8 - Who are you?

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Il mattino seguente Elyenne si sentì distrutta, in tutti i sensi.
Fisicamente era dolorante e instabile, ogni suo minimo movimento era compiuto con un sforzo senza eguali.
Psicologicamente era provata e distrutta, avrebbe voluto estirparsi il cervello e lanciarlo dalla sua finestra, per poter finalmente godersi la vita e non pensare più a nulla.
Suo malgrado, tutto ciò si rivelava null'altro che una delle sue infinite illusioni. Quindi se ne stette rannicchiata in posizione fetale fra le sue coperte che profumavano di sogni.
I sogni che faceva da piccolina, e di quelli terribili che faceva adesso.
Sperava di non aggiungergliene altri, dal momento che ogni sogno, uno dopo l'altro, non si era avverato neanche per sbaglio; neanche di striscio. Semmai accadeva il contrario.
Quindi Elyenne aveva smesso di sognare, perché non era nient'altro che una ragazza strana, ed aveva le guance che sembravano malate e bisognose di carezze, ma andava bene così.
La sera precedente era andata a letto senza cenare, come era suo solito fare da quello che era all'incirca un mese.
Non che importasse a qualcuno, comunque. Delle volte si trovava a ringraziare suo padre per aver firmato anche l'adesione per il pranzo in mensa, dal momento che lì avrebbe fatto a meno di mangiare con la scusa, fondata, che il cibo facesse schifo.
Per quanto riguardava la merenda, saltava pure quella. Passava i suoi interminabili, monotoni e tristi pomeriggi a Paradiso e delle volte rientrava a casa direttamente all'ora di cena, salendo in camera sua tramite la grondaia.
E che voi vogliate crederci o meno, Elyenne non vedeva sua madre da circa una settimana, non che le dispiacesse, intendiamoci, ma per far intendere meglio il concetto di quanto disfunzionale fosse quella famiglia; o quello che ne rimaneva di essa.
Aveva sentito suo padre circa tre mesi fa', lui era felice con la sua nuova vita.
Aveva avuto tre figli da quella slovacca della sua nuova moglie, due maschi ed una femmina.
Era letteralmente innamorato di quest'ultima: non smetteva di ripeterle quanto grandi e belli fossero quegli occhi verdi, quel piccolo nasino e quella sua boccuccia fine. Per non parlare della sua fissa con i capelli biondi.
Il mondo di Elyenne crollò un'altra volta e lei non poté fare nulla per impedirlo, vani sarebbero stati i suoi tentativi. Perciò continuava a fingersi sorpresa e rispondere con monosillabi che a volte, neanche c'entravano con il contesto.
Si sentì inadatta, brutta e se possibile, ancor più disgustata da se stessa.
I suoi occhi scuri vuoti, non erano di certo paragonabili a quelli chiari e lucenti della bimba di due anni. Il suo volto scavato, i suoi capelli lisci e scuri, i suoi lineamenti duri; erano solo tutti immensi ed irrimediabili difetti di fabbrica.
Perché lei era una ragazza strana, ed aveva le guance che sembravano malate e bisognose di carezze, ma andava bene così.
Quello era un giorno come un'altro. Nulla di particolare, di speciale. Nulla che potesse renderla felice.
Quella mattina non aveva proprio voglia di andare a scuola, ma si ritrovò costretta, quando sentì la voce di sua madre ridere e scherzare con Stephen. E si chiese se lei sapesse dei segreti che suo fratello le nascondeva, del bullismo subito a scuola e degli insulti che riceveva, per cosa poi, non si sa.
Si soffermò a fare un'analisi generale di sua madre e, come già da tempo sapeva, giunse alla conclusione che era una donna superficiale. Una donna alla quale Elyenne non avrebbe mai affidato la sua vita, per nessuna ragione al mondo. Era totalmente incapace di guardare nelle persone, di leggerle e di proteggerle, in particolar modo con i suoi figli. Ed Elyenne si ritrovò anche quella mattina a maledire ognuno dei dèi presente, per averle dato una vita tanto arida. Priva di affetto e attenzioni, priva di gioia o momenti belli, priva di vita.
Ma dopotutto pensò pure di meritarselo tutto quello schifo, in fondo non era altro che una ragazza strana, ed aveva le guance che sembravano malate bisognose di affetto, ma andava bene così.

Ore: 8:06 a.m

Non poteva esserci mattina più gelida di quella, a detta della diciassettenne che teneva le mani color bianco latte nascoste nelle tasche del suo giacchetto forse un po' troppo leggerlo per poterla proteggere veramente da quello che era il vento gelido del Canada.
A discapito di quello che sentiva, del gelo nelle ossa, si finse indifferente, quasi come se avesse aspettato mesi per goderselo, quel freddo. Le occhiatacce non tardarono ad arrivare, e lei sorrise fra se e se, con tanto di alzata di spalle, prima di aprire le porte d'ingresso dell'istituto ed essere investita da una ventata di aria calda, che fece svolazzare i suoi lunghi capelli castani, al di dietro delle sue spalle.
Quella scuola era il classico cliché americano: armadietti gialli addossati a quasi tutte le pareti, vetrine con coppe e tornei vinti, completi da cheerleaders appesi in vetrine e innumerevoli foto che rappresentavano quelli che un tempo erano gli studenti in quella scuola.
Una volta, ad Elyenne parve di scorgere il volto di suo padre in una di esse situata nella mensa, ma così come lui ignorava e non prestava attenzioni a sua figlia, aveva ricevuto il medesimo trattamento da parte di quest'ultima.
Perciò Elyenne si ritrovò a depositare i libri nel suo armadietto, sul quale apparivano scritte non poco discrete, ma che a lei non importavano veramente.
All'inizio forse, si sentì spaesata e fuori luogo, adesso invece non le cambiava nulla. Semplicemente smise di porgervi l'attenzione.
Prese il libro di letteratura e se lo mise sotto braccio, la letteratura le piaceva, e  rientrava nelle sue materie preferite.
Gherrin Yaloth se ne stava appoggiato con una sola spalla ad uno degli armadietti situati lungo il corridoio, dove lei doveva obbligatoriamente passare per raggiungere la sua classe.
Elyenne non aveva paura, non era intimorita, non era in ansia; si rese conto che chiunque avrebbe potuto parlare di lei, chiunque avrebbe potuto ucciderla, insultarla, picchiarla o schernirla, chiunque.
A lei comunque, non importava più nulla.
Era una persona così vuota, in quel preciso momento, una persona arida ed ostile, anoressica di amore.
Elyenne era una di quelle persone che, se dovesse scegliere tra la vita e la morte, non esiterebbe a dare come risposta la seconda opzione, ma dopotutto lei era una ragazza strana, ed aveva le guance che sembravano malate e bisognose di carezze, ma andava bene così.
Quindi con gli occhi fissi nel vuoto davanti a se, si esternò da tutto ed entrò nel suo mondo, mentre con le gambe doloranti percorreva impassibile il corridoio.
Non sentiva più nulla, non percepiva il pericolo, non udiva gli insulti, non captava sguardi indiscreti, non sentiva il suo cuore battere, non sentiva le sue gambe, non sentiva più se stessa, ne tanto meno i pensieri.
Continuava a tenere il suo sguardo spento puntato nel vuoto, chiedendosi cosa si provasse ad avere le ali e volare in alto, dove solo gli angeli possono arrivare.
Quando Gherrin notò la ragazza impassibile a tutto quello che le stavano infliggendo, si bloccò e diede un morso al suo interno guancia, sentendo lo stomaco contorcersi per la prima volta. Scrollò il capo e fermando i suoi amici, si allontanò insieme a questi ultimi, guardando con la coda dell'occhio la ragazza che li seguiva per entrare in classe.
La sua espressione fredda, fece raccapricciare la pelle del ragazzo dai capelli corvini, che si ritrovò a pensare su quanto quella ragazza fosse strana, ed aveva le guance che sembravano malate e bisognose di carezze, ma che lei fingesse che andava tutto bene così. E Gherrin si ritrovò a scrollare il capo e strizzare leggermente gli occhi, per tornare a pensare lucidamente. Ignorò i suoi amici che continuavano a chiedergli se andasse tutto bene, perché non lo sapeva neppure lui.
Quando si sedette, si ritrovò a pensare nuovamente su quanto avrebbe voluto scavare fra i demoni della ragazza dagli occhi marroni, che a lui ricordavano la cioccolata calda, e l'inverno glaciale. Ed avrebbe voluto accarezzarle le guance, ma lui era così. E non sarebbe mai cambiato per una ragazza con una mente del tutto malata e tutta strana. Era senza alcun'ombra di dubbio indiscutibile, quindi ridacchiò scrollando leggermente il capo e passandosi una mano fra i capelli, riordinandoli in una cresta perfettamente curata e tirata a lucido, di cui andava fiero.

Ore: 9:2o

L'ora di letteratura era letteralmente volata via e la diciassettenne si ritrovò spaesata nel sentire il rumore stridulo della campanella risuonare nell'ampia aula.
Guardò fuori dalla finestra, il vento sembrava non avere pietà quel giorno, schiantandosi violentemente contro gli aceri, che ora arancioni e rossi, cominciavano a perdere le loro foglie.
Ammirò la potenza del vento, tutta la rabbia che stava manifestando e scatenando.
Si chiese se gli dèi, fossero giunti al limite della sopportazione e quello era solamente uno dei suoi infiniti modi per ribellarsi, per sfogarsi e per manifestare il suo immenso dolore e la sua delusione per quel mondo da loro creato e che era così tanto cattivo per gli esseri viventi, come dei padri delusi dal proprio figlio.
Scrollò il capo e si morse il labbro inferiore, Akishe era sparita dalla sua mente dopo l'incontro avuto a Paradiso.
Ma non era sparita solo perché non aveva voglia di parlarle, Elyenne capì che non c'era proprio più dopo l'immenso vuoto e silenzio che le pesava sulla coscienza.
Al suo posto vi era una presenza che Elyenne non riusciva in nessun modo a spiegarsi, a riconoscere. Sapeva per certo che quella, in ogni caso, non era Akishe.
Avrebbe dovuto alzarsi ed andare a prendere gli altri libri depositati nell'armadietto, ma il solo pensiero di imbattersi nuovamente in Gherrin, la immobilizzò lì.
Non che avesse paura, quello mai.
Era solo stufa di sentirsi così tanto inutile, così strana e pazza, era stufa di essere se stessa; stufa, stufa, stufa.
"Secondo me, meriti quello che gli altri dicono su di te." Parlò un'altra voce nella sua mente, ed Elyenne sgranò gli occhi, attenta a non farsi accorgere e coprendosi con un ciuffo di capelli.
Deglutì a vuoto, i palmi cominciarono a sudarle.
"Hai sentito? Sei grassa e stupida. Aha! Stupida, stupida, stupida." Ridacchiò quella, schernendola.
Elyenne era paralizzata, le lacrime salirono velocemente nei suoi occhi scuri, che a un certo ragazzo ricordavano la cioccolata calda ed il freddo. Ma lei era solo una ragazza strana, ed aveva le guance che sembravano malate e bisognose di carezze, ma andava bene così.
"Chi sei?" chiese con tono insicuro la castana, chinando, se possibile, maggiormente il capo per poi mordersi violentemente il labbro inferiore. Perché tutto a lei? Dov'era Akishe?
Perché Akishe non era lì a proteggerla? A rassicurarla? Chi era quella voce tanto maligna che sussurrava cattiverie nelle sue orecchie?
Scrollò vigorosamente il capo, si stava ponendo troppe domande alla quale non era sicura di poter dare una risposta.
Prese un respiro profondo, gli occhi chiusi, il battito del cuore veloce e malconcio rimbombava nelle sue orecchie come gli zoccoli di un cavallo lanciato al galoppo e lei riuscì a rilassarsi per un attimo. Tuttavia, la pace non durò a lungo; la voce rideva, rideva di lei come se non ci fosse stato un domani. Elyenne avrebbe voluto aprire la sua scatola cranica e cacciare fuori dalla sua testa quel piccolo demone, che sembrava essere il diavolo in persona.
"Addirittura il diavolo?" Ridacchiò quella voce maschile, profonda e divertita, che terrificava Elyenne come nessun'altra cosa in quel momento.
Ma dopotutto cosa poteva fare lei, che era solamente una ragazza strana, ed aveva le guance che sembravano malate e bisognose di carezze?
Cosa poteva fare, per sconfiggere quel demone? Quel demone che forse non era altro che se stessa.
Cosa poteva fare dunque Elyenne per distruggere se stessa?
"Uccidersi, ecco cosa può fare Elyenne."

Se si concentrava, riusciva a sentire tutti i pezzi del suo mondo cadere a pezzi e sgretolarsi, uno dopo l'altro lo stavano facendo tutti.
E le parole mancate erano più dolorose di quelle cattive che riceveva, erano davvero più dolorose dei pettegolezzi alle sue spalle, delle etichette che gli altri le attribuivano.
Sarebbe bastato un veloce 'ti voglio bene' detto da sua madre, Elyenne non pretendeva che glielo volesse veramente, questo no, ma almeno sentirselo dire avrebbe aiutato in qualche modo quella situazione alla quale non riusciva a dare un nome, in cui si trovava, quel limbo mortale in cui lei stava camminando in punta di piedi, e se solo gli dèi avessero saputo quanto Elyenne avrebbe desiderato caderci, in quel limbo, probabilmente avrebbero mandato da lei la morte al più presto.
Ma da sadici quali erano, Elyenne sapeva che non l'avrebbero mai aiutata, mai. Quindi si rassegnò al suo destino, il suo malsano e terribile destino che, crudele, l'attendeva.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 16, 2017 ⏰

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