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Una sera ebbi l'impressione che lui fosse qui. Era qualche settimana prima di Natale e noi impiegate della biblioteca circolavamo tra i corridoi con un buffo cappello rosso, che di tanto in tanto si illuminava e suonava. Un modo scherzoso per allietare i clienti, in particolar modo i bambini che vissero la magia di questa ricorrenza più del tempo stabilito.

Ci divertimmo tantissimo e concordammo con i nostri piccoli amici che, a chi fosse suonato il cappellino, sarebbe spettato un posto d'onore durante il girotondo. Fu, in una delle volte che toccò a me di danzare al centro battendo le mani, di scorgere una figura conosciuta. Una presenza.

Nel bel mezzo del baccano, con i ragazzini che si dimenavano ed io che saltellavo allegra, annusai un profumo familiare.

Faceva freddo, aveva smesso di piovere da poco. C'era una forte corrente, il vento sbatteva contro le finestre.

Una folata mi portò sotto le narici quell'aroma di caffè, mista a tabacco. Non solo, percepii anche un retrogusto di limoni, contornato dalla brezza marina.

Iniziai a muovermi di meno, piano piano, sino a fermarmi con gli occhi strabuzzati. Sconcertata, avevo perso ogni cognizione spaziotemporale.

Nella biblioteca erano spariti libri, giochi, uomini, donne, bambini. C'era solo un edificio vuoto, antico ed imponente, e quel profumo.

Mi feci largo tra un paio di bimbi, lasciando il mio posto ad una collega. Tolsi via il cappello e mi diressi alla porta. Prima a passo spedito, poi correndo con il cuore pulsante.

Mi inoltrai nel corridoio principale sino al portone della Villa. Lo aprii, venendo investita dal gelo. Mi si accapponò la pelle, i denti cominciarono a battere. D'altronde non avevo che addosso gli abiti e nessun giaccone.

Avanzai, scrutando agitata a destra e sinistra. Feci un ulteriore passo, ma non c'ero che io.

Ero sola nell'immensa Villa Litta. Unicamente io. Di quell'odore nessuna traccia. Forse un abbaglio il mio. Credevo fosse Michele, ma mi ero sbagliata.

Non ho mai perso i contatti con Monia e Vittorio. La tecnologia aiuta a diminuire le distanze. Sono entrambi in Svizzera, a Zurigo, studenti presso la stessa scuola ma con incarichi diversi. Monia si sta specializzando nell'arte del cioccolato, Vittorio apprende le tecniche per organizzare catering e banchetti luculliani.

Ci siamo incontrati una volta in stazione. Il treno, sul quale viaggiavano, ebbe un guasto e si fermò per due ore a Milano. Non ebbi che il tempo di stringerli forte a me e mostrargli il mio cambiamento. Loro, in cambio, mi sembrarono altrettanto diversi, nonostante le consuete frecciatine. Insomma, non tutto muta. Qualcosa deve pur restare intatto nel tempo.

Promisi loro che avrei continuato su questa rotta e che non avrei smesso di contattarli. E così è stato, ho tenuto fede alla mia promessa.

Ho intrapreso un nuovo cammino e di questo ne abbiamo già discusso. Ho notato piacevolmente che apprezzate tutte la nuova me. E nel pieno della positività e dell'onestà nei miei e nei vostri confronti, vi confesso che ci sarà un giorno in cui tornerò a casa. Un giorno in cui smetterò di fare la girovaga. In un anno e poco più ho dormito in tre case diverse. Vorrei ora averne una mia, una in cui veder scorrere la mia vita. Mi serve un luogo stabile nel quale fare rientro sapendo che proprio li non mi accadrà nulla. Un luogo in cui sentirmi protetta e al riparo dalle intemperie della vita. E casa mia è al Sud, vicino al mare, con la sabbia e il sale, che corrodono i muri, e il pesce fresco. A casa mia, dove le barchette prendono il lago di notte con le reti vuote.

La nostalgia mi tormenta. La nostalgia per Minori e i miei cari. E l'idea di ritornare per spiegare a Michele che non ce l'ho più con lui e che gli voglio bene, sempre, come tanto tempo fa.



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Fine terzo capitolo.

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