Capitolo 6

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Uscimmo dal ristorante cercando di non farci notare e, appena fummo fuori, iniziammo a correre.
Mi guardai dietro e notai che i due uomini vestiti di rosso, ci stavano seguendo.
«Luke, sono ancora dietro di noi.»
Mi prese la mano e cominciò a correre sempre più velocemente.
Svoltammo in una stradina alla nostra destra, ma, quando ci accorgemmo che si trattava di un vicolo cieco, era già troppo tardi.
Gli uomini dai vestiti color sangue erano all'inizio del vicolo e si avvicinavano a noi con sguardo minaccioso.
Luke si mise davanti a me, come per proteggermi e io mi strinsi a lui.
Ad un tratto, il ragazzo biondo si voltò verso di me e mi disse qualcosa.
Forse per l'agitazione, o per la paura che offuscava la mia mente, non capii una sola parola di quello che mi disse.
«Kyara! Fallo!» urlò Luke verso di me.
Non riuscii a capire di cosa stesse parlando. «È l'unico modo!»
Quegli uomini, che nel frattempo avevano tirato fuori delle strane armi dal cappotto, erano sempre più vicini a noi, e l'unica cosa che riuscivo a sentire era il battito del mio cuore che si faceva sempre più forte.
Luke mi guardò negli occhi.
«Devi ucciderli Kya, possiamo salvarci solo così. Ormai siamo spacciati.»
«Sai che non posso farlo! Non puoi chiedermi una cosa del genere!» urlai in preda alla disperazione.
Luke si avvicinò ancora di più a me, e mi prese il viso tra le mani.
«Devi se vuoi vivere.» disse con voce stranamente calma.
A quelle parole, tutto intorno a me si fermò. C'ero solo io. Se volevo vivere dovevo uccidere ancora una volta, nonostante il desiderio di farla finita una volta per tutte fosse forte dentro di me. Non potevo lasciar morire Luke però. Glielo dovevo.
Così, corsi verso i due uomini armati.
Uno, due, tre forti botti risuonarono nell'aria.
Corsi ancora più velocemente. Dovevo farcela.
Poggiai le mani sul petto dei due e in un attimo furono a terra, morti.
Subito, mi accasciai al suolo ma, benché la morsa stretta al cuore per via della morte dei due uomini fosse insopportabile, presto un altro dolore mi tolse il respiro.
Guardai la mia gamba e vidi una quantità enorme di sangue.
Per un attimo tutto intorno a me perse colore e qualche secondo prima di perdere i sensi, vidi il volto sfocato di Luke davanti a me.

Aprii gli occhi di scatto e vidi Luke chino sulla mia gamba.
Era intento a maneggiare dei piccoli arnesi di metallo che, non appena entrarono in contatto con la mia pelle, mi fecero provare un dolore talmente forte da farmi uscire un piccolo gridolino.
«So che fa male, ma devo estrarre il proiettile dalla tua gamba.» disse lui mentre era ancora concentrato sulla mia ferita.
Anche quel gemito, però, era stato per me uno sforzo troppo grande, considerate le scarse forze a mia disposizione, e così mi limitai a rimanere in silenzio, tra un verso strozzato ed un altro.
Durante uno degli ennesimi tentativi di Luke di levare il proiettile, come mille coltelli mi trafissero la gamba e, in un attimo, svenni.
Mi risvegliai dopo poco e vidi una benda attorno alla mia gamba.
Così mi sollevai lentamente per cercare Luke, ma non lo vidi da nessuna parte.
«Dove potrebbe essere?» non feci in tempo a finire di pensare che sentii la porta cigolare. All'inizio mi spaventai ma, non appena vidi il ciuffo biondo sbucare da dietro la porta, mi rassicurai.
«Ti sei svegliata finalmente!» disse il sorridendo ragazzo mentre portava del cibo all'interno della camera.
«Diciamo che sono un po' stordita.»
Non mi ero ancora soffermata a guardare la stanza.
Aveva le pareti color crema e non era molto arredata. Dalla posizione in cui mi trovavo, riuscii a scorgere un piccolo divanetto di fronte al mio letto e un armadio di legno scuro, abbastanza vecchio di aspetto, in fondo alla camera.
«Dove siamo?» chiesi con voce tremante.
«Ho chiesto aiuto ad un mio amico.»
«Cosa? E come gli hai spiegato la mia ferita?» quasi urlai.
«Gli ho detto che ti sei ferita con un coltello mentre intagliavi una statuetta di legno, che hai perso molto sangue ed è per questo che eri senza sensi.» dice lui sorridendo.
«Intaglio statuette di legno?» dissi sgranando gli occhi. «E da quando?»
«Mi serviva una scusa e questa è stata la prima che mi è venuta in mente.» rispose lui facendosi scappare una risata. «Dai, mangia qualcosa.»
Detto questo, prese un pezzo di pane e me lo porse.
«Grazie» sussurrai io.
«Più tardi proverò a fare qualcosa alla tua gamba. Non posso assicurarti che passerà ma almeno migliorerà.» disse poi.
«D'accordo.»
Mangiai di gusto quel pezzo di pane, probabilmente del giorno prima.
Alla fine del mio pasto, avevo ancora fame e la pancia brontolava, ma decisi di non dire nulla.

«Kya, prova ad alzarti.» accennò Luke avvicinandosi e allungando una mano verso di me.
Mi appoggiai a lui e in un attimo, anche se dolorante, mi alzai.
«Sta' ferma.» e detto questo appoggio il palmo della sua mano, sulla ferita.
Quando mi sfiorò, sentii un calore piacevole invadermi la gamba, e non appena la levò, della ferita non era rimasto che un piccolo foro, dal quale non fuoriusciva nemmeno più sangue.
«È migliorata più di quanto mi aspettassi.» disse soddisfatto del suo lavoro.
«Stai diventando davvero bravo.» dissi facendogli l'occhiolino.
«Suppongo che i poteri diventino più forti man mano che cresco.» fece spallucce.
«Ora possiamo rimetterci in marcia?» chiesi aspettandomi un 'sì' come risposta.
Luke mi fece cenno di guardare alla finestra e notai che si stava facendo buio.
«Non credo che dovr..»
Non fece in tempo a finire la frase che lo precedetti.
«Dobbiamo andare, non penso che sia un posto sicuro questo.» dissi. «Non importa se si farà buio a breve.»
«D'accordo, penso che queste potrebbero servirci.
Si avvicinò all'armadio che avevo notato precedentemente e lo aprì. All'interno, cappotti di ogni tipo e colore erano ammassati, tanto da sembrare che volessero scoppiare.
Ne prese due, neri, e mentre con una mano cercava di infilare il suo, con l'altra mi porse quello che avrei dovuto mettere io.
Poi, tirò fuori i vari capi colorati che riempivano il vecchio mobile, e li mise uno per uno sul divanetto.
Non appena l'armadio fu completamente vuoto, Luke rimosse una parte di metallo che si trovava nella parte più interna, e alla vista di cosa riempiva la parte segreta, rimasi a bocca aperta.
«Penso che potrebbero servirci anche queste.» disse poggiando, ai piedi del mio letto, delle pistole.
«M-ma io non so usarle» balbettai.
«Dovrai imparare a farlo.» mi rispose serio.

La maledizione del ghiaccio perenne Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora