il mercoledì

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  Sul balcone al 15esimo piano della signora Stewart, prendevano il sole decine e decine di tulipani. Ognuno con la sua personale tonalità di giallo, emanando ognuno una fragranza leggermente diversa dall'altro. Ad un tratto, un foglio del Times in balia delle correnti terminò il suo volo fra quei petali, rovinando tutta la loro tinteggiatura, frutto di mesi e mesi di duro lavoro. Ben poco era leggibile su di quella stampa, troppe erano le intemperie che aveva affrontato. Solo una cifra ancora era chiara e ben distinta . In alto a destra, nero su bianco stava scritto: 1926. In quel preciso istante, tutti gli orologi, dal rolex da polso placcato in oro dell'avvocato Luis, a quello da taschino vecchio e trasandato di Mr Jones, segnavano approssimativamente le tre in punto del pomeriggio (perché è a questo che servono gli orologi, a indicare l'ora). Le strade di tutta Manahattan erano inondate dalla più calda e dolce luce che la fine di maggio potesse offrire. Io, armato solo di pipa e acciarino, sedevo su di una panchina riverniciata da poco, sulla 82esima strada, con le braccia distese leggermente all'indietro ad abbracciare entrambe le estremità del poggiaschiena. Tentai di tenere fisso lo sguardo da qualche parte ma senza successo. Tutto intorno a me correva, tutto aveva qualcosa da fare e lo faceva con ritmo così frenetico da togliere il fiato. C'era chi andava a est, verso il fiume Hudson, dove le vele non finivano mai di transitare. Chi invece doveva andare a ovest, verso central park, che se lo si attraversa ci si ritrova proprio dietro al Metropolitan. Stavo aspettando la mia dama da più di un ora ormai e il mio baffo nero necessitava spasmodicamente di un pettine. Harlem ci stava aspettando. Il charleston ci stava aspettando!! Prima però avremmo dovuto visitare mille e mille negozi, in cerca dell'outfit migliore per la serata. Io ero pienamente consapevole del fatto che lei non avrebbe comperato assolutamente nulla, ma la amavo troppo per privarla di quel sadico piacere. Ah cosa avrei fatto per lei, e i miei occhi lo mostravano chiaramente. Ogni sacrosanta volta che scendeva le scalette di quel numero 26 della 82esima strada tutti gli uomini nel raggio di 4 miglia si fermavano, calavano gli occhiali da sole, si toglievano il cappello e passandosi la mano libera tra i capelli, accennavano ad un ebete sorrisino nella vana speranza di attrarre il suo sguardo. Lei, in qualità di spudorata e spietata bastarda, era pienamente a conoscenza del suo magnetico e irresistibile fascino, e non perdeva occasione per approfittarsene, divertendosi nei modi più crudeli in cui ci si può prendere gioco di un poverocristo. Oh signore quanta pena provavo per quelle anime del purgatorio. Avreste dovuto vederli, fantocci tutti uguali privi di personalità e di un briciolo di dignità. Uno spettacolo tristissimo, che però a lei faceva divertire tantissimo. Non sto qui a descrivervi poi le loro facce poi quando la vedevano lasciarsi catturare dalle le mie braccia, facendo affogare le su labbra tra le mie. Sono quasi sicuro di aver visto le lacrime solcare parecchi dei loro volti. Il nostro tour shoppistico ci tenne occupati per tutto il pomeriggio ma, contro ogni mia possibile previsione, nell'ultima bottega, la più piccola e modesta di tutte, lei trovò l'abito dei suoi sogni. Fu un amore a prima vista e devo ammettere che sembrava proprio essere stato concepito appositamente per lei. Di un rosso così intenso che pareva bagnato dalle fiamme dell'inferno. Roba da perderci la testa. Fortunatamente io la testa l'avevo persa già da parecchio tempo, anzi, per quanto ne so, con ogni probabilità non ce l'avrò mai avuta. Felici come due bambini che hanno appena comprato un gelato ci trovammo nel bel mezzo di Harlem, precisamente di fronte alle porte della pasticceria francese "Les péchés de gourmandise". Noi però non avevamo nessuna voglia di dolci. L'unica ragione per cui ci eravamo fermati davanti quell'ingresso era che dal retro, attraverso una botola nascosta fra i cespugli, si poteva accedere alle sue cantine, ed era proprio li che ogni mercoledì sera un corposo gruppo di appassionati si riuniva per ballare il charleston, il jazz ed ogni genere musicale fosse in grado di smuovere l'anima dalle ossa. Il tutto magnificamente immerso in fiumi di Rum e Gin fatti arrivare appositamente dalle terre del sud come "ingredienti fondamentali per dolci", o almeno era quello che dicevano i proprietari alla polizia in quel tremendo periodo che era il proibizionismo. Adesso però non posso dirvi altro, non trovo le parole, o meglio, non credo sareste in grado di comprendere. È troppo complicato per un poverocristo come me farvi immaginare cosa potesse accadere in un mercoledì sera come quello. È proprio per questo che stasera andrete a letto con nodo in gola. Senza sapere nemmeno una parola di più. Le parole affascinano, incantano, sono qualcosa di meraviglioso, ma alcuni momenti semplicemente non possono essere descritti, vanno vissuti, punto e basta.  

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