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Quella mattina mi ero svegliata immersa in una pozza di sudore, completamente stanca e priva di forze, come se non mi fossi da poco svegliata da un sonno che era durato per ben nove ore. Nessun incubo o spiacevole sogno, non vi era assolutamente nulla che avesse potuto turbare il mio animo se non i brutti pensieri a cui mi costringevo a riflettere.

Il senso di spossatezza e lo strano presentimento che avevo avvertito dal momento in cui avevo aperto gli occhi, mi aveva perseguitata per l'intera giornata e non c'era niente che potessi fare per quietare quell'angoscioso e smanioso tormento.

C'erano giorni in cui ero convinta che prima o poi mi sarei lasciata tutto alle spalle, ed altri invece, in cui ero sicura che niente sarebbe mai cambiato. Per me era sempre stato tutto o bianco o nero, niente mezzi termini o sfumature di colore in grado di poter storpiare e distorcere la realtà a seconda dei propri bisogni.

Il mio innato pessimismo mi aveva, con gli anni, permesso di vedere il mondo secondo un'ottica oggettivamente realista. Non capivo perché la gente fosse convinta che l'idea di felicità non potesse coincidere con chi ha un temperamento pessimista, quando in verità era possibile essere tremendamente felici pur essendo i peggiori pessimisti. 

Il fatto che non fossi pienamente felice, non dipendeva di certo dal mio modo di vedere il mondo, ma piuttosto dagli eventi che avevano deciso di stravolgere il mio di mondo. Da adolescente avevo sempre cercato di tenermi lontana dai guai evitando di frequentare brutti giri, mi divertivo esattamente come facevano il resto dei miei coetanei facendo attenzione a non esagerare. Capii ben presto che il carattere che tutti amavano confondere per introverso nascondeva in realtà una personalità audace, priva da ogni vincolo o soppressione.

Fino a poco tempo fa, ero convinta che niente e nessuno potesse essere in grado di abbattermi, avevo un ragazzo che adoravo, una migliore amica per la quale avrei fatto di tutto e l'amore incondizionato della mia strana e perfetta famiglia. Ma è proprio quanto tutto sembra andare per il verso giusto che il destino ti spinge a fare un passo indietro, ed era stato così anche dopo aver assistito al teatrino architettato da Henry.

Quanto successe a Karen, era stata l'ennesima dimostrazione di quanto illusorio e brutale potesse essere a volte l'amore.

A spaventarmi però, non era il sentimento di per sé, che di colpe ne aveva anche poche, quanto più l'odio che si celava nelle riprovevoli ed infinite maschere che gli esseri umani si ostinavano a portare.

Ero sempre stata una folle amante dell'amore, una romantica pessimista o una pessimista romantica, in ogni caso non faceva alcuna differenza, poiché ero consapevole che suonasse tremendamente male.

Non sognavo un amore simile a quello del conte Vronskij e Anna, né tantomeno come quello tra Edward e Jane, non mi nutrivo di romanzi per sopperire alla mia disastrosa vita amorosa. Sapevo perfettamente quanto lenitivo e allo stesso tempo distruttivo potesse essere l'amore, poiché lo cercavo e lo allontanavo in continuazione come una perfetta vigliacca. Amare non voleva dire necessariamente legarsi a qualcuno, o almeno questo era ciò che pensavo.

«Non dirmi che non sei ancora pronta», commentò Karen, piazzandosi improvvisamente di fronte a me.

La guardai confusa e abbassai lo sguardo sul mio corpo, ancora avvolto dal bianco e morbido asciugamano. «Lo sarò in meno di cinque minuti.», le risposi, un attimo prima di fiondarmi in bagno.

«Sarà meglio per te!» esclamò dall'altro lato della porta. 

Alzai gli occhi al cielo, sbuffando frustrata quando il bottone dei miei jeans preferiti cadde a terra.

«Penso che ci vorranno un po' di più di cinque minuti, scusa» urlai, per sovrastare la suoneria del mio telefono che non cessava di squillare. Mandai un messaggio rapido ai miei genitori, promettendogli che li avrei chiamati il prima possibile, poi silenziai il cellulare e mi affrettai a riattaccare il bottone prima che Karen potesse continuare a lamentarsi del mio continuo ritardo.

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