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Compio due, tre passi all'indietro. Inarco il sopracciglio e posiziono le mani sul bacino. L'abito bianco in merletto, con ampia scollatura sul seno e gonnellone generoso, fanno di me la classica donna mediterranea con forme generose che, anziché nascoste, vengono mostrate con una certa fierezza. 

Piedi nudi sulla terrazza fredda, rivestita con materiale isolante. Gli indumenti fluttuano come soffioni nel cielo. Oscillano a causa di un vento caldo che presagisce pioggia. Il clima nostrano è così caratterizzato, da caldo stucchevole ed afa e scirocco carico di sabbia, per niente emblema della stagione estiva in corso. Capita, infatti, spesso e volentieri di imbattersi in temporali estivi, talvolta violenti, utili a rinfrescare l'aria. Il cielo è offuscato da nuvoloni minacciosi.

È Giugno, esattamente i primi giorni, e il mare è agitato. Le barchette ondeggiano, i pescatori sbuffano pensando alla battuta rinviata. I ragazzini con i canotti sotto braccio e il broncio sul loro viso. Perché si sa, il momento migliore è sempre quello non vissuto. Quello che non si può vivere. Esattamente come questo. 

Chiazze di tintura sparsa un po' ovunque. Un cestello in acciaio pieno di pennelli sporchi. Spalanco le mani e le osservo. Mi son fatta leggermente prendere dagli impulsi, dalla passione. Da un turbinio di sensazioni che mi hanno indotta a dipingere anche il mio abito, sul quale campeggiano i segni dei palmi delle mani.

Ho sbrigato le faccende domestiche in meno che non si dica. Probabilmente ero convinta di dover fare più quanto ci fosse. Una lavatrice riempita, un secchio d'acqua con detersivo è una scopa per lavare a terra. Una molletta per reggere i capelli. 

Svolto il tutto, mi sono ristorata in terrazza con un bicchiere di succo di frutta e l'ho scovato li, il cavalletto con tela inserita, candida ed ansiosa di divenire qualcosa. Ho afferrato i pennelli, tolto i tappi di chiusura ed ho iniziato. Iniziato qualcosa che non so che nome abbia. 

Le ultime giornate hanno assistito alla conclusione del mese e ad una serie di eventi importanti, impossibili, innegabili.

Deglutisco. La saliva mi sembra un'enorme palla difficile da mandar giù. Resta lì, fissa al centro della gola, nel bel mezzo dell'esofago. Questo è uno di quei momenti che non vorrei vivere, per mia scelta. È uno di quelli in cui devi fare i conti con te stessa. Uno di quelli che non puoi rimandare. 

Volto l'attenzione, freneticamente, verso destra e sinistra. Trovo il cellulare e fedele nei secoli alle vecchie tradizioni, avvio la radio, invece di azionare di una di quelle playlist create ad hoc con app all'ultimo click.

Un leggero rumore, la postazione radio si sintonizza. La voce è quella di Simone, il deejay di Punto Zero, che manda in onda una hit evergreen. Un attimo di silenzio e le prime note.

Scrollo le spalle d'una smorfia di esasperazione si palesa sul mio viso. Sferro un calcio ad un oggetto inesistente, forse al destino che gioca a prendersela con me. Wonderwall degli Oasis. Punto lo sguardo al pavimento. 

Che cazzo- esclamo.

Una volta organizzammo un falò in spiaggia. Il sindaco aveva proibito ogni tipo di attività non conforme alla balneazione, ma a noi poco fregava. Antonio portava la legna, Michele le birre ghiacciate e noi ragazze tutto il resto, compreso la radio che qualche anno fa andava a file, le torce. Costavano più del beveraggio e dei panini a sacco. 

Ci posizionavamo sotto la roccia, nel bel pieno della spericolagine. E se ci fosse caduta una pietra in testa? Mangiavamo, bevevamo, ci scattavamo le foto. Facevamo un tuffo a mare, ci lanciavamo i teli per asciugarci. E quando partiva questa canzone, un vero must di quell'estate, Michele si alza ed iniziava a cantare, nonostante fosse stonato da paura. Nonostante fosse notte fonda e la gente dormisse. Nonostante non si potesse fare. Nonostante tutto. 

Un continuo nonostante, come la notte della scorsa settimana, quando le regole non esistono più. Osservo il mio quadro e penso che così dovrei battezzarlo, la notte della scorsa settimana. 

Avverto ancora il suo respiro, quell'aria calda uscire dalle narici del suo naso contro la mia guancia. L'assenza di rumori in una stanza piccola e spoglia divenuta un mondo. Non so spiegare come, non so fornire dettagli. So che ci siamo baciati, so che maledicevo perché avrei voluto che la mia bocca fosse come le fauci di un leone pur di esprimere a pieno il mio desiderio. Non ricordo il momento esatto in cui mi sono ritrovata nuda, distesa sul letto. So che è avvenuto e che Michele era su di me. So che era con me e che quell'incastro era l'unione di qualcosa che non si era rotto, ma solo allontanato. La schiena inarcata dal piacere. Dopo quanti anni? 

Sospiro. 

No, non è stata una furia. Non è stato ai limiti dell'estremo. Lo conosco bene Michele, non è quel genere di uomo che attende te, non fisicamente parlando. Magari col cuore, ma non con il corpo. So che ha avuto altre donne, altre notti, altri momenti. Magari non li ha amati, non li ha vissuti con intensità, ma li ha avuti. Michele non è uno che aspetta, uno di quelli che dice "ci sei tu".

L'ho avvertito dalla sua pelle, dai suoi umori, dai suoi movimenti che non mi aveva attesa. Se mi abbia delusa o meno tutto ciò, non saprei dirlo. So unicamente che ero abbastanza conscia. 

Questo è Michele per me, quel quadro, quella notte. Schizzi di blu, azzurro, celeste che si confondono con il giallo della luce e il nero delle ombre. Con il rosso del fuoco, che ti sodomizza e ti brucia. Questo è Michele che, come un demone, ti strappa il cuore pulsante dal corpo, mentre sei ancora cosciente.

E l'immagine di lui ai nostri falò, di lui con le sue innumerevoli conquiste mi offusca la mente ed annienta la mia ragione. Io dove sono? Dove sono io, in questo vortice di emozioni indescrivibili. 

Lascio la radio scandire le ultime note ed mi affretto sulle scale. 

Piccole gocce di pioggia calda si schiantano sui ciottoli della strada. Ampie falcate che conducono al lungomare. Il sole oggi non è tramontato. La strada è deserta, il temporale incalza e mi bagna interamente. 

Corro in direzione del lido. La pittura si scioglie sul mio vestito. Bevo un po' di pioggia, un po'di dolore, un po'di amore. Un po'di tensione. Un po' di scovare un senso ad ogni cosa.

Le luci del lido, vuoto, si avvicinano sempre più. Mi imbatto in Michele, appena uscito dal bar con uno straccio tra le mani. Si accorge di me. Ed allora spero che abbia capito, che mi abbia capita. Che voglia riprovarci. Si, ne sono cosciente, per l'ennesima volta, ma che lo voglia, sul serio. 

Mi viene incontro, a passo svelto, dopo aver lanciato il panno a terra. Viene da me, così vicino, sino ad afferrarmi tra le sue braccia, sollevandomi.

Amore- gli sussurro.

Sono qui- pronuncia sulle mie labbra.

Mi aggrappo a lui, come ho sempre fatto nei momenti più intensi della mia vita. Nei momenti di bisogno, di fragilità e felicità. Ancora, un'ultima volta e per sempre. L'ultima volta che si può concedere ad un amore come il nostro.




Fine...e non è la fine!

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