6. Un fattone con le converse.

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C'era Louis che fumava come un vecchio turco, con la testa persa fra le nuvole e uno strano sorriso stampato come una maschera fissa sul suo viso sbarbato. Nel frattempo, uno spettacolo interessante si svolgeva in cielo, i temporali avevano un potere intenso sui sensi di Louis quando le voci nella sua testa strillavano più del solito. Non aveva nessuno accanto in quel momento, non come lui avrebbe voluto, perché in realtà vedeva delle ombre che vagavano davanti a lui, senza esitazione o preoccupazioni, come se lui non esistesse. Forse Louis non esisteva davvero e tutto ciò che aveva vissuto e che stava vivendo era frutto dell'immaginazione di qualche pazzoide. Semplicemente, la sua vita poteva essere una grande menzogna e non si era nemmeno reso conto di tutto quello che aveva attorno.

«Che diamine ci fai qui?» La chiave aveva girato più volte nella serratura, prima che la porta potesse essere aperta dall'effettiva proprietaria dell'appartamento. Louis rise di buon gusto, quando un ennesimo tuono squarciò il cielo. «Sei di nuovo fatto?» Aveva chiesto semplicemente Rue, con quella superficialità che la caratterizzava, avanzando in direzione di Louis. Con due o tre passi era già accanto a lui, anche se al ragazzo parvero istanti infiniti, così lenti da temere il tempo, che non passava più. La droga non gli faceva nulla, era tutto uno stato mentale, per come la vedeva Louis. Poteva uscirne quando voleva, pensava, poteva liberarsene in ogni momento, diceva.

«Una sigaretta, una di quelle con il doppio gusto, sotto le coperte e la pioggia fuori. Il suono del caminetto e la luce spenta, una finestra di legno, un bosco profumato, la pelle nuda sotto il piumone.» Louis recitò piano quelle parole, strascicandone meno possibile. «Ho imparato a memoria questo pezzo, sono stato bravo, vero?» Si canzonò il ragazzo, alzando, fino a coprire l'intera testa, il cappuccio della felpa che portava.

«Di cosa si tratta, Louis?» Disse in uno sbuffo Rue, lasciandosi cadere sul divano, accanto al ragazzo. Non riusciva a pensare che si fosse messo anche a leggere romanzi rosa, farneticava. Rue si accucciò con le gambe strette al petto e la testa sulle ginocchia, i capelli scuri e bagnati a causa della pioggia che non lasciavano intravedere un minimo del suo viso dalla carnagione chiara. Era più pallida del solito, quella sera.

«Una delle pagine del quaderno di quel coglione,» non smetteva di sorridere Louis, anche se nulla di divertente aleggiava nell'aria «l'unica che Bessie ha lasciato intatta.» Rue borbottò, ricordando a Louis la realtà dei fatti, la realtà che voleva inculcare a tutti. «Non ci credo nemmeno un po' che sei stata tu.» Rue rimase per un po' interdetta, mentre si spostava i capelli da un lato solo, rimanendo ferma, però, nella posizione che aveva assunto da quando era entrata in casa sua. «Parlava di te, Rue.» Il silenzio calò per qualche istante, nemmeno Louis rideva più. «Harry parlava di te in ogni pagina, in ogni appunto, in ogni scarabocchio, era tutto dedicato a te.» Ciò che Harry provava nei confronti di Rue era più antico, maturato nell' arco di tempo in cui lui aveva potuto osservarla e conoscerla meglio. Era tutta un mistero Rue, uno di quelli che Harry voleva scoprire, tenere tutto per sè, lasciandosi ammaliare dal suo profumo, assaporare ogni lembo di quel corpo magro, amare. Era una catastrofe che andava oltre ogni cosa, per Harry, ma solo per lui, a quanto pare.

«Non so come andrà a finire questa merda di situazione.» Rue era sincera, sembrava quasi stesse parlando con il cuore in mano, per la prima volta. «Anzi, lo so, lo sai tu e lo sanno anche tutti gli altri.» Alzando volontariamente il tono di voce, Rue sembrò risvegliarsi, scrollandosi di dosso quel senso di agonia che la stava opprimendo.

«Potresti farlo star male, è vero.» Disse in tutta franchezza Louis, perché anche se in quell' esatto momento la sua testa vagava verso strani posti, c'era una piccola parte di sè che ancora si stava focalizzando su ciò che era accaduto quella sera stessa. «Lo fai vivere, Rue.»

«A stento riesco a far vivere me stessa!» Sbottò, irritata, mentre sentiva quelle parole rimbombare nella sua testa, come se qualcuno le stesse ripetendo all'infinito. «Non posso avere una responsabilità così grande come Harry sulle mie spalle. Sono andata via di casa per essere libera, fuori da ogni vincolo e legame e adesso non me ne appiopperò uno per il semplice gusto di rendere contento Harry.» Sputò velocemente Rue, come se non avesse più fiato e voglia in corpo. Pensò persino di prendere le quattro cose che le appartenevano, infilarle in valigia e andarsene, di nuovo, ma scacciò via questo pensiero qualche istante dopo. Forse, ma dico forse, un briciolo di coscienza le era rimasta.

«Potresti esserlo anche tu.» Stavolta gli occhi chiari di Louis osservavano attentamente quelli di Rue, come se volesse convincerla di qualcosa che, probabilmente, non sarebbe mai accaduto. «Felice, intendo.»

«Ma cosa ne vuoi sapere tu, sei fatto come una pigna costantemente.» Il tono amareggiato e provocatorio di Rue portò Louis ad alzarsi dal divano, raccattare le sue scarpe dal pavimento e avvicinarsi alla porta. Era stanco, voleva solo dormire, il mal di testa aumentava e Rue sembrava non aiutarlo. «E dimmi, tu sei felice ?» Il ragazzo barcollò appena sentì quella domanda, forse più per chi l'aveva posta e non per il significato, o forse semplicemente per l'effetto che aveva in corpo che stava svanendo. In tutti i casi, non riuscì a trovare una risposta, mentre di spalle attendeva l'arringa finale. «La droga ti ha fottuto il cervello, Louis, questo è l'unico modo rimasto per renderti felice.» Il ragazzo scosse il capo, Rue lasciò uscire dalla sua bocca una risata amara. «Vedi come ti senti leggero ?» Uno, contava Louis. «Vedi come i colori ti sembrano accesi e brillanti ?» Due, continuava. «Vedi come tutti ti sembrano felici, tranne te stesso?» Tre, aveva aperto la porta. «Vedi dove sta il problema ? È tutta finzione, un'apparente felicità che poi sparirà, appena la luce della verità ci colpirà in pieno viso.» Quattro, si trovava fuori, le mani contro le orecchie, come a voler evitare di ascoltare ancora, se Rue avesse avuto intenzione di continuare. Sapeva come maneggiarlo, in quello stato, sapeva come ottenere ciò che voleva, sapeva di averlo riportato alla realtà nell'esatto momento in cui era scappato.

Era questa la più grande paura di Louis, la realtà.

A Chiara, la mia persona.

Nuvole di fumo. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora