❧ Στιγμα [Min Yoongi Spin-off]

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Ogni persona ha almeno tre facce: la prima è quella che mostra a tutti, quella finta, la maschera che gli fa da scudo che serve per riuscire a vivere in quella giungla che comunemente è chiamata società. La seconda è quella che in pochi conoscono, che è leggermente più vera, che lascia trasparire qualcosa, un briciolo di interiorità che in pochi sono disposti a conoscere. La terza invece è quella che nessuno vedrà mai, quello che sei realmente. Te stesso. Con tutti i tuoi macigni, con tutte le tue ferite, i tuoi trionfi, le tue sconfitte e tutti i pensieri che hai dentro che nessuno conoscerà mai. Tutte le persone indossano queste tre maschere, a seconda delle situazioni; non esiste una persona che sia esente da questa specie di regola sociale.

Io sono sempre stato particolarmente bravo ad indossare queste maschere, perché io, nella mia vita, ho sempre finto. Finto di stare bene, finto di sorridere, finto che fosse tutto okay, finto che non mi importasse nulla di nessuno. Finto e basta. Sono sempre stato il primo a dire che non mi interessava nulla di nulla, che non me ne fotteva un cazzo della gente, quando la realtà era esattamente l'opposta. Per essere uno affetto da sociofobia, dire che non me ne fregasse un cazzo della gente era veramente una grande, enorme e divertente battuta. Sul serio. Sono sempre stato bravo ad invertire la faccia della realtà, a mentire, a non far capire a nessuno come stessi realmente. Alla fine, però non è difficile. Basta semplicemente fingere di essere un po' stupidi, un po' stronzi e un po' menefreghisti, e le persone non si accorgeranno di nulla. Questo lo posso assicurare. Basta fingere di sorridere, fingere che quei sorrisi non siano vuoti, fingere di non star fingendo ed illudere anche se stessi. Una volta che si riesce a convincere se stessi che quella sia la realtà, convincere gli altri è un gioco da ragazzi. E io sono sempre andato avanti così, sono sopravvissuto fingendo, illudendo tutti, persino me stesso, lasciando che la mia anima si divorasse da sola. Perennemente perseguitato da questa specie di presenza mostruosa che non mi lasciava neanche per un minuto, che continuava a ricordarmi quale fosse la realtà dei fatti, che nei momenti peggiori era sempre con me, devo ammetterlo. Alla fine, quelli che non ci lasciano mai sono proprio i fardelli che ci portiamo sull'anima. Ed io, di fardelli, ne ho sempre portati sin troppi. Ad un certo punto mi sono semplicemente convinto che la felicità non fosse destinata a me e mi sono arreso. Non sono mai stato molto combattivo. Se volevo una cosa e capivo che era irraggiungibile lasciavo perdere l'idea e basta. Alla fine, la mia esistenza è diventata totalmente vuota e patetica, senza un motivo, senza un perché. Non riuscivo a chiedermi perché stessi andando avanti e quando lo facevo non riuscivo a trovare alcuna risposta plausibile. Eppure andavo avanti, e tutti ci credevano. Tutti credevano che Min Yoongi fosse semplicemente quel ragazzo un po' schivo, che fa il coglione con gli amici, che è una testa di cazzo, che se lo vedi ha sempre quell'aria da menefreghista. Perché, effettivamente, questo era quello che tutti vedevano. Questo era quello che sembravo. Ma Min Yoongi non era solo questo. Min Yoongi non era questo e basta. Min Yoongi era un ammasso di bugie trasformate in verità, un inutile scatolone vuoto, lasciato lì, a se stesso, per nessun motivo apparente. Min Yoongi in realtà non era insensibile quanto sembrava, in realtà soffriva anche lui, forse un po' troppo. In realtà si odiava, pensava che la sua vita fosse veramente futile, si sentiva vuoto ed inutile, sempre solo, come se gli mancasse qualcosa, qualcosa di irraggiungibile. Forse era giusto che così fosse, però, chi può dirlo. Min Yoongi era morto, da tempo ormai, e ad ucciderlo ero stato io.

[...]

"Allora, Yoongi, come va oggi?" l'uomo picchiettava con la penna sull'agenda, leggendo distrattamente qualcosa. Teneva il volto poggiato su una mano, sorretta sotto al mento. Era composto, come al solito, e di tanto in tanto si tirava su gli occhiali blu che ricadevano giù dal naso. Alzò la sguardo, puntandolo sul mio, in attesa di una risposta, che non sarebbe arrivata.

Mi distesi sulla sedia, incrociando le braccia sull'addome e inclinando la testa all'indietro, emettendo un sonoro sbuffo. Ero in quella stanza da due minuti e ne avevo già le palle piene. E pensare che lo pagavamo anche per questo. Il mio sguardo vagava ovunque, andando dal soffitto, all'enorme libreria colma di libri di ogni dimensione, alla finestra, dalla quale intravedevo il cielo farsi sempre più grigio. Se fosse stato per me, non sarei rimasto ulteriormente lí dentro, ma ero costretto a restare per l'ora pagata, quindi dovevo trovare un modo per farla passare in fretta senza che facesse ulteriori domande.

Yuanfen [NamJin.]  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora