Capitolo 7. Chris

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Pensavo ancora e ancora. Pensavo  tutto quello che era successo la sera precedente, quelle labbra, oh, quelle labbra. Faceva male sapere di non poterle sfiorare più. Faceva male sapere di non poterla più prenderla tra le mie braccia, faceva male la consapevolezza di non poter aver neanche un' occasione e per quanto la cosa non mi piacesse, dovevo rassegnarmi.

 La notte dal nervosismo l'avevo passata in bianco, mentre mi alzavo e mi stendevo dal letto, dal divano, aprivo il frigorifero e uscivo fuori al balcone. Passai la notte in piedi a pensare, a cercare di capire dove avevo sbagliato, dove in qualche modo era degenerato tutto. A cercare di capire perché avevo reagito in quel modo, perché lei avesse reagito in quel modo. Il ricordo dei suoi occhi immensi di lacrime al parco due mesi fa si sovrapponeva a quello dei suoi occhi colmi di rabbia. Amareggiato, incazzato e deluso da me stesso mi colpevolizzavo, per non aver capito, e per continuare a non capire.

Quella mattina  mi aveva chiamato Step e aveva preteso che l'accompagnassi a comprare un regalo "scusa" per Ilaria. Le aveva dato buca la sera prima e ora lei era incollerita e lui nel panico più totale.  Giusto per sottolineare la sua sottomissione. 

-Appuntamento era alle 11.30- Mi aveva urlato per telefono! - NON FARE TARDI- continuò  con fare intimidatorio. 

 Erano le 11.10 e già mi trovavo sotto casa sua,mi aveva trasmesso l'ansia . Assurdo! 

Essendo in anticipo e stanco di aspettarlo sotto casa mi sedetti sul primo motorino e cominciai di nuovo a divagare sugli stessi pensieri che mi affliggevano da stanotte. La rabbia furiosa con cui erano uscite le mie parole da bocca,  il dolore,la sensazione di delusione dopo tutto quello che ci eravamo detti. Ogni cosa però, nonostante tutto,la rendeva particolare ai miei occhi e io non potevo fare a meno di pensare che a lei, il suo carattere , misterioso, scontroso ma allo stesso tempo allegro. 

La immaginavo al parco a tirare nervosamente al canestro, a sudare e a imprecare contro se stessa per non aver creduto in me. Ma quella era una mia fantasia, la realtà era contraria, perché ero io che la notte avevo scavalcato il cancello del parco per poter sognare la frustrazione. 

Per quanto la conoscessi poco, nell'arco di quei tre giorni avevo assimilato così tante informazioni su di lei da travolgermi. Aveva sempre il sorriso sulle labbra e quelle guance si dipingevano di rosa ogni qual volta era nervosa, come quando finse di non vedermi a scuola o quando mi chiese di andare alla sua festa. Adoravo quando durante gli allenamenti esultava o quando si arrabbiava e se la prendeva con sé stessa per aver permesso il vantaggio ad un avversario. Aveva carattere,era intelligente,la testardaggine era uno dei suoi migliori pregi ed aveva la grande capacità di ammaliare le persone con il suo sguardo intenso. Lo stesso sguardo che quando si innervosiva, si incupiva. Io però avevo spento quello sguardo energico, che tanto mi piaceva, la sera prima. Solo il pensiero di quella cattiveria mi faceva sentire un mostro, come avevo potuto adombrare, anche solo per poco, quella gioia?

Chi ero io per renderla così triste?

Avevo ancora il ciondolo con me e nonostante fosse leggerissimo in quel momento pesava nella mia tasca. Testimone dei miei misfatti, causa delle mie cazzate.

Era quasi impossibile levarla dalla mente. Ma non potevo lasciare che andasse così. Non dopo quel bacio, non dopo quello schiaffo. Ma ci dovevo riuscire, mi continuavo a ripetere che lei non fosse il mio tipo,non poteva esserlo,non doveva esserlo. Dovevo lasciarla andare, per lei, per me.  Ma come si può convincere un cuore testardo che tutto ciò che adora non è reale, che non  è per lui, che tutto l'amore che desidera, non avrebbe potuto ottenerlo dall'oggetto dei suoi desideri. Come si fa ad accettare una realtà bruciante senza restarne scottati? Mi sudavano le mani, ero di nuovo nervoso.  Strofinai i palmi sul jeans e di riflesso alzai la testa di scatto per scostare il ciuffo dagli occhi.

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