Ogni anno, il primo giorno di scuola, ai bambini di prima ripeto la stessa lezione di storia, la nostra storia. Forse sono troppo piccoli per capire davvero, ma sono già abbastanza grandi per farsi delle domande.
«Hanno degli obiettivi. Hanno il loro lavoro.» sta dicendo la dottoressa Erin, «Ognuno sa esattamente qual è il suo ruolo all’interno della società, tutti hanno un loro posto nel mondo.»
Cresciamo tutti insieme in collegio, dove rimaniamo fino alla maggiore età. Poi ci assegnano un appartamento da dividere con altre cinque persone e un incarico.
«Vallo a dire ai minatori!» ribatte Ethan, «O a chi passa tutta la vita a lavorare in una fabbrica o a coltivare la terra, senza nessuna possibilità di fare carriera.»
L’appartamento cambia ogni due o tre mesi, l’incarico resta lo stesso per tutta la vita.
«Non ha nessuna importanza la carriera! Quando tornano a casa la sera, hanno un pasto caldo che li aspetta e un tetto sopra la testa. Gli appartamenti sono tutti uguali, così come i vestiti che mandiamo o la qualità del cibo. Non hanno preoccupazioni, non provano invidia per gli altri, sono felici delle loro vite.» continua la dottoressa Erin, «Non ci sono guerre, non c’è criminalità, non c’è disoccupazione.»
«Non c’è nemmeno un’evoluzione.»
Continuano a discutere come se io non ci fossi.
I pochi sopravvissuti all’influenza aviaria e alla seconda guerra nucleare dovettero fare i conti con i cambiamenti climatici che provocarono una carestia globale. Le radiazioni nell’atmosfera fecero salire alle stelle i tassi di infertilità e di mortalità infantile, mentre le aspettative di vita scesero drasticamente, fino a toccare i trent’anni di età.
Il Governo, per garantire la continuità della vita sulla Terra, selezionò 120 persone, sessanta uomini e sessanta donne, in base a caratteristiche fisiche e intellettive. Tra queste, fu scelta una giovane insegnante di nome Nadia Towensen.
Io derivo da lei.
«Con che coraggio mi parli di evoluzione? Siamo cresciuti in capanne di legno in mezzo al bosco, soffrendo il freddo e la fame. L’influenza si è portata via metà della nostra gente. E per cosa poi?»
Ethan mi guarda, «Per essere liberi.»
«Quanto sei ingenuo! Non esistono uomini liberi, Ethan. Non più.» ora anche la dottoressa Erin guarda verso di me, «Ve ne dovete andare. Grace non si è presentata a scuola, le telecamere della stazione vi hanno ripreso, presto capiranno che siete qui e si chiederanno perché. Farete meglio a sbrigarvi.»
«Te lo chiedo un’ultima volta. Vieni con noi, Lucy.»
«Mi chiamo Erin. È sempre stato il mio nome. I Ribelli mi hanno chiamato Lucy quando mi hanno rapito. Che lo vogliate ammettere o no, questa è casa mia... ed è anche casa vostra.»
Ethan mi afferra per un braccio e mi trascina via. Prima di uscire, guardo la dottoressa un’ultima volta, sicura che non la vedrò mia più.
Lei mi sorride, «Siamo eterni.» dice, «Ora e per sempre.»
Restiamo in silenzio durante il viaggio di ritorno. L’isola si fa sempre più lontana. È strano pensare che da quell’isoletta gli scienziati controllino gli abitanti di Willow Bay e di altre quattro cittadine.
Una volta arrivati in stazione, Ethan mi fa cenno di seguirlo, sempre senza proferire parola.
Decido di rompere il silenzio: «Anch’io sono un robot del cazzo?»
«Cosa?» Ethan mi guarda come se si fosse appena accorto della mia presenza, «No. Tu sei diversa, Grace. Vedrai ti troverai bene a Southfield.»
Annuisco poco convinta, «Io sono un'insegnante.» dico senza distogliere lo sguardo da terra, «Mi piace il mio lavoro.»
«Buon per te.»
«Potrò fare l’insegnante anche a Southfiled?»
Lui sorride, sembra improvvisamente meno teso, «Potrai fare quello che vuoi.»
«Come faremo a passare il confine?»
«Non ti devi preoccupare di questo. Siamo più di quanti credi.» mi fa l’occhiolino, «Sono venuto a prendere Lucy prima che fosse troppo tardi. Lei ha fatto la sua scelta e io la rispetto, ma ormai siamo pronti.»
«Pronti per cosa?»
Parla con un tono di voce talmente basso che lo sento appena, «Nei prossimi giorni... distruggeremo l’isola degli scienziati.»