta, un cavaliere che cerca di ritagliarsi la sua storia durante una guerra tra due regni, un uomo pronto a tutto per raggiungere i propri scopi, a raggiungere quell'effimera feli...