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I saggi del paese affermano che nessuno vive meglio dei bambini. E creatur mangiano, bevono e dormono. Chi megl 'e lor!

Costas è la prova provata di questo detto partenopeo, solitamente accompagnato da un lungo sospiro di rassegnazione e mestizia. L'adulto che rimpiange il suo esser tale, oberato da impegni, lavoro e doveri familiari. Sembra quasi che l'esser bambino sia un privilegio destinato a pochi eletti, che, nella totale incoscienza, godono dei sollazzi della vita.

La verità è che tutti siamo stati piccoli, semplicemente non lo ricordiamo più. Proprio come capita con le cose belle, stranamente le viviamo a pieno e poi le cestiniamo in un angolo della mente. E ciò che è più strano è l'uso che ne facciamo. In virtù di un qualsiasi evento, tendiamo più a ricordare le brutture della vita che i piaceri, come se i dolori ci mantenessero più sulla terra che della felicità.

È l'alba, il sole sorge sull'acqua cristallina. Quatto quatto riscalda il mare limpido di Minori. Scie di colori diversi, prima rosso, poi arancione, in lontananza un pizzico di giallo. Qualche nuvola, così bianca che quasi si confonde nel cielo sereno. In fondo a destra un peschereccio. Dei marinai appuntano su un quaderno il pescato. Una sorta di stima quotidiana. La crisi ci ha indotto anche a questo, a contare anche ogni piccola vongola. Un pesce in meno equivale a soldi sottratti al ménage familiare.

A conti fatti dovrebbero essere le cinque del mattino, per cui non mi stupirei se sbucassero qua e là i ristoratori della città alla ricerca del pesce migliore. È tutta una corsa contro il tempo questa vita nostra. La barca che salpa per prima per non farsi fregare dalla concorrenza, il proprietario della bottega che cammina svelto nel cuore della notte per garantirsi i tavoli pieni. È una continua corsa alla sopravvivenza. Ma faccio ciò, cosa resta? Cosa resta di questa vita scellerata? Nulla, perché non sappiamo più coltivare il giardino dei sentimenti.

A cosa pensi?

Michele mi porge un caffè e una fetta di torta avanzata dalla festa del piccolo di Tití. Afferro la tazzina, ma rifiuto il dolce.

Non sono più abituata a mangiare così tanto.

Adagia il piatto sulla sabbia. Si siede al mio fianco, piegando le gambe ed appoggiando le braccia sulle ginocchia. Scruta l'orizzonte alla ricerca di chissà quale verità. Quelle che mi ha celato finora, nonostante i pochi centimetri a dividerci. Né uno sguardo, né una parola. Solo un lieve tocco di mani e lo sconcerto. Più il suo che il mio, dal momento che non sapeva del mio arrivo.

Allora?- chiede Michele con voce tranquilla.

Il caffè è più caldo di quanto credessi. Mi pizzica la punta della lingua. Quasi mi viene da rigettarlo, poggio una mano per contenermi. Dilato gli occhi e mi ricompongo.

Allora? A cosa pensi, Gioia?

Un tumulto dentro di me. Sono così numerosi i pensieri dentro di me che quasi si annullano. Penso che siamo sempre qui. Nonostante tutto, siamo tutti qui. Tutti qui, questa famiglia cosi particolare, così diversa, così unita.

Ricordi quando Antonio ed Athina ci confessarono che si erano fidanzati?- gli domando- da non crederci, guardali ora: un matrimonio e un figlio!

Incrocia il suo sguardo al mio, sorpreso. Si risistema e punta dritto lo sguardo su di me. Con i suoi occhi scuri, grandi, pieni di segreti. Le labbra meno carnose, un classico dei fumatori incalliti. Tira e ritira con quella sigaretta e il gioco è fatto. E la cicatrice sotto al mento? Da dove è uscita fuori?

Si- tentenna- ricordo più che altro il nostro smarrimento perché non sapevamo come dirgli di noi.

Accenna un sorriso, che mi risulta difficile interpretare. È un insieme di felicità e nervosismo, rassegnazione, rimorso. Me lo sono chiesto anche io tante volte, forse più di lui, cosa sarebbe accaduto se non ci fossero stati pregiudizi. Se nessuno avesse scelto per noi. Saremo ancora fidanzati? Forse conviventi, magari disturbati di tanto in tanto dalla presenza di Vittorio in casa. E addirittura soci in affari. Perché no, tra bar e lido c'è tanto da fare. Le spalle si afflosciano, sciolte come meduse al sole. I muscoli facciali si allungano, come sotto la spinta della forza di gravità. E se ci fossimo sposati? Se io e Michele ci fossimo sposati? O, volendo fantasticare, se avessimo avuto dei figli?

Schiudo le labbra ed emano un leggero sospiro. Abbiamo pensato così tanto al passato da non immaginare mai il futuro.

Quando sei tornata?- la domanda netta e precisa di Michele spazza via ogni pensiero, ogni fantasia. Quel continuo dipendere da questa storia assurda.

Sono qui da oggi- faccio spallucce, dispiaciuta- a Milano è finito tutto, il corso di studi, il lavoro. Resterò a casa di Athina per qualche giorno.

Mi sembra un'ottima idea. Qui ci sono le tue radici. E se hai bisogno di un lavoro- si guarda attorno ed indica lo stabilimento- beh, qui c'è tanto, troppo, da fare.

Grazie, Michele. Ci penserò - tiro corto.

Bene- si alza di scatto, togliendo la sabbia dagli indumenti- entro dentro, preparo le colazioni per i primi bagnanti. Resta il tempo che vuoi, ci sono sdraio, ombrelloni. Fai un bagno, rilassati.- indica il cielo e il sole ormai in attività- abbronzati.

Si volta, di spalle. Procede verso la scaletta in legno. Compie un primo passo, sale su un gradino.

Mi alzo di scatto, con forza e prepotenza. Con presa di posizione contro il suo tipico atteggiamento del dolce far finta. Io sono qui, dinanzi a lui. Non può evitare che anche questo sia successo. Che io non gli sia piombata sotto lo sguardo all'improvviso. Che lui non si sia preso un colpo. Abbiamo trascorso delle ore insieme, durante la festa, separati ma insieme, nello stesso luogo dopo un anno.
Non puoi voltarmi le spalle così, Michele.
Si arresta. Servono poche parole tra noi.

Piccole onde si infrangono sulla sabbia. I baci del mare alla terra. I pescatori urlano a gran voce i nomi dei pesci presi, offerti al miglior compratore. Una ragazza in bici sul lungomare.

Tu compari e scompari dalla vita mia, Gioia - afferma sincero e a cuore aperto- devo abituarmi a non abituarmi.

Annuisco. La comprendo questa sua affermazione. Abituarsi all'idea che una cosa, una persona non sia perennemente presente. Abituarsi a me, che scappo all'improvviso. Abituarsi a noi, che ci facciamo puntualmente del male. Abituarsi a questa vita che non ne ha mai abbastanza dei nostri tormenti.
Questa vita, consapevole che, anche in questa nuova avventura, troveremo una soluzione. Qualunque essa sia.

Fine capitolo

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