Per tutta la giornata, girai per la città con le mani all'interno delle grandi tasche del mio cappotto grigio, che con un enorme cappuccio, mi copriva anche la testa. Pioveva quel giorno, ma io non me ne curai.
Amavo la pioggia, amavo sentirla su di me, così delicata. Mi rilassava il suono delle piccole goccioline che sbattevano sulle finestre d'inverno.
Amavo l'inverno. La sensazione che dava il freddo pungente sulle ossa era una delle sensazioni più belle che io avessi mai provato.
Amavo il freddo, il ghiaccio. Erano cose che non amava nessuno. Nessuno le apprezzava davvero. Ma a me piacevano proprio per questo. Perché erano cose inusuali, cose che alla maggior parte della gente non piacevano.
Io ero così. Amavo ciò che le persone odiavano, e questo proprio perché ero diversa, inusuale, anche io stessa.Guardai con attenzione tutte le persone che mi circondavano, mentre tenevano in mano tutti quegli ombrelli variopinti che ,a dirla tutta, a me davano solo il volta stomaco.
I colori tenui mi piacevano molto di più perché erano anch'essi delicati, come la pioggia. La rispecchiavano. Rispecchiavano me.
Continuai a scrutare la gente che mi passava accanto, guardai il loro modo di muoversi, il loro modo di parlare, il loro modo di vivere.
Questo mi aveva sempre affascinata. Mi aiutava a capire me stessa, anche se a dire il vero, non sono mai veramente riuscita a farlo.Camminai per ore, giorni forse, senza mai stancarmi, ma purtroppo non fui più accompagnata dalle piccole gocce d'acqua dato che, come tutte le cose belle della mia vita, anche la pioggia ad un certo punto finì.
Mentre continuavo ad andare imperterrita per la mia strada, senza parlare e stando attenta a non sfiorare nessuno, una piccola creaturina mi si avvicinò. Era una farfalla davvero bellissima. Le sue ali erano colorate di un azzurro chiaro e contornate di nero.
La notai subito, perché come la pioggia, era leggera e molto piacevole mentre mi volava intorno.
«Ehi, tu» sussurrai accennando un sorriso alla farfallina mentre ero intenta a giocare con essa con le mie dita.
Mi piacque avere le attenzioni di quella creatura così delicata, ma al tempo stesso ne fui spaventata. Avevo paura di farle del male, cosa che di certo non sarebbe stata nelle mie intenzioni.
Il destino però sembrò odiarmi più che mai in quel momento.
Accadde tutto in un attimo.
La farfalla si poggiò sulla mia mano e io non ebbi nemmeno il tempo di spostarmi, che avevo già rubato la vita a quel bellissimo essere.
Scoppiai immediatamente a piangere e corsi per cercare un posto in cui seppellire la mia, ormai morta, nuova amica.
Di solito seppellivo sempre le mie vittime, anche se non era una cosa per niente piacevole. Mi piaceva pensare che avrebbero avuto un posto comodo in cui stare, una volta morte, e che magari, con quel piccolo gesto, potessero un giorno perdonarmi.
Gli inferi mi avevano dato questa maledizione, e purtroppo, dovevo conviverci, ma ogni volta che l'anima dello sfortunato, entrava in contatto con la mia, soffrivo. Sentivo tutto il dolore che avevano provato mentre perdevano la vita, per causa mia. Durava pochissimo, una frazione di secondo, ma il dolore era, di volta in volta, sempre più forte. Infinite lame, mi bucavano il corpo, e lo immobilizzavano per qualche istante, per poi riprendere vita nuovamente.In passato molti dissero che il mio era un dono e cercarono di usarmi per i loro scopi più oscuri.
Per me invece era una vera e propria tortura, una maledizione a tutti gli effetti.
Uccidere chiunque mi tocchi non è una cosa di cui vado molto fiera.
E come se non bastasse, come se la vita volesse punirmi per ciò che io non ho mai chiesto, tutte le volte che un'anima se ne andava, io continuavo ad avere la mia immortalità.
Era come se prendessi le loro vite, e le conservassi per usarle al momento del bisogno, in modo da vivere per sempre.
Non era bello però.
Vivevo ogni giorno con il rimorso. Pensando a tutti quegli esseri che non hanno una più vita, che magari non potranno andare a scuola, volare di fiore in fiore, o magari, avere la gioia di un figlio.
Era questa la vera e propria maledizione: il rimorso costante che mi mangiava dentro, che mi uccideva lentamente, e io non potevo più sopportarlo.Per questo quella mattina camminai e camminai in cerca di qualcosa.
Non sapevo nemmeno io di cosa si trattasse.
Volevo porre fine a tutto questo, volevo porre fine alla mia esistenza, ma non sapevo ancora bene come. In realtà volevo farlo nel modo meno evidente possibile, in modo tale che nessuno potesse trovarmi, toccarmi, e perdere, così, la vita anche esso stesso.Così, dopo un mese di continuo camminare, una mattina, trovai un posto sperduto, una specie di casetta in una piccola campagna che sembrava abbandonata.
Dio com'era bello. Mi piaceva da morire quel paesaggio, così fresco, così vero, così puro.
Decisi che quello sarebbe stato il posto perfetto in cui far sorgere la mia tomba.Tutta la mattina pianificai il mio suicidio e, alla fine del pomeriggio, era tutto progettato.
Mancava solo una parte e il mio piano sarebbe stato completo.
Volevo scrivere una lettera per spiegare al mal capitato che mi avrebbe trovata, di non toccarmi, e cosa fare col mio corpo. Perciò presi carta e penna e iniziai a scrivere:
«Mi chiamo Kyara, ho sedici anni. E, be', mi dispiace davvero tanto che tu mi abbia trovata così, morta in questo posto sperduto. Vorrei solo che tu facessi una cosa per me. Non toccare per nessuna ragione il mio corpo. Vedi, probabilmente non ci crederai, ma purtroppo ho una specie di potere datomi dal demonio, che fa morire chiunque mi tocchi. Dopo anni, anzi, secoli, di continue morti per causa mia, ho deciso di porre fine a tutto. Sono davvero esausta. Non voglio più star male.
Oh e un'altra cosa, per favore, brucia il mio corpo, così che nessun altro possa trovarmi e toccarmi. Io non posso farlo, perché la mia condizione è data da una sorta di talismano, incantato dalla magia del ghiaccio perenne, che i miei genitori hanno avuto la sfortuna di trovare durante un viaggio, e, ironia della sorte, non posso toccare nulla che abbia a che fare col fuoco, dato che si spegnerebbe immediatamente. Mi dispiace che proprio tu abbia dovuto fare la scoperta del mio cadavere. Spero che la vita ti riservi molte cose belle dopo quello che stai dovendo fare oggi.
Baci e grazie, Kyara.»
La rilessi più e più volte per essere sicura che fosse abbastanza comprensibile, e poi la poggiai sul suolo, accanto al punto in cui, in seguito, sarebbe dovuto esserci il mio corpo.
Non appena la lettera sfiorò terra, però, un senso di malinconia mi avvolse, facendomi rabbrividire.
Niente ripensamenti. Basta soffrire.
Così presi il pugnale, che mi regalo mio padre prima di morire e me lo puntai dritto al cuore.
«Sono pronta. Non si torna più indietro.» dissi con decisione.
Un dolore lancinante mi invase il corpo e, da quel momento, il nulla fu tutto ciò che vidi.
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La maledizione del ghiaccio perenne
ParanormalKyara Smith, un nome come un altro, una sedicenne come tutte. O almeno all'apparenza. Possiede un oscuro segreto che nasconde da sempre. Dentro di sé, porta il peso della sua vita e di tutte quelle che, senza volerlo, ha rubato a persone innocenti...