CAPITOLO VENTINOVE

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I giorni passano, ma non la nostalgia di Max.
Mi manca così tanto, come quando si sta per affogare nelle profondità di un oceano e non riesci a raggiungere la superficie.
Più lo penso, più mi sento il cuore che mi si spezza.
Mi sento malissimo, d'altronde, è questo che succede quando hai perso una persona importante e non faccio altro che pensare che tutto questo, me lo merito.

Percorro i corridoi della scuola, tutta incappucciata per non farmi riconoscere. Qualcuno mi deride per l'umiliazione che ho subito: mi chiamano "traditrice", dicendomi che mi devo vergognare.
Come possono giudicarmi così se non conoscono tutta la mia storia? Loro lo sanno che, oltre la relazione infernale con Marco, ho problemi in famiglia? No, ovviamente.
Tutti bravi ad osservare e giudicare i tuoi errori, mentre ai loro errori sono muti.

Appena entro in classe, le mie compagne "ochette" mi deridono. Non riesco proprio ad avere il coraggio di ribellarmi.
Le devo ignorare e pensare ad altro.
Mi viene in mente Max e mi si bagnano gli occhi. Improvvisamente, avverto un flash che mi fa ricordare ogni cosa condivisa con lui: la prima volta che ci siamo incontrati, il nostro primo bacio nella sua macchina, i momenti passati ad abbracciarci, le serate passate a vedere Sanremo, la prima volta che abbiamo fatto l'amore, il firmacopie di Rocco Hunt.
Il senso di colpa mi divora sempre di più e non riuscendo più a trattenere le lacrime, scoppio a piangere. Prendo immediatamente le cuffie per far sì che la musicar emargini le mie ferite ancora fresche.

Quandole lezioni finiscono, uscendo fuori dall'istituto, vedo Ale. Che bello, finalmente qualcuno che mi farà stare bene. Corro subito ad abbracciarlo e mi sento già al sicuro.
«Come stai, sorellina?» mi chiede Ale.
Le mie compagne di classe"ochette" mi passano da vicino e ridono. Scommetto che avranno già pensato che si tratta di un mio nuovo fidanzato.
Invece no, è mio fratello e devo ringraziare al cielo che ora si trova qui con me.
«Come mai da queste parti? Non dovresti essere al lavoro?» domando.
Lo guardo e noto che ha un'espressione piuttosto cupa, come se fosse successo qualcosa di brutto.
«Assunta, vieni con me: devi sapere una cosa molto importante...» enuncia.
Saliamo in auto e ci dirigiamo per non so dove.

Eccoci qua, siamo arrivati a destinazione.
Si tratta dell'ospedale. Ho il presentimento che sia successo qualcosa di brutto a mia madre, ormai sono pronta a tutto.
Appena arriviamo in sala d'aspetto del reparto di terapia intensiva, chiediamo a un'infermeria di accompagnarci alla stanza dove è ricoverata mia madre. Appena entro nella stanza, rimango sconvolta nel vedere che il letto è completamente vuoto.

Dove sei mamma?

È impossibile che sia scappata, altrimenti i medici ci avrebbero avvertiti che si sarebbe svegliata dal coma.
«Dov'è la mamma, Ale?» chiedo ad Ale, voltandomi verso di lui.
Fa un sospiro e si rattrista.
Ci spostiamo in sala d'attesa e mi fa sedere.
«Assunta, devi essere forte. Io so già che lo sei, ma stavolta devi esserlo di più...» dice.
A questo punto, capisco che sto per ricevere una bruttissima notizia.
«Ecco qua cosa devi sapere: mamma se ne è andata stamattina. Non c'è l'ha fatta...» annuncia, mentre gli scende una lacrima.
Sento che il muro della mia forza sta per essere abbattuto. Lei è morta e non ho potuto nemmeno salutarla. Non ho potuto nemmeno dirle che ho perdonato tutto il male che mi ha fatto negli ultimi anni. Sono stata egoista. Ho pensato più a me stessa e a ciò che mi stava succedendo, mentre lei si sfogava con l'alcool per combattere il suo malessere.
«È colpa mia, Ale...» dichiaro, mentre le lacrime rigano il mio viso.
«No, Assunta. Non è vero...»
«Invece sì. Avrei dovuto stare più vicina a lei, anziché pensare a me stessa...» bisbiglio, mentre Ale mi stringe a sé.
Non posso credere che sia vero. Mi sembra di vivere in un incubo e se lo fosse, vorrei svegliarmi, facendo un sospiro di sollievo, pensando che si era trattato di un brutto sogno.
Ormai ho perso ogni cosa: la mia reputazione, Max e adesso, anche mia madre.
Non so se riuscirò ad accettare tutto questo ed andare avanti.
«Ora dobbiamo fare solo un'ultima cosa che farà felice nostra madre...»mormora Ale.
«Cosa?»
«Organizzare il funerale al posto che ha sempre desiderato tornare...»
«A Vietri Sul Mare?»
«Sì»
Mi sento un po' leggermente serena a sapere che, a breve, tornerò a"casa mia" e a pensare che, ora mia madre si trova in un luogo, dove non conosce sofferenza. So che resterà accanto a me, anche se non è qui fisicamente.

Dopo aver passato delle ore in ospedale, Ale mi riaccompagna a casa.
«Sei sicuro di non voler venire con me a Verbania? Almeno ti distrai un po'...» propone Ale.
«No, Ale. Ti ringrazio, ma preferisco stare da sola con il mio dolore...» ribatto.
«Va bene, allora non insisto. Mi raccomando, Assunta: sii forte e se hai bisogno di me, chiamami...» risponde, per poi abbracciarmi.
Sono fortunata a non essere figlia unica.

Quando entro in casa, mi sembra così buia e silenziosa. Ancora non riesco a credere che mia madre non c'è più.
Mi rannicchio sul divano e scoppio a piangere. Menomale che sono sola.
Odio tutto questo schifo e vorrei che ci fosse un termine a tutto ciò. Vorrei chiamare Max per raccontargli di quello che mi è successo, ma la mia mente mi ricorda che abbiamo litigato e mi fa doppiamente male.
Giro per casa, cercando di non pensare a nulla, finché non adocchio un album di foto nella credenza. Lo tiro fuori e lo spolvero. Caspita, deve essere dentro in quella credenza da molto tempo.
Mi siedo sul divano e inizio a sfogliarlo. Vedo tantissime belle foto: il matrimonio dei miei genitori, Ale quando era piccolo, di quando mamma era incinta di me e io da neonata.
M'incanto sempre più sulla foto di mia madre incinta di me. È così sorridente nel toccarsi il pancione e mi scappa una lacrima. Almeno so che quella volta mi ha veramente amata.
Vedo, poi, altre foto insieme: Io e Ale che crescevamo, le festività e le vacanze passate insieme.
Dove sono andate queste persone? Sono sparite all'arrivo a Volpiano.
Il magone si sta facendo sentire. Chiudo l'album e mi rifugio in camera mia. Lei mi manca già così tanto e penso che porterò questo vuoto per sempre.

Quandomi corico a letto, sono contenta che, finalmente, questa giornata di merda è finita.
"Domani sarà un giorno migliore", così dicono.
Non so quanto sia veritiera questa frase, ma sono altamente convinta che questo incubo non finirà completamente.


Forte Come Una Tigre (#wattys2016) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora