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Afferro un telo mare e lo adagio piano piano sulla sua pelle abbronzata

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Afferro un telo mare e lo adagio piano piano sulla sua pelle abbronzata. Muove leggermente i piedini, porta un pugnetto sul naso e lo sfrega. Strizza gli occhi, si acquieta e riprende tranquillamente il suo riposino pomeridiano. 

Lo smartphone segna le diciotto in punto, ormai in spiaggia non ci siamo che io, Costas e qualche mamma con il suo bambino. Avrei dovuto lavorare, è lunedì, ma ho optato per uno strappo alla regola, regalando qualche ora di relax alla mia migliore amica. Ricorre il giorno del suo anniversario di matrimonio, una data importante da festeggiare in due. Per quanto lei sia madre, è giusto che si ritagli del tempo da moglie e da donna. Dei momenti in cui poter avvertire la leggerezza della vita, i sentimenti del marito e la sicurezza che il proprio figlio è in mani fidate.

Ci siamo sentite come routine e le ho fatto la proposta. In cuor mio so che era tentata a chiedermelo, ma fin troppo riservata. Fin troppo convinta che anche io abbia bisogno ancora di riprendermi dagli infiniti shock della mia vita. L'ho preceduta, l'ho convinta e l'ho resa felice. D'altronde, un anno fa, ho giurato di prendermi cura di questo bambino, onere che voglio portare a termine. 

Il matrimonio di Athina ed Antonio fu speciale e duro. Fu felicità e continui pugni allo stomaco, di quelli pesanti e difficili da gestire. Erano anni che non vedevo Michele, che non ci sentivamo. Anni in cui i pensieri oscillavano dal continuo chiedermi dove fosse, cosa facesse, se pensasse solo un briciolo a me sino alla completa rassegnazione. A mio padre via di casa e drasticamente fuori dalla mia quotidianità, alla mamma che faceva finta di aver dimenticato per sopravvivere.

Quel giorno, quella mattina un po' simile a questa che stiamo vivendo, Athina era vestita di bianco. Aveva gli occhi lucidi e una coroncina di fiori tra i capelli. Antonio sembrava un tronco d'albergo, un pezzo di legno tanta l'agitazione. 

Al loro fianco noi, Gioia e Michele, imbarazzati. Tremavamo, a stento ci scrutavamo. Una volta, prima che succedesse il marasma, nella stupidità e pazzia più totale, ci promettemmo tutti e quattro che avremmo compiuto questo passo insieme. 

Ci sposeremo tutti e quattro insieme. Un unico matrimonio.

L'idea partì da Athina, io accondiscendevo, Michele ed Antonio ci prendevano in giro. Giungemmo quel giorno alla conclusione che le perplessità dei nostri fidanzati avevano fondamenta. Giungemmo alla conclusione che loro riuscirono nell'intento, noi no. All'epoca non sapevamo nulla. All'epoca ignoravamo, sognavamo e cadevamo come limoni maturi a terra. Troppo pieni di sole, troppo carichi e pesanti per stare ancora sospesi in aria. Cadevamo, facendoci male. Vivi ma feriti.

Athina mi regalò la sua coroncina. Odiava i veli nunziali, dunque non lo indossò. Mi sussurrò che un giorno sarebbe capitato anche a me. Ma nel frattempo i fiori sono appassiti, così come i legami amorosi. 

Lascio scivolare il nastro color carne, ciò che resta di quel ricordo. Lo tiro e lo infilo tra i capelli secchi di acqua di mare e sale. 

Costas, nel frattempo, si è svegliato e quieto mi osserva con fare interrogativo. Penserà che io sia matta. Che io sia quella matta della zia in bikini, con le gambe sporche di sabbia e un nastro di raso da un paio di centinaia di euro tra i capelli palesemente sporchi. 

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