25. Il cubo

98 17 30
                                    

Tiferet se ne stava raggomitolata sul divano, con il mento appoggiato sulle ginocchia, a contemplare il ritratto di sua madre appeso sopra il camino

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Tiferet se ne stava raggomitolata sul divano, con il mento appoggiato sulle ginocchia, a contemplare il ritratto di sua madre appeso sopra il camino.

Da quando Cole era partito per seguire Kether era trascorsa già una settimana, ma non avevano ricevuto alcuna notizia. Suo padre cercava di tranquillizzarla – una settimana era un lasso di tempo troppo breve per cominciare a preoccuparsi seriamente – eppure a volte l'ansia rischiava di sopraffarla e per combatterla aveva preso l'abitudine di rifugiarsi nelle stanze che erano appartenute a sua madre. Lì si sentiva al sicuro. Era come se percepisse la sua presenza pervadere ancora quelle mura e finiva per confidarle i suoi tormenti. Certi giorni Leda le rispondeva, anche se solo nella sua immaginazione, altre volte restava a fissarla in silenzio dal dipinto, con quell'espressione dolce e allo stesso tempo determinata, sembrava volerla convincere che tutto si sarebbe risolto per il meglio.

Aveva messo a soqquadro l'intero palazzo, ma del medaglione donatole da Kether non c'era traccia. Sembrava essersi volatilizzato. Quella sparizione improvvisa aveva aumentato a dismisura la sua angoscia, e stava ancora rimuginando sull'accaduto quando qualcuno bussò ed entrò senza aspettare la risposta.

«Tiferet?» Luis la chiamò, chiudendosi la porta alle spalle.

«Sono qui, padre».

«Come stai? Ti senti meglio?»

«Ora sono più tranquilla» rispose, invitandolo a sedersi accanto a lei. «Sono sicura che Kether sta bene, Cole l'avrà già raggiunta ormai. Forse si sono fermati da qualche parte, verso il confine. Inoltre, ha promesso di farmi avere sue notizie e lei mantiene sempre la parola data». Arrossendo aggiunse: «Ti chiedo perdono, padre, hai già abbastanza preoccupazioni senza che mi ci metta pure io con le mie crisi di nervi».

Luis accantonò le scuse con un gesto. «Non dirlo neppure. Sei mia figlia, è naturale che mi preoccupi per te. Qui dentro riesci a sentirti meglio?»

Tiferet annuì. «A te sta bene che passi tanto tempo nei suoi appartamenti?»

«Certo! Era tua madre, puoi stare qui tutto il tempo che vuoi» disse accarezzandole una guancia rosata. I loro sguardi si posarono sul ritratto di fronte al divano. «Raccontami la vostra storia. Come vi siete conosciuti?» chiese Tiferet dopo qualche istante.

«Avvenne quando ero ancora un principe. Avevo appena vent'anni quando mio padre si ammalò gravemente. Sapevo che era solo una questione di tempo prima che il fardello del regno gravasse interamente sulle mie spalle. Quella consapevolezza era un peso che a volte minacciava di schiacciarmi. Per distrarmi, facevo lunghe passeggiate a cavallo nei boschi attorno alla città. Fu allora che la incontrai. Faceva il bagno nel fiume e l'acqua le lambiva le ginocchia. Gli spiriti delle onde giocavano con lei, cercando le sue carezze come gattini. Compresi subito che non era umana. Quando mi vide restammo a fissarci per qualche istante, poi gli spiriti la nascosero alla mia vista e lei scomparve.

«Tornai in quel luogo ogni giorno, sperando di incontrarla, e quando finalmente avvenne la supplicai di non svanire. Ci ritrovammo a parlare, e senza sapere come o perché le raccontai tutto della mia situazione e dei timori che mi angosciavano.

«Lei ascoltò tutto senza interrompere e alla fine disse: "Tu sarai un grande re."

"Come fai a saperlo? Hai poteri di preveggenza?"

"La magia non c'entra. Lo sento"

"Non mi sembra un granchè come prova..."

"Chiudi gli occhi" mi ordinò. "Solo un momento." Aggiunse notando la mia perplessità. Obbedii e lei fece scorrere un dito affusolato sulla mia guancia. "Cosa sto facendo?" mi chiese.

"Mi stai toccando."

"E come fai a saperlo?"

"Perché... lo sento" osservai riaprendo gli occhi. Lei sorrideva, e credo che sia stato allora che ho compreso di amarla.

«Dopo la mia incoronazione, le chiesi di sposarmi. Sapevo che per lei sarebbe stata dura abbandonare i compagni, rinunciare alla sua vita di Cavaliere e all'immortalità. Ma lei mi stupì ancora una volta quando disse: "Preferisco una sola vita da condividere con te, piuttosto che altre mille da sola."

«Mantenemmo il segreto sulle sue origini, dicendo a tutti che era una lontana parente. Solo i membri del Consiglio conoscono la verità, ma hanno prestato giuramento solenne e non diranno nulla a meno che non sia io, o uno della mia discendenza, a liberarli dall'obbligo di mantenere il silenzio.

«Quando Leda scoprì di essere incinta eravamo al culmine della gioia. Lei voleva una bambina. Sarebbe stata sicuramente testarda e bellissima, e trascorrevamo le serate a decidere se dovesse somigliare più a me o a lei».

Luis sorrise affettuosamente guardando Tiferet. «Infine siete nate tu e Kether. Ma la nostra felicità è stata troppo breve». Il nodo che gli era salito alla gola gli impedì di continuare, gli occhi si velarono di lacrime che il re si affrettò a ricacciare.

«Padre...» mormorò Tiferet, abbracciandolo. «Mi dispiace averti fatto rievocare ricordi tanto dolorosi...»

Un leggero tonfo li fece sobbalzare entrambi. Si guardarono attorno, ma erano soli.

«Cos'è stato?» domandò Luis, poi notò che la scatola di legno che fino a un attimo prima era appoggiata alla mensola del camino, ora si trovava per terra, capovolta. Si alzò e andò a raccoglierla.

«Come ha fatto a cadere?» Il sovrano si strinse nelle spalle e provò ad aprirla. «Deve essere difettosa». Ci riprovò con più forza, ma senza risultati.

«Posso?» chiese Tiferet. Luis le porse la scatola. Aveva la forma di un cubo di legno scuro con finiture in metallo. Sul coperchio erano raffigurate le immagine del sole e di una mezza luna argentata. Tiferet rabbrividì nel rendersi conto che quello era lo stesso disegno che Kether aveva fatto incidere sul medaglione scomparso. I due simboli erano intagliati su sottilissime lastre di metallo, in grado di scivolare l'una sull'altra, sovrapponendosi parzialmente. Il meccanismo per sbloccare l'apertura però continuava a sfuggirle. Corrugò le sopracciglia cercando di venirne a capo. Da piccola aveva sempre avuto una straordinaria abilità con i puzzle. Era capace di restarvi attaccata per ore in attesa di incasellare l'ultimo pezzo. Qualcosa in quel cubo di legno le aveva ricordato i rompicapo della sua infanzia.

Un pensiero improvviso le attraversò la mente.

«Avevi mai visto prima questa scatola, padre? Padre..?»

Il sovrano si era fatto improvvisamente pallido, mentre un rivolo di sangue gli colava sul mento, sporcando il farsetto inamidato. Ebbe solo il tempo di rivolgere a Tiferet uno sguardo terrorizzato, prima di scivolare in avanti e accasciarsi sul pavimento con un tonfo. La ragazza si inginocchiò al suo fianco, gridando per chiedere aiuto. I servitori accorsero, sollevando delicatamente il corpo del re e adagiandolo sul divano, mentre qualcuno si affrettava a chiamare l'archiatra di corte. Si rivolsero a Tiferet affinché fosse un membro della famiglia reale a gestire la situazione, ma lei era troppo sconvolta. Quando il medico li raggiunse, riuscì solo a balbettare cos'era accaduto prima di perdere a sua volta conoscenza.

Il Cavaliere Alato (Disponibile in versone Ebook)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora