Capitolo 9

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Patrizia era in ospedale da ormai una settimana, io ero andata a visitarla tutti i giorni e sembrava proprio che le cose stessero migliorando.

Mi stavo preparando per uscire di casa e andare in ospedale quando ricevetti una telefonata da un numero sconosciuto.

"Pronto?" Dissi con voce confusa.

"Ehi Luisa, sono io."

"Jason. Cosa vuoi?"
Non capivo perché continuasse a cercare di fare conversazione con me.

"Volevamo andare a trovare Tris, vieni con noi?" Mi chiese con tono speranzoso.

"Questo plurale chi comprende?"
In realtà lo sapevo già.

"Margherita."

"No grazie, potete fare la coppietta felice anche senza di me."

Chiusi in fretta la chiamata prima di poter ricevere una risposta.

Non li sopportavo. Non si erano ancora resi conto di cosa avessero fatto a me e alla mia migliore amica, non li avremmo mai perdonati.

Scesi le scale di casa mia, tempo di aprire il portone e mi ritrovai davanti Jason.

"In realtà ti stavo già aspettando sotto casa. Andiamo a prendere Margherita." Affermò con un sorriso stampato sul volto.

La verità era che non l'odiavo affatto. Ci provavo con tutta me stessa ma non ci riuscivo. Ero così debole, non riuscivo nemmeno ad allontare qualcuno dopo tutti i torti che mi aveva fatto. Il problema era che la sua voce mi incantava. Quando lo fissavo nei suoi occhi verdi provavo solo amore, nonostante tutto l'astio che mi avrebbero dovuto provocare.

Lo accompagnai controvoglia a casa di Margherita.
Le nostre case non erano distanti ma il viaggio mi sembrò infinito. Jason continuò a cercare di attaccare bottone mentre io continuai a non degnarlo di una risposta.

Arrivammo a casa di Margherita dieci minuti dopo. Jason suonò il campanello ma nessuno venne ad aprirci.

"Strano, dovrebbe essere a casa."

Provai a chiamarla sul cellulare, al terzo squillo rispose.

"Liz..." Singhiozzò. "Mi dispiace così tanto, ti prego non odiarmi."

"Margherita dove sei?"

"Sono a casa credo. Luisa non lo so, c'è così tanto sangue. Aiutami." La sua voce tremava ed era continuamente interrotta da singhiozzi.

"Meggie stai lì, non ti muovere." Le urlai.

Chiesi a Jason di darmi una mano a sfondare la porta ma fece tutto da solo.

"Ammirevoli i muscoli del ragazzo." Pensai maliziosamente.
Quello però non era il momento di scherzare. Margherita al telefono mi era sembrata così spaesata e in preda al panico.

Salimmo le scale di corsa. Sentivo la testa pulsarmi, il battito accellerato provocato dalla paura.

Fu solo quando arrivammo davanti alla porta del bagno che la vedemmo.

Margherita era seduta per terra, i suoi pantaloni insanguinati, così come il pavimento.

Alzò la testa e mi guardò con i suoi occhi azzurri. Il suo sguardo era spento, stanco, i suo capelli arruffati.

"Luisa cosa sta succeddendo? Non è normale che ci sia tutto questo sangue." Gridò piangendo.

Corsi vicino a lei e mi accucciai.

"Meggie respira, va tutto bene. Sistemeremo tutto." Una lacrima solcò il mio viso.

Una parte di lei non c'era più, era morta quello stesso giorno.

Jason corse a chiamare un'ambulanza che arrivò nel giro di cinque minuti.

Ripensandoci non mi ero più preoccupata di Margerita e il suo bambino. Ero così impegnata a cercare di farla sentire in colpa che non avevo pensato a tutto ciò che stava passando. Tenere una vita dentro di sé, quando si è così giovani.

Non sapevo nemmeno se l'avesse detto ai suoi genitori.

Ero rimasta sola, Jason era salito nell'ambulanza con lei. Gli avevo detto che li avrei raggiunti presto e di chiamarmi appena avesse avuto notizie sulla situazione di Margherita.

Mi pentii di non averle dato una possibilità dopo ciò che aveva fatto con il mio ex fidanzato. Avrei potuto non vederla mai più.

Con questa consapevolezza mi incamminai verso l'ospedale, che ormai era diventato quasi una seconda casa.

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