Capitolo 3

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Entro distrattamente sotto il getto d'acqua calda, ignorando le parole macabre e sensa senzo sussurrate dai tizi che mi stanno accanto.
Dopo circa un mese passato in questo carcere per malati mentali mi sono abituato a questa cosa della doccia in comune.
Ammetto che all'inizio ho cercato di scamparla in tutti i modi: non mi andava proprio a genio l'idea che non ci fosse neanche una tenda a dividere il mio corpo minuto e pallido dalle occhiate furtive degli altri (come se adesso mi faccia piacere), ma col passare dei giorni ho capito che è una cosa inevitabile.
Chiudo gli occhi e alzo la testa verso il soffitto, godendomi ogni goccia che cade, picchiettando insistentemente sulle mie spalle e sui miei capelli corvini.
Dopo alcuni minuti la porta della stanza si apre emettendo un lieve cigolio e facendo voltare tutti all'unisono.
Gli infermieri e le infermiere addetti agli altri pazienti entrano uno dopo l'altro, seguiti da Caroline e, ogniuno con un asciugamano in mano, si dirigono verso i malati a loro affidati.
La donna dai capelli color sangue mi lancia il panno bianco senza un minimo di grazia, esclamando un: -Dai, asciugati che sennò ti ammali!- forse a voce un po' troppo alta, facendo girare ogni persona presente, nella sua direzione.
Lei sorride imbarazzata e le sue gote assumono un particolare color vermiglio acceso, che si intona particolarmente bene con i capelli.
Abbassa lo sguardo sulle punte delle sue scarpe da ginnastica bianche, ma grigiastre per lo sporco ed io comincio a strofinarmi energicamente i capelli con l'asciugamano.
Continuo finchè le braccia non si stancano e ricadono contro la mia volontà lungo i fianchi, per poi legarmelo in vita.
Allungo un braccio in avanti e schiocco le dita leggermente vicino al viso dell'infermiera per risvegliarla dai dolorosi ricordi.
Lei sobbalza e in una frazione di secondo mi ritrovo la mano ben ancorata alle sue spalle per sorreggermi.
Ci incamminiamo verso la cella senza proferire parola (cosa molto apprezzata dal sottoscritto) e, una volta arrivati, mi siedo come mio solito fare, sul letto dalle lenzuola bianche.
Caroline afferra quella sottospecie di pigiama che ci fanno indossare e me la lancia in testa, guadagnandosi niente di meno che una delle mie occhiate assassine peggiori.
-Vestiti. Tra qualche minuto potrai uscire. Io verrò ad aprirti la porta, ma non ti seguirò per tutta l'ora... ho deciso di metterti alla prova: vediamo se ti sono tornate le forze e se riesci a camminare da solo! Se vedi che non ce la fai non esitare a chiamarmi.-
Annuisco debolmente mentre lei si chiude la porta alle spalle, anche se tutto quello che vorrei fare è mettermi a saltellare per la stanza come un bambino.
Finalmente una gioia!
Non avrò quell'impicciona tra i piedi per un'ora intera!
Non faccio in tempo a pensarlo che rivedo sbucare dallo spioncino un ciuffo di capelli rosso sangue e sento la serratura scattare, emettendo uno schiocco sordo.
Faccio leva sulle braccia per alzarmi, affondando i palmi sul materasso e facendo contrarre le molle fino ad emettere un leggero cigolio.
Pianto le ciabatte a terra e, con una spinta, mi ritrovo "magicamente" in piedi, senza il sostegno di nessuno.
Provo a fare un passo in avanti.
Le gambe tremano.
Poi un'altro.
Una scossa violenta mi attraversa la pianta del piede.
Coraggio, solo uno!
Con un ultimo movimento veloce poggio il piede a terra e mi sorreggo con la schiena allo stipite della porta.
Allungo lo sguardo verso il corridoio e controllo sia davanti che dietro di me.
Devono aver chiamato Caroline per aiutarli con qualche paziente, perchè non riesco a vederla da nessuna parte.
Ad un certo punto un urlo strozzato alle mie spalle mi fa sobbalzare.
-COME HAI POTUTO, WILL?!?! LO SAI CHE NON LI VOGLIO VEDERE! NON LI VOGLIO NEANCHE SENTIR NOMINARE QUEI DUE!!!-
Volto la testa verso la cella numero 26, sicuro che la voce provenga da lì e stacco la schiena dal metallo freddo e arrugginito.
Faccio un passo barcollante nella sua direzione, strisciando i polpastrelli delle dita contro il muro bianco candido.
Non so bene il perchè...
Forse per un senso di maggior sicurezza, sta di fatto che, esattamente un secondo dopo, vedo sbucare fuori dalla cella di Amalia una maglietta arancione e una chioma di capelli scompigliati e incredibilmente biondi, al quanto familiari.
Il ragazzo indietreggia lentamente con le mani all'altezza del petto, rivolte verso la sclerata dai capelli color marshmellow, come per tenerla alla larga e un'espressione tra il terrorizzato e il divertito sul volto.
-Emily, calmati!-
Si ferma non appena la sua schiena tocca la superfice rigida del muro, dalla parte opposta rispetto alla porta.
La ragazza sbuca fuori dalla cella, con un espressione stranamente tranquilla e si libera in un rumoroso e tremolante sospiro di frustrazione.
-Sono calma... Amalia è calma... Emily è calma... siamo calme, giusto?-
Chiude gli occhi per un secondo, come per chiedere il consenso al suo alterego, per poi ricominciare a parlare, con un tono di voce molto più alto.
-NO! NO, NON SONO CALMA, OKAY!?!?! TU HAI CHIAMATO I MIEI GENITORI, WILL! CHI TI HA DATO IL PERMESSO? EH!?!?!-
Il biondo si volta nella mia direzione, ignorando completamente le urla isteriche della ragazza dalla personalità multipla e mi mima con le labbra un "ma fa sempre così?" appena sussurrato.
Fortunatamente le nostre stanze sono talmente vicine che mi basta fare un passo in avanti per arrivare ad un metro dalla sua porta.
-No. A quanto pare è un trattamento che riserva solo a te. Ritieniti fortunato!-
Sfodero uno dei miei sorrisi finti più inquietanti e ritorno con lo sguardo su Amalia... Emily... si, insomma, lei!
Sembra mi abbia notato solo ora.
-Ehy! Ciao Nico. C'è qualche problema?-
Scuoto la testa, infilando i pugni chiusi nelle tasche della camicia e tamburellando, per quanto mi è possibile, la punta del piede destro a terra.
Dopo alcuni secondi di assoluto silenzio decido di tornarmene nella mia cella.
Faccio per andarmene, voltandomi lentamente nella direzione opposta da dove sono venuto e liberando una mano dalla tasca, per poi riappoggiarla al muro.
-Dove vai?-
-Vi lascio alla vostra "discussione" e me ne ritorno in camera.-
Mimo le virgolette con le dita e senza neanche guardarla, continuo la mia camminata.
Ma come posso sperare che vada tutto liscio?
Non appena il mio piede tocca terra le mie gambe iniziano a tremare e il corridoio comincia a girarmi intorno in un valzer scoordinato e scomposto.
Le voci dei ragazzi alle mie spalle che mi chiamano sembrano lontane kilometri, offuscate da una fitta coltre che mi circonda la testa e che mi fa sentire come all'interno di una teca di vetro.
Le ginocchia cedono.
Le unghie della mano cercano invano di trovare un appigglio sul muro liscio e senza imperfezioni e, in meno di un secondo, il buio mi avvolge.
●○●○●
-Nico Di Angelo, se non ti svegli tra tre secondi giuro che ti tiro un pugno!!!-
-Così peggioreresti solo la situazione, non credi?-
-Ah... giusto.-
Due voci insopportabili, più vicine di quanto pensassi, giungono alle mie orecchie.
Cerco di aprire le palpebre, lentamente, in modo da far abituare più velocemente gli occhi alla luce, ma nel farlo dalle mie labbra esce un leggero gemito involontario.
Ben fatto Nico!
Se il tuo intento era quello di non farti notare ci sei riuscito alla perfezione, fidati.
-N-Nico!-
Una terza voce si aggiunge a quelle di Amalia e del suo amichetto abbronzato.
È più calda e più pacata delle altre.
Deve essere Caroline...
-Su ragazzi, lasciate fare a me. Ha bisogno solamente di riposare e di mangiare qualcosa... soprattutto di mangiare: le vitamine che gli abbiamo iniettato non sono sufficenti per mantenerlo in forze.-
Sgrano gli occhi e metto a fuoco le tre sagome dai capelli decisamente singolari che si ergono poco lontane dal letto.
Mi soffermo particolarmente sulla chioma scopigliata e incredibilmente bionda del ragazzo vicino alla porta.
È alto, probabilmente qualche centimetro più di me, i suoi occhi sono di un colore tenue ed intenso allo stesso tempo, brillanti come lo zaffiro, ma molto più chiari.
Niente di spaventoso, tralasciando il fatto che mi sta fissando in modo inquietante, neanchè fossi sospettato di qualche reato.
La rossa mi toglie la flebo (che non mi sono nemmeno accorto di avere) dal polso ed esce di fretta dalla stanza, senza spiccicare una misera parola.
Impossibile.
Non può essere la mia infermiera... la mia tutrice a quest'ora avrebbe fatto una delle sue solite battutine ridicole e avrebbe trovato una qualunque scusa per scappare via.
Uno sbuffo di disperazione mi risveglia dai miei pensieri.
-Dovevi svenire proprio adesso? Potevi almeno aspettare le presentazioni!-
Incrocio le braccia al petto e alzo un sopracciglio, decisamente stufo delle esclamazioni inutili della ragazza dalla doppia identità.
Mr. Maglietta Arancione si avvicina lentamente al letto, mutando radicalmente espressione e si abbassa alla mia altezza, poggiando tutto il peso del suo corpo sulle punte dei piedi.
-A questo si può rimediare! Piacere, Will Solace.-
Sul suo volto circondato da numerose lentiggini spunta un enorme e spiazzante sorriso a trentadue denti.
Un sorriso diverso dal solito, però.
Un sorriso familiare.
Uno di quei sorrisi che stanno a significare "Ho sofferto, ma l'ho superato a testa alta!".
Uno di quei sorrisi che dedichi solo ad una persona che sai aver vissuto lo stesso "inferno" che hai vissuto tu.
Uno di quei sorrisi che ti lasciano senza parole.
Sono sicuro di conoscerlo.
Io questo tizio l'ho già visto da qualche parte.
Abbasso lo sguardo sulla sua mano, ancora tesa nella mia direzione e ricambio la stretta, leggermente imbarazzato.
-Nico Di Angelo.-
L'improvvisa entrata in scena di una Caroline con un piatto in mano ci costringe ad alzare lo sguardo sulla porta rimasta aperta.
-Will ti conviene andare adesso, i dieci minuti sono passati da un pezzo! Non sia mai che danno la colpa a me della tua cocciutaggine!-
Il biondo si alza senza protestare, si avvicina ad Amalia e le cinge le spalle con le braccia in un abbraccio fin troppo sdolcinato per i miei gusti.
Una volta staccatosi dalla stretta, cambia immediatamente direzione, facendo un passo nella mia direzione e dandomi una pacca amichevole sulla spalla.
ASPETTA, COSA?!?!?
Cos'è tutta 'sta confidenza???
Gli lancio un'occhiata truce, che, sfortunatamente, sembra non notare e lo osservo uscire dalla porta, seguito da Emily, che mi saluta scuotendo energicamente la mano.
La prossima volta che mi sfiora lo presento a mio padre...
L'infermiera si chiude la porta alle spalle dopo aver lasciato i ragazzi con un grande sorriso e si abbassa più o meno alla mia altezza, appoggiando il piatto che teneva in mano sul materasso bianco.
-Come stai, tutto apposto?-
La sua voce risuona diversa alle mie orecchie.
Più dolce, più tranquilla, ma con un pizzico di preoccupazione, che nonostante i suoi evidenti sforzi non è riuscita a nascondere.
Non riesco neanchè a ricordare l'ultima volta che ho sentito qualcuno parlarmi con questo tono.
Anzi si... lo ricordo bene invece.
L'unica persona che mi abbia mai trattato come sta facendo Caroline, a parte Bianca, è stata mia madre.
Lei che c'è sempre stata per me e per mia sorella.
Lei che non ci ha mai fatto mancare nulla.
Lei che aveva detto che non ci avrebbe mai lasciato.
Lei che ora non c'è più per me.
Probabilmente sarà felice ora.
Bianca l'avrà raggiunta e si saranno finalmente riabbracciate.
Ma allora perchè, nonostante tutti gli anni che sono passati, ogni volta che penso a loro vengo circondato da un muro impenetrabile di tristezza e malinconia?
Perchè non riesco semplicemente ad accettare che quelle che sono state le donne più importanti della mia vita se ne sono andate per sempre?
Forse non riuscirò mai ad accettarlo.
Una lacrima traditrice scende indisturbata, rigandomi silenziosamente una guancia.
L'espressione comprensiva della rossa cambia radicalmente in uno sguardo di puro terrore.
Mi asciugo velocemente la guancia con la manica del pigiama bianco, creando una minuscola chiazza scura sulla stoffa candida.
In una frazione di secondo le braccia esili della mia tutrice si intrecciano dietro al mio collo e una sua mano si va a posare delicatamente sui miei capelli corvini, ignorando completamente la legge "Niente contatto fisico"  valida a chiunque mi circondi.
Per questa volta la risparmio.
Alzo lentamente le braccia, appoggiandole sulla sua schiena e stringo con forza tra le mani il camice azzurro, quasi fosse la mia unica ancora di salvezza.
Senza alcun preavviso, fiumi di lacrime cominciano a scendere insinuosi dai miei occhi neri come la pece e il mio corpo viene scosso violentemente da singhiozzi strozzati.
-Oh, Nico... mi dispiace.-
Non rispondo.
So bene che dice la verità, ma so anche che non riuscirà mai a capire come mi sento.
-Vuoi parlarne?-
No, non servirebbe a niente.
È gia troppo imbarazzante essere scoppiato a piangere di fronte a lei, figuriamoci se mi metto anche a raccontarle la triste storia della mia inutile vita!
Non devo parlare.
Devo resistere.
Tra qualche giorno potrò tornare al campo e si sistemerà tutto.
Devo solo aspettare.

~Spazio me!!!~

Eccomiiiiii!!!
Vi sono mancata?
Naturalmente sì! Che domande faccio?
Ed eccomi come ogni martedì con un nuovo capitolo di questa fan fiction fantasticousa ;)...
*La modestia dove l'hai lasciata?*
Shhhhhh, silencio!
Sono io la voce narrante quì!!!
Ed ecco a voi svelata l'identità del nostro personaggio misterioso...
*Misterioso??? :|*
...il nostro Will-so-il-più-figo-del-campo-Solace!
Ma quanto lo adoro?
Tralasciamo. :)
Che ne dite di questi primi tre capitoli!?!?!?
Guardate che non mi offendo mica se ogni tanto mi arriva la notifica di qualche commentino random quà e là!
Anche solo un misero "Ciao" andrebbe bene...
No eh?
Vabbè, apparte gli scherzi, spero vivamente che la storia vi stia piacendo e non esitate a scrivere se ci sono errori o correzioni da fare.
Accetto tutte le critiche e tutti i suggerimenti ;)!!!
Alloraaaaa...
Ci sentiamo martedì!

Sciauuuu!!!♡

𝐍𝐨 𝐖𝐚𝐲 𝐎𝐮𝐭 ||𝐒𝐨𝐥𝐚𝐧𝐠𝐞𝐥𝐨||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora