capitolo 6

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Pov Niccolò


Passarono alcune ore in cui Giacomo poté finalmente riposare dopo la notte tormentata che aveva passato.

Io e mio fratello avevamo discusso parecchio sulla giustificazione da dare alla madre, comunque alla famiglia Mattei, considerando il fatto che per la notte non era rientrato. Ma appena chiamammo al numero trovato sull'elenco non ricevemmo altro che una risposta seccata, dicendo che non conoscevano nessun Giacomo Mattei.

"Dici che abbiamo sbagliato numero Niccolò?".

Diedi una scorsa rapida all'elenco. "No è l'unico cognome presente nella lista".

"Qui c'è qualcosa che non quadra... Vai dal nostro amico di sopra e chiedergli spiegazioni. Non voglio rischiare di trovarmi la polizia alla porta per tentato rapimento".

"Si, si, vado, vado".

Percorsi con una certa punta di curiosità le scale, intenzionato ad arrivare a fondo alla faccenda, indipendentemente dalle blaterazioni di mio fratello. Battei la mano sulla porta ma nessuno rispose. Lo feci ancora un paio di volte con colpi più energici e alla fine una voce assonnata rispose:

"Avanti..".

La porta scorse lieve sui cardini e si aprì, lasciandomi senza parole. Giacomo ora stava seduto nel letto ed era la visione più deliziosa che avessi mai visto.

I boccoli castani erano spettinati e luccicavano di riflessi dorato sotto la tenue luce del sole che filtrava dalle tende. Gli occhi sembravano argento liquido e quella stanchezza che gli rilassava i lineamenti lo rendeva ancora più affascinante.

Rimasi scosso a quella visione. Come potevo fare certi pensieri? E poi quello era un uomo! "Recupera la ragione, devi aver dimenticato la testa nel cassetto con le medicine balorde che ti tocca ingurgitare ogni giorno"

Recuperata la calma, mi sedetti sul bordo del letto accanto a Giacomo che non aveva abbandonato il mio sguardo per un solo attimo.

«Ho una cosa da chiederti. Ce la fai?»

Un sorriso. «Certo dimmi pure»

«Ho cercato sull'elenco telefonico assieme a mio fratello il numero di casa tua, ma mi hanno detto di non conoscerti. Altri Mattei non ce ne sono in città. Gradirei una spiegazione, non ci teniamo particolarmente a finire nei guai con chi di dovere».

Il ragazzo castano ebbe un sussulto e i suoi occhi si fecero vacui e spenti.

«Quella era mia madre, ma mi ha cacciato di casa diverso tempo fa. Non avrete guai, lo prometto. A lei non interessa nulla di me, per lei non esisto più». Un risolino amaro. «Pensa che addirittura fecero il funerale a una tomba vuota... Per i miei io sono morto».

Ero allibito.

«Perché?».

Chiesi solo, tenendo la voce chiara e alta. Volevo sapere di lui, di quella persona, l'unica in tutta la vita che fosse riuscita a smuovere un barlume di umanità in me. Giacomo chinò il capo fissandosi le mani inerti lungo le gambe.

«Giacomo, quante volte devo ripetermi perché tu capisca le mie parole?»

E il moretto rialzò lo sguardo verso di me, lacrime gelide e silenziose gli rigavano le guance. Sembravano scendere senza che il proprietario se ne accorgesse, perché quando rispose la sua voce non portava traccia del pianto che vedeva.

«Quando ero piccolo, non avevo problemi con la mia famiglia. Ero amato, stavo bene con tutti. Avevo una sorellina di nome Alessia, era sempre buona e gentile con tutti, ma nostro padre la odiava, perché era figlia di un altro uomo. Papà lasciò la mamma quando io avevo dieci anni e Alessia nove. Lei si sentiva in colpa, credeva di essere la causa della sofferenza di tutti e, persa nel suo dolore, una volta che mamma era fuori al lavoro... lei doveva fare gli straordinari per mantenerci tutti... Mia sorella... beh, si buttò dal balcone di casa. Io ero nel cortile che giocavo a palla con un mio amico del palazzo e sentendo il suo urlo mi precipitai a prenderla prima che toccasse terra. Ma ero un bambino come potevo... beh... le braccia e le gambe mi si ruppero per l'impatto e nonostante tutto, non potei impedirle di battere la testa sul selciato. Morì tra le mie braccia... mi disse... "Fratello perdonami, ... adesso starai meglio... Mia madre non mi perdonò l'averla lasciata morire in quel modo, e non ci parlammo praticamente per anni... quando poi scoprì che sono gay... beh, trovò finalmente un pretesto per cacciarmi di casa».

Non sapevo che dire. Ero totalmente senza parole e i polmoni si erano come seccati. Anche il respirare mi veniva faticoso.

Non sapendo che altro fare, gli posai una mano su un braccio e gli feci appoggiare la testa contro il petto, mentre il pianto diventava sempre più prepotente e il suo corpo sottile venne scosso da singhiozzi.

«Perdonami,non volevo».

La mia fronte si sfregò in senso di diniego contro il suo petto, mentre passavo le braccia stringendolo, prendendolo per la schiena.

«Ne so qualcosa di odio, Giacomo. Mio padre era esattamente come me, albino. Mia padre ha sempre solo amato Kevin, che è uguale a le. Ma si sa quelli come noi vivono poco, dato il grado che possediamo di albinismo. Mio padre non c'è più da tanti anni».

Presi a parlare quasi senza rendermene conto, come se quel fagotto profumato che io stringevo avesse sciolto il mio cuore dopo anni di gelo e nero. Si, aveva sciolto il mio cuore.

«Sai cos'è un albino Giacomo?»

Da parte di Giacomo arrivò solo un diniego.

«E' un essere umano che al momento della nascita ha qualcosa in meno degli altri. Il mio organismo non è in grado di metabolizzare la melanina, per questo non posso esporre la pelle al sole e gli occhi devono avere costantemente la protezione degli occhiali. Tutto in me è sottile e fragile, come se dovessi spezzarmi da un momento all'altro. Ma noi abbiamo una cosa che nessuno ha, sai cos'è? Lo spirito. Noi possediamo una forza di spirito più forte di quella di chiunque altro, che ci permette di guardare la vita con una specie di serenità, nonostante tutto».

Gli presi il mento in una mano e sollevai quelle iridi chiare nelle mie.

«Questa è una forza che stranamente, possiedi anche tu. Per questo sei riuscito a tirare fuori umanità anche da un cuore avvizzito e secco com'è il mio, Giacomo».

E forse per la prima volta in vita mia, dopo tanti anni sorrisi. A Giacomo sembrò che il suo cuore avesse smesso di battere, sgranando inconsciamente gli occhi fino al limite.

Gli avevo parlato di me, avevo scoperto me stesso per cercare di consolarlo dalla ferita che portava dentro, e che sapevamo entrambi, non se ne sarebbe mai andata.

Avevo riaperto la mia ferita per sanare la sua. Che altro potevo dire. Mi allungai verso di lui e gli posai un piccolo bacio sulle labbra, veloce e rapido come il tocco di una farfalla.

Lui ora mi fissava serio, meravigliato. Ma non c'era rabbia nel suo sguardo, anzi mi sembrava contento.

Mi alzai in piedi, dirigendomi senza voltarmi verso la porta.

"Grazie, Giacomo, adesso è tutto a posto. Torna a dormire, nel pomeriggio, se te la sentirai, ti riaccompagnerò a casa.

"Si grazie Niccolò".

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Il mondo è grigio il mondo è bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora