Non so che titolo dare...

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02-02-2002.                                
3:59
Mai avrei immaginato la morte ci avrebbe divisi.
Mai avrei creduto lui potesse anche solo provare a soffocarmi.
Mai avrei creduto tutto ciò.
Ero seduta sul tavolo in cucina, dondolavo le gambe lungo lo stacco tra il tavolo e il pavimento con noncuranza.
Si stava spegnendo lentamente.
Un lento affievolirsi.
Scomparendo la parte rossiccia e brillante, si ricopriva di piccole frammentazioni grigiastre, che andavano gradualmente scurendosi.
Ecco ci siamo.
Ogni volta, in quel momento avvicinavo il dito, sentendo il lieve calore, stavo con la voglia di posarlo sopra.
Mi incantavo spesso in quel modo banale, mentre ragionavo nella profondità del mio vuoto.
Osservavo ogni piccolo passaggio, che fosse cromatico, che fosse di densità, che fosse di stato, che fosse di calore io lo osservavo, quasi a comprenderlo e assecondarlo, ripetendo nella mia mente cosa sarebbe successo nei prossimi imminenti secondi.
Il rumore però era la cosa che forse più mi rilassava, insieme al suo rosso intenso, che risplendeva nel buio della nostra cucina.
Avvicinai la mano alle labbra distrattamente, e distrattamente tornai alla realtà, seppur nei miei pensieri.
"Cioè capisci!? Il Nobel cazzo, sarebbe stupendo piccola, no!?" lo guardai annuendo, mentre eravamo fiocamente illuminati dal rossore della luce che emanavano le sigarette.
Lo stavo quasi detestando.
Sapeva spezzare il mio tepore di disillusione dalla realtà, era l'unico a saperlo fare così velocemente e con così tanto menefreghismo nei miei confronti.
Blaterava sui soliti discorsi, una volta interessanti, ma ormai solo noiosi e ripetitivi, camminando per la cucina come un povero essere impazzito.
Parlava, parlava e parlava, senza mai agire, sarebbe stato un oratore magnifico, se solo avesse avuto il coraggio di esprimersi al mondo, ma il suo modo essere gli impediva di parlarne con chiunque, chiunque tranne me.
"CAPISCI!? Le molecole, gli atomi, fusioni TRA QUARK! ALTROCHÉ NUCLEARE, CAZZO AMORE!"
Io ero assorta nella mia più totale tranquillità, ma quella minuscola personcina sapeva farsi detestare davvero facilmente, sapeva urlare con entusiasmo spaventoso, sapeva passare da calma totale a irrazionale conoscenza teorica espressa con troppa euforia.
Lo guardai, aveva gli occhi forse più scintillanti di un fuoco nel suo pieno ardere, ma ciò era ormai normale nel pieno della notte, nel pieno dei suoi discorsi.
Era assente mentalmente, mi richiamava in ogni suo discorso, ma sarei potuta uscire di casa silenziosamente e non se ne sarebbe accorto, avrebbe continuato come se fossi lì.
Perché allora non ero a letto?
Perché lo amavo.
Il suo esser fastidiosamente acculturato mi portava a voler assistere ogni volta alla sua follia.
Allora perché non ascoltavo?
Perché come sapevo i passaggi graduali della mia sigaretta, fino quasi allo spegnersi tra le mie mani, conoscevo ogni sua reazione, azione e parola di quei momenti.
Ma ogni volta non desideravo altro che esser lì, in quei momenti.
Presi la birra dal frigo, il pavimento gelido sotto i piedi era quasi piacevole, dopo ore di vuoto.
Bevevamo insieme ora dopo ora.
Ma non eravamo insieme, io pensavo ai fatti miei e lui pensava alle sue scoperte.
Ma alla fine ciò piaceva a entrambi.
Il vetro intangibile che in quei momenti ci separava stava per subire un crollo.
Ma nessuno dei due lo sapeva.
Nessuno dei due se lo aspettava.
Tanto meno sapevamo a cosa ci avrebbe portati quel minuscolo istante.
La sua follia teorica e il mio vuoto esistenziale per la prima volta si sarebbero fusi, in una cosa sola.
In quei momenti nessuno dei due esisteva lì, eravamo in camere totalmente separate, ma ci potevamo sfiorare se lo volevamo.
Ci sentivamo, nonostante ci fossero anni luce tra di noi.
Mai osavamo però seriamente fermarci e cambiare le cose in quei momenti.
Ci fermava il tempo, ci fermava la stanchezza dei nostri corpi, facendoci crollare nel sonno, la mattina dopo nulla era successo, l'amore tornava a risplendere nei nostri volti, parlavamo, facevamo l'amore e facciano tutto quello che delle coppie normali che abitano insieme fanno.
Ma in quei momenti eravamo due folli che seguivano uno schema preciso, uno schema tracciato da crudeltà, apatia e pazzia pura.
Nel mio vuoto esistenziale non sapeva gli omicidi che mi passavano per la testa, i modi accurati con i quali li studiavo e programmavo nei minimi dettagli, sarei stata un'assassina introvabile, intoccabile, impensabile nel mio genere, avrei potuto far grandi cose nel mio ragionare.
Lui avrebbe potuto far esplodere l'universo senza nessuno mai lo sapesse, non cambiando niente nella vita, ma relativamente distruggendo ogni cosa, cambiare tutto senza nessuno vedesse il cambiamento con occhio, ma avvertendolo.
Quei momenti erano sacri a noi.
Mi avvicinai ad un mobile, nella sua più totale distrazione, afferrai un bicchiere e lo lanciai al muro, proprio a pochi centimetri da lui, risi in modo malato e malsano.
Il suo sguardo ora brillava più del solito, per la prima volta aveva gli occhi su di me.
Si accorse.
Mi vide.
Io lo vedevo.
Vedeva il mio vuoto.
Vedevo la sua follia.
Ora stava a lui la prossima vera mossa.
Non sapevo cosa sarebbe successo.
In quel strano e unico momento sfogammo la passione, facendo l'amore sul tavolo, ma ciò contribuì solo la follia momentanea che avevamo.
Non fu amore, ora lo so, in quel momento eravamo solo corpi e menti che si conoscevano bene, ma in quel momento l'odio vinceva e univa i nostri corpi.
Dicono che prima di morire vedi i momenti belli della vita, che vedi ricordi anche lontani.
Vidi lui.
Vidi il nostro primo incontro.
Ero seduta fuori da un bar con un'amica, aspettando aprisse.
Un gruppo di ragazzi vicino a noi.
Cominciammo a parlare tutti insieme, finché non mi venne a mancare il fiato, ma non per il troppo parlare.
Il primo pensiero che mi venne su di lui fu il suo esser brutto e alto, fu davvero la prima cosa che pensai, era brutto ma lo trovavo al tempo stesso la creatura più attraente al mondo, io avevo un bisogno generale di lui, la mia mente lo urlò appena lo vide.
Mi terrorizzava il suo sguardo posato su di me, il terrore che mi metteva era pura adrenalina.
Gli orgasmi che solo lui sapeva darmi da quel giorno in poi erano attimi di puro respiro vitale.
Il suo ignorarmi era puro dolore, che mi lacerava e strappava via ogni millimetro di ciò che ero.
Il nostro detestarci era puro amore.
Cazzo quanto imparai ad amarlo nel nostro detestarci.
Gli avrei messo la mia vita tra le mani se solo me lo avesse chiesto.
Ogni suo gesto era per me incanto.
Ogni sua curva o spigolo era a me arte.
Non c'era lato di lui che non amassi, sinceramente.
Lui provava lo stesso, lo sapevo.
Stavo per morire?
Non vedevo più nulla, era buio totale, ma lo sentivo, avvertivo che lui era lì.
La mano grande e gelida sul mio collo era la sua, l'avrei saputa riconoscere tra tutte le mani del mondo.
Era dietro di me.
La mano gelida stringeva lentamente il mio collo.
Mi girai.
Lo vedevo ora.
Era bellissimo.
L'immagine pian piano cominciò a svanire, mi sentivo lentamente sempre più debole, non respiravo più.
Io sapevo il suo modo nascosto di ragionare.
Ma lui i miei pensieri mai li conobbe.
No, non fu un semplice "trasferimento" dopo "esserci lasciati" .
Io lo amavo.
Io lo amo.
Negli ultimi secondi di vita non gli dissi "ti amo".
Ho bisogno lui lo sappia.
Questo è il mio unico errore.
Il mio unico rimpianto.
Deve sapere.
Solo oggi confesso tutti questi momenti, solo oggi vi dico come andarono davvero le cose.
Voi ora dovete sapere, così da capire la mia morte.
Mai avrebbe saputo che il suo sangue sarebbe scolato tra le mie mani, ore dopo, lavandole.
Non avevo mai programmato di uccidere chi amavo, la mia mente sapeva uccidere alla perfezione, ma non sapeva di dover uccidere amando.
Quel giorno con lui è morta anche la mia anima.
Ma il mio amore per lui è ardente, come lo erano i suoi occhi mentre provava a soffocarmi.

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