Capitolo16

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Pov Niccolò


Due giorni dopo fui dimesso. Momentaneamente anche Giacomo si trasferì a casa nostra, perché proprio non se la sentiva di lasciarmi da solo dopo quel che era successo, e di certo, non poteva caricare sulle spalle di Kevin la responsabilità di accudirmi.

Mia madre non avrebbe contribuito, dato che non c'era mai e non si poteva certo dire che gliene importasse del secondo figlio. Giacomo, sebbene fosse sollevato per la rapida quanto inaspettata mia ripresa, era angosciato dal mio essere diventato, al contrario, incredibilmente fragile, nonostante non avessi nulla in particolare a livello fisico, oltre all'albinismo, s'intende.

Sembrava quasi dovesse spezzarsi da un momento all'altro, come un piccolo oggettino di cristallo.

«Il tempo... e con il tempo si riprenderà vedrai, lui è forte, anche più di noi.»

Kevin lo ripeteva sempre, ogni volta che lo vedeva malinconico o soprappensiero.

Come al solito, non riuscivo a fare altro che appoggiarmi al mio ragazzo dai capelli neri, sebbene sapessi che era più preoccupato e triste di me. In una parola mi sentivo un verme. Ma d'altra parte che potevo fare?

Avevo paura. Una paura tremenda di perderlo, alla fine. Erano venuti a prendermi in macchina, con Kevin che chiacchierava a più non posso di cose terribilmente sciocche, come ad esempio il tempo del giorno prima, e Giacomo che lo sosteneva in quel piccolo allegro teatrino allestito appositamente per me, che, dal canto mio me ne stavo tranquillamente abbandonato sul sedile, un piccolo sorrisino che ogni tanto m'increspava le labbra, bellissimo nella mia placidità.

La mia lunga mano diafana, ogni tanto andava quasi distrattamente a sfiorare la benda nera che mi proteggeva gli occhi ciechi e delicati di albino, accompagnata da un lento e prolungato ansito, che però non si faceva udire mai, nella sua silenziosità.

Era come se volessi evitare di parlare, in qualsiasi modo mi fosse possibile. Avevo una paura folle che quello che mi fosse uscito dalle labbra avrebbe distrutto di nuovo tutto.

Mi rendevo conto che avevo fatto soffrire Giacomo, con la mia avventatezza. Ero stato colto come di una gelosia cieca, sconvolto di per sé stesso anche della scazzottata appena fatta, e avevo parlato a sproposito, rimettendoci la vista già precaria che avevo e la piccola oasi di pace che avevo ottenuto per me e per Giacomo, per colui che amavo e che mi era sempre rimasto accanto.

E lo stesso valeva per mio fratello, che sebbene facesse finta di nulla, capivo che quella che ostentava non era altro che una finta felice tranquillità. Mi diedi dello stupido.

Per l'ennesima volta avevo sbagliato tutto. Salimmo le scale sempre accompagnati dall'incessante chiacchiericcio del mio moretto e di Kevin, che mi sorreggevano saldamente nella scalata.

«Bene fratello, siamo arrivati!»

Mi liberai ora della stretta dei due, mi avvicinai alla porta della mia camera, e, non appena afferrai la maniglia avvertii il delicato profumo di carta stampata che contraddistingueva la mia stanza, piena di vecchi libri e riviste di astrologia.

Come adoravo le stelle. Piccole ma grandi, lucente ma perse nel buio, fredde nel loro splendore ma roventi e pulsanti nel fuoco che le ardeva costantemente. Per certi versi simili a me, anche se certamente capivo che non avrei mai potuto assomigliare a qualcosa di così splendente e bello.

"Ma in fondo che senso ha mettersi a pensare a queste cose, ora... chissà se potrò mai più rivederle, le mie bellissime stelle..."

Conoscevo perfettamente quel caldo e protettivo ambiente in cui mi ero rifugiato ogni istante della mia vita, nella ricerca delle briciole quell'affetto che non avevo mai avuto.

Il mondo è grigio il mondo è bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora