10. Contro le porte della notte.

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Il giorno seguente ci andarono sul serio a far colazione in quel caffè, uno meno sveglio dell'altro, con le occhiaie che arrivavano fino al pavimento e gli occhiali da sole per riparare al disastro che avevano in faccia. Non tutti, ovviamente, perché, insomma, era Gennaio e dei raggi di sole non si vedeva nemmeno l'ombra, effettivamente, ma Louis, per esempio, non sarebbe mai uscito senza. Rue si ritrovò a sperare che non fosse già fatto.

Parlavano di quanto fosse difficile la riabilitazione per Freddy, nei giorni in cui lo accompagnava la madre, perché scoppiava a piangere ad ogni passo del figlio o di come Theo si fosse vestito male quella mattina, quando una voce pacata e assonata richiamò la loro attenzione. «I miei ragazzi sono tornati!» La proprietaria del caffè, una signora anziana dai modi gentili e vivaci, li aveva visti crescere uno ad uno dentro il suo stabile. Per anni, era stata una nonna che si preoccupava di far fare una colazione abbondante ai suoi nipoti, una consigliera per ogni loro problema e un'amica per tirarli su di morale. Persino Rue si scioglieva sotto il suo sguardo amorevole. «Pensavo vi avrei rivisto tra qualche anno con i vostri pargoli tra le braccia e una fede al dito.» Disse con la voce traballante, asciugando le mani umide con il panno da cucina che aveva tra di esse.

E loro -nessuno escluso- risero a quelle parole. Era impensabile vederli con una famiglia a carico, le bollette da pagare e un lavoro stabile. Davvero assurdo pensare che poi, ognuno di loro, avrebbe fatto quella fine. «Sposati e con figli? Noi?» Si ritrovò a pensare ad alta voce Shyla, uno strano sorriso sul viso stanco e il braccio con cui si manteneva la testa, posato sul tavolino. «Ti ricordi con chi stai parlando, vero?» Aggiunse Harry, facendo vagare i suoi occhioni verdi -della tonalità più bella che il mondo avesse mai avuto il piacere di osservare- su tutti i suoi amici. Forse quella domanda retorica gli uscì spontanea, data la circostanza, perché, a dirla tutta, lui si vedeva come un buon padre e un buon marito. Ma non lo disse, lo tenne per sè persino quando, a quel punto, lo sguardo di Rue era posato su di lui per cercare di capire a cosa stesse pensando. Forse aveva anche capito, Rue, ma colse l'occasione per rimanere in silenzio, una buona volta. Stava imparando a contenersi e, anche se non se ne accorgeva, stava cambiando.

«Ma che scempiaggini, siete tutti dei bravissimi ragazzi e sarete anche degli ottimi adulti, genitori e coniugi, in futuro.» La donna credeva sul serio a quelle parole, perché mai avrebbe immaginato che tra di loro ci fossero persone che assumevano più droghe che ossigeno o altre che fumavano più di quanto avrebbero dovuto. Ma, anche se l'avesse saputo, non li avrebbe mai e poi mai guardati con occhi diversi. Erano i suoi ragazzi, dopotutto. «Spero che non siate venuti qui per un misero caffè nero, perché potete anche andare altrove a berlo.» Scherzò, posando la mano raggrinzita sulla spalla di Theo, in un semplice gesto materno, al che il ragazzo non proferì parola.

«In realtà, speravamo in una delle tue deliziose colazioni speciali, Susy.» Spiegò Louis, portando gli occhiali da sole sulla testa e guardando negli occhi la signora. Rue sorrise leggermente a quel gesto e un sospiro lasciò le sue labbra. Quella mattina Louis stava bene e non c'era cosa che potesse sollevarle il morale più di quella dimostrazione. Dopo un «arriva subito» e «non passate dalla cassa, offre la casa», Susy sparì dietro il bancone. Ridacchiarono osservandola preparare la loro ordinazione con più premura possibile e si sentirono trasportati indetro nel tempo, appena usciti dall'adolescenza, con più neuroni, i polmoni sani e una persona in più seduta accanto a loro che scattava foto da mettere su Instagram quando ancora non andava di moda.



Dopo quella mattina, Harry e Rue non si videro per giorni interi, lunghissimi giorni. Non c'era un motivo valido, ma non si cercarono, non guardarono l'alba insieme e le loro mani sembravano di nuovo troppo lontane. Harry avrebbe voluto dirle che starle distante non era facile come credeva e che, infondo, era tutto quello che aveva sempre voluto, mentre scriveva parole alla rinfusa sulle note del suo computer. Avrebbe voluto dirle che aveva voglia di vederla e di circondare le sue spalle magre con il suo braccio e di prenderla in giro perché la superava d'altezza persino quando portava i tacchi. Avrebbe voluto aggiungere che la sua voce era una dolce melodia per le sue orecchie, ma continuò a scrivere e forse niente di tutto quello che aveva appuntato seguiva un filo logico.

Poi un messaggio, un sorriso liberatorio e le dita che alzavano velocemente la zip della felpa che aveva afferrato al volo dal suo armadio. Posò il computer acceso sul divano, non occupando minimamente il posto su cui si lasciava cadere sempre Rue ed uscì dall'appartamento pochi istanti dopo.

Le parole scritte in quel messaggio risuonavano nella testa del ragazzo anche nel momento esatto in cui si ritrovò davanti quella porta, come il canto di un angelo, un angelo dalla voce strabiliante. E rise, continuò a farlo, perché si sentiva un ragazzino alle prese con la sua prima cotta, prima di bussare -«vieni a baciarmi?»-. Aveva percorso isolati interi con il cuore in gola, il sorriso in volto e una sorta di angoscia -«vieni a baciarmi?»- , ma era arrivato e finalmente se la ritrovava davanti, più bella che mai, anche se in realtà non aveva nulla di diverso. Era sempre Rue, con gli occhi vispi, i capelli lunghi e l'odore di fumo impregnato addosso -«vieni a baciarmi?»-.

«Pensavo davvero che non venissi più.» Si lasciò sfuggire Rue, tirando un buffetto sulla guancia di Harry, che prontamente le afferrò la mano per non lasciarla andare via dal suo volto. Socchiuse gli occhi a quel contatto, ancora sul ciglio della porta e quando vide Rue avvicinarsi, sussurrò «aspetta», afferrando il cellulare e facendo partire semplicemente una canzone dei Coldplay. Rue si accigliò per un attimo, poi la riconobbe e sorrise.

«Me lo sono sempre immaginato così.» Ammise Harry, scrollando le spalle, prima di stringere Rue a sè, fronte contro fronte, i loro cuori che seguivano la stessa andatura e gli occhi che sembravano non voler abbandonare quel magnifico gioco di sguardi. «Non mi dimenticare mai, Rue.» Le sembrò di udire, prima che le labbra di Harry potessero venire a contatto con le sue, unendosi in un modo così delicato che a Rue parve di sognare. Poi le sue dita che viaggiavano lentamente tra i ricci di Harry, le mani di quest'ultimo sui fianchi di Rue, i loro respiri sempre più pesanti che diventavano un tutt'uno e il signore della porta accanto che era uscito dal suo appartamento a causa della musica. Poi li vide lì, quasi fossero una persona sola e gli venne in mente una vecchia poesia di Jacques Prévert, così rientrò silenziosamente in casa, senza farsi sentire.

Rue si ritrovò a pensare, in quell'esatto momento, che quello sarebbe stato il bacio con il quale sarebbero stati confrontati tutti gli altri della sua vita, per risultare puntualmente inferiori. Nessuno avrebbe potuto mettersi a paragone con Harry, perché, infondo, non si dimenticano le persone che ti hanno tirato fuori da un buco nero.

"I ragazzi che si amano si baciano in piedi contro le porte della notte."

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