9. Chi troppo vuole, nulla stringe.

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Parlavano troppo poco per dichiarsi un tutt'uno, si toccavano fin troppo per parlare di semplice amicizia, si odiavano così tanto da non capire cosa fosse accaduto, come la rabbia avesse annebiato il loro cervello così repentinamente. Dylan non sopportava la sua voce dolce, Bessie l'avrebbe ucciso volentieri anche solo per il fatto che i suoi capelli erano di colore rosso, ma il destino li voleva sdraiati nello stesso letto, per qualche ora. Non li avrebbe trattenuti oltre, infondo, non contro il loro volere.

Bessie si accese una sigaretta, lanciando l'accendino sulla scrivania poco lontano dal suo letto. Le sembrava tutto così sterile e privo di colore, insieme alla sua anima. Passò la mano destra tra i lunghi capelli castani, mentre con la sinistra si portava alle labbra la sua medicina. Non era più un problema da nascondere, era ciò che la manteneva in piedi.

«Che ne dici di un secondo giro?» La stuzzicò Dylan, la mano grande sul fianco scoperto di Bessie e un sorriso provocatorio in volto. Voleva vederlo morto, disintegrato, fatto in mille pezzi. Allo stesso tempo, avrebbe voluto ricevere lei stessa quel trattamento, perché era stata lei a cercarlo, a portarlo a casa sua volontariamente, nella sua stanza, nel suo letto. Non riusciva nemmeno a dormirci più, in quel letto. Le faceva schifo, esattamente come le lenzuola tra cui si erano consumati quegli atti impuri, come il cuscino su cui Dylan poggiava la testa ogni volta e su cui era ormai rimasto impresso l'odore della sua pelle. «Be.» La richiamò dai suoi pensieri, facendole strizzare gli occhi.

«Non chiamarmi così-» il fiato mozzato e la voce stridula, un tiro dalla Chesterfield -era stato Louis a farle provare quelle, anni prima, pensò- e qualche attimo dopo la nuvola di fumo lasciò le sue labbra, per ultimo un piccolo cerchietto -Theo le aveva insegnato a farli, uno dopo l'altro, rise amaramente a quel ricordo- «e a quest'ora saresti già dovuto essere fuori da casa mia.» Bessie quasi ringhiò quelle parole ed effettivamente non sapeva che ore fossero, ma era sempre troppo tardi per far rimanere una persona del genere accanto a lei. Non lo voleva, lo stava usando esattamente come lui stava facendo con lei, avrebbe voluto mandarlo al diavolo senza andare a riprenderselo, lanciargli qualcosa di pesante addosso e sbatterlo fuori da casa sua, nudo. Ma non fece nulla di queste cose, non lo osservò nemmeno rivestirsi, sentì soltanto la porta d'ingresso chiudersi alle spalle di Dylan.

Si ritrovò a pensare di sentirsi sola, con un sacco di nuovi amici ma nessuno per cui svegliarsi la mattina o con cui avrebbe voluto parlare senza andare mai a dormire. Pensò addirittura che Harry non fosse l'uomo della sua vita, che era semplicemente la prima cotta importante che si era portata dietro dall'adolescenza. In quanto tale, era ovvio che sarebbe stata destinata a consumarsi e a lacerarla, almeno un po'. Aveva bisogno di qualcuno che andasse a salvarla, Bessie, eppure era arrivata alla conclusione che nessuno potesse essere in grado di diventare dal nulla quel tutto che i suoi amici rappresentavano, persino Rue, soprattutto Rue. I suoi pensieri erano contrastanti al riguardo, comunque, perché un secondo prima l'avrebbe presa a schiaffi -di nuovo- e quello dopo sentiva la sua mancanza come quando sognava di soffocare e non vedeva l'ora di svegliarsi solo per capire che era un brutto incubo e che avrebbe ripreso a respirare.

Le sembrava di non essere più la stessa, di non riuscire a essere felice come lo era prima e di aspettare qualcosa che non sarebbe mai arrivato. O meglio, tornato.

Ore dopo, tutti gli appunti di chimica di Bessie erano sparsi sul tavolo, una tazza di caffè bollente accanto e gli occhiali da lettura come fedeli amici sul ponte del naso. Effettivamente, non riusciva a concentrarsi, ma continuava a leggere qualcosa riguardo il numero di ossidazione e l'idrogeno ed era del tutto inutile pensare che potesse entrarle in testa anche una semplice virgola di quell'argomento. Il suo quaderno le fece venire in mente una delle tante sfuriate contro Rue, in un bar, qualche mese prima, perché non voleva dirle ciò che stava scrivendo. Non voleva essere derisa, perché semplicemente Bessie ogni secondo libero lo usava per studiare, mentre Rue per godersi a pieno la vita. Due esatti contrari, due anime macchiate estremamente dal passato. Dopo quelli che parvero attimi infiniti, Bessie sembrò risvegliarsi dal suo stato ed afferrò velocemente il suo cappotto invernale e la sciarpa di colore rosso rubino. Uscì dall'appartamento senza pensarci due volte, con ancora i capelli legati in una coda fatta male e i gli occhiali spessi sul naso. Bessie voleva tanto tornare alla sua vita -e ciò includeva anche sbattere fuori definitivamente Dylan- e non era vita senza i suoi amici.

Arrivò in poco tempo al parco, con le mani nelle tasche del cappotto e un sorriso spento in volto. Non ci mise molto a trovarli, perché, infondo, conosceva più loro che sè stessa e ciò non le dispiaceva. Era utile in determinati momenti, capirli. Erano tutti presenti, stranamente, per fortuna, e Bessie ebbe qualche momento di incertezza prima di continuare a seguire la traiettoria e raggiungerli. Erano tutti seduti sul muretto, anche Freddy, che aveva tolto da poco il gesso e camminava con le stampelle, che anche in quel momento aveva accanto. Chissà se stava facendo riabilitazione, chissà se lo accompagnava Shyla, che avrebbe fatto di tutto per Freddy, persino l'impossibile. Bessie si insultò mentalmente per essersi preoccupata così poco -per niente, in realtà- di Freddy, di Shyla, di Louis, di tutti, pensando solo a come potesse stare bene. Era diventata un'egoista senza speranze.

«Ciao.» Con un filo di voce, davanti alle persone più care della sua vita, si ritrovò a sussurrare Bessie, semplicemente piatta e fuori luogo, perché ormai lo era. Si ritrovò ad osservarli per bene, comunque, perché i cambiamenti erano palesi nel loro gruppo. Sembravano passati anni luce da quando non li vedeva così rilassati, sereni, in pace con loro stessi. Perse un battito quando vide il braccio di Harry intorno alle spalle magre di Rue e la mano di quest'ultima sul ginocchio del ragazzo, quasi a voler marcare un terreno che, da anni, era sempre stato suo, solo suo. Forse ci stavano riuscendo a vivere, quei due -pensò Bessie, senza ammettere che un po' di invidia, inutile negarlo, la provava ancora-. In ogni caso, gli altri si limitarono ad accennare un saluto, dettato dall' educazione e anche se Bessie avrebbe preferito un 'bentornata tra di noi, Be' più sentito, sapeva di meritarsi un trattamento del genere. «Potremmo andare a fare colazione insieme in questi giorni,» azzardò Bessie, dondolando sui talloni, come una bambina. «ho sentito che ha riaperto il caffè a un isolato da qui, quello dove andavamo sempre fino all'anno scorso.» Si, stava assumendo lo stesso atteggiamento di una bambina, puntando sui ricordi. Pensava che magari l'avrebbero guardata con un occhio diverso, dopo.

«Già,» Iniziò Louis, trascinando la sua gamba destra contro il petto, mentre lasciò la sinistra dondolare dal muretto. «potremmo.» terminò, spostando il suo sguardo verso un punto indefinito alle spalle di Bessie.

«Ma?» Chiese, sapeva dove il discorso sarebbe andato a parare, perché non era stupida Bessie, non lo era affatto. Forse lo sembrava, insieme al fatto che la giudicassero piccola, a volte infantile, frivola. Anche lei aveva degli strati, delle debolezze, che nessuno era riuscito a capire.

«Ma non lo faremo, Bessie.» Concluse Rue, la voce dura e lo sguardo penetrante.

E se Bessie qualche minuto prima pensava di poter risolvere tutto con uno schiocco di dita, capì di aver sbagliato sul serio, che non l'avrebbero perdonata. Poi un tonfo proveniente dal suo petto. Aveva perso anche l'ultimo pezzo di cuore che le era rimasto.

Nuvole di fumo. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora