Capitolo 6. Milky

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La mia mano era caldissima,pensai che quello schiaffo non se lo sarebbe mai dimenticato e ne tantomeno io! Ero furiosa, per un momento non  credo di aver ragionato più. Quelle parole mi ferivano e avevano dato a lui la possibilità di scoprire le mie debolezze, le mie insicurezze.

Dopo la litigata corsi nel bagno delle donne ed era tutto così freddo che il contrasto con la mia pelle calda faceva male. Ma, sapevo che non era un male fisico,ero cosciente del fatto che il male  fosse interno, di quelli che ti scuotono tutta e ti lasciano così, vuota, stanca, spenta. Piansi, oh e quanto piansi. Cercavo di non far sbavare il trucco, di non pensare a lui che mi diceva di essere come Charlie, cercavo di riprendermi da quel vortice di emozioni contrastanti. Lo odiavo, perché ci tenevo fin troppo per essere uno sconosciuto. Mi ero illusa di una cosa che non c'era e questo mi innervosiva. Io non mi affezionavo, io non provavo dolore, io Milena Colle ero una stronza senza cuore. Mi ero promessa che sarei stata così. Mi ero promessa che non ci sarei più ricascata! Mi ero promessa che non mi sarei più fatta fare del male. Nell'arco di mezz'ora mi ero totalmente trasformata. Lo cercavo, lo volevo,lasciavo che mi ferisse perché avevo aperto il cuore all'idea di un qualcosa tra di noi, mi ero convinta di essere speciale ai suoi occhi, di essere LA ragazza, ma io non ero speciale, io ero una delle tante. Di nuovo.

 I miei desideri e le mie più grandi paure si erano avverate nell'arco di una manciata di minuti. Era stato tutto così veloce, troppo.

L'acidità delle sue parole mi stava consumando lentamente mentre continuavo a ripensare con quanta rabbia mi rinfacciava quello che aveva fatto per me. La sensazione di essere stata presa e gettata via, come tutte le altre, ma sì.. facciamo di tutta l'erba un fascio!! Mi pentìì di averlo invitato. Mi pentii di averlo aspettato, di averlo voluto, di averlo desiderato. Era finita prima ancora che iniziasse. Mi costrinsi a ripromettermi di non parlargli più , di non lasciargli più l'agio di farmi del male, promisi a me stessa il ritorno della vecchia me. 

 Dopo tutto quello che mi aveva detto non avrei mai potuto più perdonarlo, soprattutto per avermi fatta arrabbiare e piangere il giorno del mio diciottesimo compleanno. 

Ma ero un'adulta oramai e dovevo affrontare le cose con maturità, così mi stampai un sorriso sulle labbra, asciugai le lacrime, aggiustai il trucco e uscii dal bagno andando in balia dell'ondata di gente che ballava. Volavano abbracci, urla, parole affettuose, auguri, ma io non capivo nulla. Era tutto un gran caos. La serata passò e tra un ballo e l'altro non riuscivo a pensare che a lui.Pensavo a lui a quello che era appena successo, a quello che era successo mesi fa. I ricordi mi facevano ancora male e lui nn aveva fatto altro che gettare sale sulle ferite.

 Me lo immaginai tutto fiero mentre si vantava a mio discapito con gli amici, gli occhi verdi infiammati di orgoglio, i miei brucianti di rabbia.

Quando fu il momento dei regali , mi circondarono tutti al centro della pista mentre li scartavo e ringraziavo ad uno ad uno tutti gli invitati. 

Pensai inevitabilmente al ciondolo. "Libertà" . Quella parola stampata così nella mente, nell'anima era incisa. Ci tenevo alla mia libertà, oh se ci tenevo. Ci tenevo così tanto da non lasciare che nessuno più me la portasse via, che nessuno più la calpestasse, anche se questo avesse significato la solitudine eterna. 

 Baciando Cristian non aveva fatto altro che privarmi di essa. 

I doni furono tantissimi tra borse, peluche troppo grandi, bracciali e gioielli. Ma quello che più mi piacque fu quello che ricevetti dalle mie migliori amiche (ovviamente): era una specie di tablet solo che serviva solo per leggere libri, una sorta di biblioteca tascabile e digitale, e nonostante non fosse contemplato nella mia lista credo che non avrebbero potuto farmi regalo migliore!

Mi gioco tutto.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora