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Mia madre l'ha ripetuta centinaia di volte la storia del cavallo con i paraocchi. Non uno qualsiasi, ma uno di razza, uno stallone, potente, inconfondibile, determinato e forte. Uno di quei cavalli con zampe solide, dritte, difficili da abbattere. Uno di quelli ne conosce unicamente il secondo esatto in cui incede, dando inizio alla sua corsa.

Mi ha sempre ripetuto questo, mia madre. Mi ha sempre definita una ragazza sana, con sani principi, una ragazza educata, ma testarda, con i paraocchi. Asseriva che avevo la capacità innata di barcamenarmi in situazioni delle quali già prevedevo la conseguenza ultima: la desintegrazione contro il muro. Una corsa rinunciabile non per me, che, nel correre, godevo della meraviglia e nel terminare la corsa mi sentivo tremendamente stanca, afflitta, svuotata.

In fondo alla mia coscienza, io sapevo a cosa sarei andata incontro. L'ennesima farsa, sia mia che sua, velata o marcata, questo poco conta. Una farsa. Io che so di lui e lui che non sa di me. E lei, Lucia, che probabilmente sospetta di entrambi non avendone conferme. Un quadretto delizioso al quale poco ho resistito. 

Ho notato la festa per l'inaugurazione in lontananza. Gli omaggi gratis, a maggior ragione se commestibili, hanno la dote di far tornare la vista ai ciechi. Mio zio Fabrizio odiava questo genere di eventi. Eravamo piccoli una volta e Minori fu invasa da esercizi commerciali. Non si contava un giorno privo dell'apertura di un nuovo locale che, per l'amor di Dio, è una gran bella cosa. Ma mio zio ci teneva alla larga dalle inaugurazioni. Diceva che non bisognava essere ingordi nella vita e che se avevamo interesse, dovevamo dare a chi di dovere quanto gli spettava. Nessun lavoratore lavora gratis, una frase che, pronunciata in tal modo, fa strano, ma cela un significato profondo, compreso solo da chi in possesso di buonsenso.

Non ho varcato neppure la soglia del ristorante, non mi sono addentrata nella folla. Non mi sono avvicinta a Michele congratulandomi con lui. Me ne sono stata ferma, accanto alla fontanina, ad osservarlo. Ha goduto a pieno dei suoi cinque minuti di gloria, si narra che, una volta nella vita, siano riservati a tutti. Gli mancava la giacca per apparire uno sposo in procinto che legarsi in matrimonio. Stringeva mani, salutava calorosamente, rideva. Mi è apparso falsamente felice. Di plastica, siliconato, con espressioni di carta. In tutti i miei anni, l'ho visto vuoto. Non più il bambino, il ragazzino, l'uomo, ma il vuoto. 

C'era anche Lucia. Bellissima. Ad occhio e croce non dimostra l'età che ha. Le labbra carnose, il seno prosperoso e le gambe lisce e snelle non le rendono giustizia. Danno di lei l'idea di una ragazza matura e non di una rosa appena sbocciata. Le sue movenze, il suo passare le mani tra i capelli ondulati, il suo sporgersi per incontrare lo sguardo di lui. Hanno fatto l'amore, lo percepisco a naso. Nell'aria che respiro, trovo l'odore di loro due aggrovigliati. Sento lei soffrire per il piacere. Lui ansimare, magari ad occhi aperti. Fa così quando è il corpo a dettar legge.

L'istante esatto in cui lei ha notato me, non è stato contornato da alcun imbarazzo, né da rabbia. Nessuna delle due deve qualcosa all'altra. Magari si, mi ha fatto tenerezza, ma ciò perché io sono a conoscenza della fine. Ne ho viste tante come lei nella vita di Michele, prima e dopo di me. Deve essere più testarda di me, forse più fiera, più sicura. Mi ha osservata senza un benché minimo segno di terrore o minaccia. Tranquilla, consapevole chissà di cosa. Così ho riposto la mia attenzione nuovamente su di lui e mi son detta tra me e me che se quella è la sua fonte di sicurezza, che se la tenesse stretta finché dura. Se durerà.

Me ne sono andata, a tre quarti d'ora del mio arrivo. Tengo stretta tra le dita la borsetta, deambulando lentamente. Il tacco non è un buon mezzo su cui camminare se i marciapiedi sono in dissesto.

Credo che abbiate ragione voi, amiche mie, sarà difficile che io lo perdoni. E la mia coscienza mi suggerisce che non tutto è venuto a galla.
Se i ragazzini di un po'di anni fa ci vedessero, non sarebbero entusiasti di ciò che siamo diventati. Abbiamo distrutto un sentimento che da giovani ci è costato vita, felicità, spensieratezza.
Mi fermo, nel bel mezzo della strada secondaria di Minori. L'esatta parallela del lungomare. Ho flashback di noi. Di me e Michele insieme. Dapprima camminiamo uno accanto all'altro come due perfetti sconosciuti, poi ci insinuiamo in una traversa per baciarci. Scorgo lui afferrarmi e portarmi in braccio. Le risate contagiose. Gli sguardi. Osservo immagini di persone che non esistono più.

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