Capitolo 8 Milky

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Il giorno passò velocemente tra un tiro al canestro e qualche finto passaggio. Vederlo la mattina era stato sconcertante , mi sembravo una bambinata in preda agli ormoni un flusso improvviso di emozioni. Manco avessi il ciclo piangevo, urlavo e ridevo istericamente al mutare dei miei pensieri. 

La mano ancora mi bruciava, ma ancor di più bruciava il mio orgoglio. Stupida ragazzina. Andarsene senza manco una parola. Che mossa audace, Brava!! 

Era inutile provare a distrarmi dal suo pensiero, più tiravo e più sbagliavo, più sbagliavo e più mi incazzavo. Perchè il basket non faceva altro che ricordarmi che il giorno dopo avrei avuto gli allenamenti e lui sarebbe stato lì, con tutti i suoi compagni, magari a ridere di me.

Lì con quella sua faccia da angelo nero. Maledetto!

 La rabbia mi sovrastò ancora una volta e gettai il pallone dall'altra parte del campo, dopotutto era tutta colpa di quella stupida palla se ora mi trovavo in quella situazione!!! Mi sedetti al centro del campo, con la testa tra le mani, disperata e chiusi gli occhi. Girava tutto, la testa, lo stomaco, il mondo. Tutto. Era tutto capovolto. Mi alzai, ripresi il colpevole dei miei mali e me ne andai a casa nella speranza di trovare un po' di pace.

Mentre attraversavo il parco e intravedevo il portone di casa, lo vidi. Di nuovo. Il fato mi stava giocando proprio un brutto scherzo. Cioè va bene una volta, ma due! Sul serio?

Mi nascosi, avete presente come fanno i bambini che si coprono gli occhi con le mani e pensano di non essere visti? Bene io mi trovavo esattamente in quella posizione. "Nascosta" da un cespuglio di rose. Ogni tanto tiravo un occhiata di soppiatto,imprecando sottovoce per le spine e spiavo. Una 007 in gonnella insomma.

Era sotto casa mia fermo immobile e si stava avvicinando al citofono. Un ondata di panico mi pervase, stavo per urlare o per lo meno uscire allo scoperto a fermarlo, ma ringraziando il cielo la paralisi delle mie gambe terrorizzate me lo impedirono.

  Era impazzito o cosa? Suonò. Si era impazzito. 

"Domani lo meno" pensai. 

Perchè? Perchè era lì? Cosa voleva? Forse abitava qualcuno di sua conoscenza nel mio stesso palazzo. Improbabil, me l'avrebbe detto. Si voltò e per istinto mi abbassai, sperai che i riccioli impazziti non fecero saltare la copertura. 

Non potevo sopportare ancora una volta il suo sguardo e una situazione imbarazzante come stamattina così ritornai all'interno del parco, gattonando. Già, fu abbastanza umiliante. Ricordo un paio di vecchietti che mi chiesero cosa avessi perso. La mia dignità porca paletta!

 Mi voltai un paio di volte e notai che si stava dirigendo verso di me. Dannazione. Mi alzai e iniziai a correre. Mi batteva il cuore, forte, fortissimo e non solo per la corsa, non ce l'avrei fatta, avrei perso quella volta. Ero troppo fragile e confusa in quel momento per fissare di nuovo l'immenso dei suoi occhi. Non potevo, non volevo, già sapevo che se mi avesse fermata io sarei caduta nella sua trappola, avrei abboccato all'amo e Venere avrebbe vinto. Fottuta Dea dell'amore, stavolta non mi freghi.

Trovai l'uscita secondaria e iniziai a respirare di nuovo.  Feci il giro di tutto il parco all'inverso per ritornare a casa e mi rilassai solamente quando fui già per le scale di casa. Salii in fretta  e non appena mi ritrovai nella sicurezza della mia camera scoppiai. 

Non capire cosa mi stesse succedendo era devastante, una continua agonia, confusionario. Mi odiavo, mi odiavo perchè ero l'unica causa del mio stesso dolore. Se solo non mi fossi lasciata andare, se avessi continuato a respingere i miei sentimenti e ad ascoltare la mia mente a quest'ora starei con le mie migliori amiche. E invece no,dovevo fare esperienza. Dovevo innamorarmi.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 04, 2017 ⏰

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