Frammenti di vita. (Pt.1)

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Stavamo sul letto, vedevo la sua schiena nuda, ancora con qualche gocciolina di sudore e i suoi capelli blu, solitamente raccolti in una crocchia scombinata, ricadere lungo essa, intravedevo uno dei suoi nei, il contrasto tra la sua pelle bianca latte e i suoi capelli blu era piacevole ai miei occhi, sentivo il suo respiro leggero, si passò una mano tra i capelli, mandandoli all'indietro, si girò verso di me, e timidamente mi sussurrò una parola, molto semplice, che diede un senso a tutto. "Ti amo". Le sue pupille marroni si fecero di un marrone più intenso del solito, e divennero scintillanti. E il suo volto da bambina cresciuta a incorniciarli perfettamente. La presi tra le mie braccia, la strinsi a me e poi la baciai.
Uno di quei baci che dai una volta su mille.
Che non si dimenticano.
Come la notizia che quel pomeriggio mi diede, era incinta.
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Posò il bicchiere in vetro con troppa forza sul tavolo, facendo uscire un po' di rum da esso, che andò a schiantarsi contro il tavolo bianco marmoreo, creando una pozzangeretta giallognola.
Ma non ci facemmo caso, o meglio, non ci fece caso lei.
Agitava le braccia come una pazza e aveva un'espressione spaventosa.
I suoi occhi sembravano due pozzi neri, o pece pura forse, contornata da uno strano rossore da lacrime e un velo di tristezza. Aveva le occhiaie. "Ammettilo, non mi ami più!" Cercai di spiegarle, ciò che provavo ora si era indebolito, e in parte, trasformato.
Le sue attenzioni mi soffocavano.
Le sue mani affettuosamente intorno al mio collo sembravano soffocarmi più che coccolarmi.
La sua mano intrecciata alla mia sembrava un lucchetto del quale con avevo più la chiave piuttosto che un dolce intreccio.
Ma nonostante ciò, sapevo di amarla.
I capelli blu caddero lungo il suo volto e il suo corpo, disfacendo la crocchia che aveva fatto poco prima, raccolsi l'elastico rosa che le era caduto a terra e con dolcezza glielo porsi, con una mano quasi felina me lo strappò via, piena di rabbia, e parlando a macchinetta nella sua mente, ma producendo solo silenzi si rifece la crocchia. La osservai.
Amavo il movimento ormai meccanico, con il quale si rifaceva la sua crocchia abitudinale, come se ormai fossero una serie di movimenti naturali. Fallì. Le tremavano le mani, e non riusciva a legarsi i capelli, nervosamente si mise l'elastico al polso, scuotè la testa all'indietro e lascio che i capelli si sistemassero alla rinfusa.
Afferrò il bicchiere e bevve quel liquido velenoso, tracannandosi gran parte d'esso, dai suoi occhi, stretti a fessure uscirono delle lacrime, che ricaddero dento al bicchiere, ancora alla bocca.
Avevo a cuore la sua salute, non credevo d'amarla, ma tenevo a lei.
Presi il bicchiere dalle sue mani umide e gelide, sfiorandogliele e buttai il liquido restante nel lavandino. Non riusciva a proferire parola, così lo feci io. "Ti ho amata, e non ho detto che non ti amo
-presi l'elastico dal suo polso minuto-
ho solo detto che sono stanco del tuo atteggiamento
-raccolsi i suoi capelli in un'unica coda alta-
non puoi comportarti come una bambina e pretendere d'esser trattata da adulta, sei cambiata, non sei più la ragazza spensierata che conoscevo e amavo
-feci girare i capelli, formando una crocchia-
ma puoi cambiare, lo so, io tengo a te, e non ti lascerò, perché ti amo, ma mi fai paura. Hai bisogno di uno psicologo, e lo sai bene pure tu.
-avvolsi la crocchia con l'elastico-
Ecco fatto, risolto, ora i tuoi capelli sono più gestibili direi, ti devi solo lasciar aiutare, come ho fatto con la tua crocchia, e tutto tornerà al suo posto."
Restò tremante a fissarmi. I suoi occhi avevano riacquisito il loro marrone orato, colore simile alla cannella.
La sua voce ancora tremolante spezzò via i sui silenzi "Tu mi ami ancora?¿?"
"Sì, ma non come prima."
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Stavo passeggiando, come facevo spesso, lungo un viale con grossi alberi, che in novembre diventava stranamente solitario, le persone non ci andavo e lasciavano spazio alle foglie gialle rosse appese agli alberi, pronte a cadere, o quelle che danzavano con il vento, o quelle che formavano dei mucchietti in terra.
Il brecciolino sotto i miei piedi andava a intermittenza tra buchi di pozzanghere ormai seccate dal gelo e vuote e foglie ormai quasi scomparse posate a terra.
Vidi dei miei vecchi amici di scuola giocare a basket sul campetto, tutti imbacuccati come fossero -70 gradi.
Sciarpe, sciarpine, sciarpone, cappelli, guanti, giacconi, felpe giganti e tanto altro che dava l' idea fosse inverno, e non autunno.
E io, in maniche corte con sopra un cardigan leggero e aperto, dei jeans e il mio solito berretto a coprirmi i capelli.
Alzai un braccio in cenno di saluto appena mi videro, e mi invitarono a giocare un po' con loro, accettai, avevo perso un po' l'allenamento lo ammetto, non giocavo con loro dal tempo delle elementari, ma era stato divertente. Salutai tutti con una calorosa pacca sulla spalla e me ne andai, continuando la passeggiata per la mia strada, lungo il percorso, molto simile ad un lungo viale d'un parco.
Ero vicino al laghetto, in autunno non c'erano le papere, ma era bello lo stesso, il fruscio dell'acqua faceva da calmante. E lì, sulla panchina vicino al laghetto la vidi.
Era davvero bellissima, aveva dei bizzarri capelli blu tutti scombinati, raccolti in una crocchia ormai quasi sul punto di cedere, e una carnagione particolarmente chiara.
Tutta presa dal disegno che stava facendo, armeggiava con quelle matite, che neppure notò il mio passaggio. Mi sedetti accanto a lei sulla panca in legno umida e finalmente alzò lo sguardo.
Due occhioni marroni orati si posarono interrogativi su di me e con uno sguardo da bambina e una voce melliflua mi chiese "Per caso ci conosciamo?¿?" Arrossii leggermente e presi parola "No, passavo di qui e ti ho vista disegnare, spero non ti disturbi la mia presenza" accennò un sorriso e si rimise a disegnare.
Stava raffigurando quel posto, il laghetto, gli alberi e la stradina.
Passammo il pomeriggio in quel modo, mi parlò delle varie tecniche di disegno che utilizzava, tutta presa a quel suo sketch, con una certa euforia mista a dolcezza nella voce.
Finché non si fece sera, e dovemmo tornare a casa.
Non sapevo neppure il suo nome, ma sapevo che amava disegnare con le matite HB.
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