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È buio fuori, lora è quella in cui la notte si chiama ancora sera ed è caldo, i muri lo hanno pazientemente immagazzinato tutto il giorno e ora, lentamente, impietosi, lo rilasciano ad altezza duomo.
Dentro alla stanza la temperatura è resa ancora più alta dal calore dei corpi degli uomini e delle donne che li si sono dati convegno.
L'umidità è alle stelle, tutta quella pelle è imperlata di sudore e laria è resa ancora più irrespirabile dagli aromi di piante venute da chissà dove che ora bruciano senza fretta dentro del vasellame.
Chi è nella stanza però sembra perfettamente a suo agio.
Trenta persone in quello spazio ristretto sembrano una folla disordinata, invece, ognuno è esattamente al suo posto e ognuno ha un ruolo solo suo.
È così che è sempre funzionato, è così che funzionerà sempre.
C'è luce, non quella morta della corrente elettrica, ma quella viva delle lampade ad olio.
Viva perché non è ancora lora dei morti, il loro turno verrà dopo.
Uno dopo laltro, in sequenza e con tonalità diverse, come le canne di un organo, iniziano a suonare dei tamburi.
Seguono uno spartito che nessuno ha mai scritto.
Anche senza l'acustica delle navate di una chiesa che ne valorizzano il suono, il tutto ne sa di musica sacra.
Una donna anziana stende le mani al cielo, chiude gli occhi e con una voce sorprendentemente pulita intona una litania che potrebbe essere tranquillamente un Padre Nostro.
Delle parole che usa alcune sono francesi, alcune inglesi e forse tedesche, sicuramente altre creole, infine, ne usa in dialetti parlati in villaggi spariti ormai da tempo dal suolo del continente africano.
Ad ogni strofa, gli accoliti rispondono e battono i piedi, prima uno poi laltro, il ritmo sale appena e le gambe si sciolgono in una sorta di danza sul posto.
La piccola folla si apre e forma un cerchio.
La figura senza inizio e senza fine, quella che non da punti di riferimento allinterno del suo cammino; entro il quale, tutto e tutti si perdono.
Al centro rimane solo una persona che era lì così già dallinizio.
È nuda e in posizione fetale.
Dal cerchio si staccano quattro figure, strisciano fino a lui trascinandosi con le mani.
La vecchia cambia tono, ora sembra proprio pregare.
La persona che era al centro ora dischiude le gambe e le braccia rimanendo sulla schiena.
I quattro esseri striscianti che sembrano essersi mossi allunisono senza essersi ne fermati ne aver rallentato, arrivano in realtà in sequenza.
Ognuno gli avvolge prima la testa con le mani, poi gli striscia sul corpo e infine sparisce nel cerchio nel posto lasciato vuoto da uno degli altri.
Quella schiena che prima aderiva perfettamente al pavimento, ora si inarca, le estremità fremono come negli ultimi spasimi di vita che precedono la morte, poi, i muscoli tutti si bloccano dando limpressione di essere scolpiti nell'ebano.
Senza interruzioni, ma con un passaggio difficile da individuare la musica dei tamburi cambia, perde di solennità, diventa asciutta e più frenetica come rami che si spezzano sotto il peso di una massa che si avvicina sempre più velocemente.
La preghiera ora è incitazione.
La vecchia ora abbassa le braccia e le tende verso il centro.
Gli altri la imitano e continuano a rispondere ai suoi canti.
Questa volta è una donna che si stacca dal gruppo, è nuda anche lei e cammina carponi come una fiera in caccia; gira una, due volte attorno a quel corpo inerme poi, con un balzo che nulla ha più di umano gli si avventa sopra, viso contro viso.
Chi le sta sotto sembra rianimarsi traendo nuova linfa da quel respiro travasato da una bocca all'altra.
Proprio allapice della vittoria della vita sulla morte il cerchio si rompe e come un fiume che tracima riversa tutti tornano  a riempire la stanza inghiottendo le due figure a terra.
Difficile dire quando ma la musica è di nuovo cambiata e così la canzone.
Se questa gente ha nelle loro tradizioni l'equivalente del cristiano alleluia lo stanno cantando ora.
Tanto che dentro cantano, fuori, un'ombra si allontana sinuosa come il fruscio del vento.
Una lama di oscurità che silenziosa accarezza appena il terreno su cui si sposta.
Sa dove andare adesso.
Chi è stato prima di tutti loro, ha indicato la via.
Una pista odorosa tracciata per un naso che non è di carne e tessuti.
Si sposta veloce, quasi invisibile, non si ferma fino a che non giunge dove sa che incontrerà la sua preda.
Un uomo nel frattempo sta rincasando.
Fuori è buio e adesso è proprio notte.
Fa caldo, un maledetto caldo umido, ma non ci bada ha altro per la testa. Aveva un appuntamento importante ma la persona con cui si doveva vedere non si è presentata.
È la seconda volta.
La prima si è soltanto irritato, adesso inizia a insinuarsi in lui la preoccupazione, loro non sono gente da saltare gli appuntamenti senza motivo.
è armato e si guarda sovente le spalle.
Il suo mestiere comporta dei rischi e lo sa, per questo sono state studiate delle procedure operative il cui abbandono può rivelarsi letale.
Prima di entrare in casa getta un ultimo sguardo al ballatoio.
Ha sentito giù da basso il portone aprirsi e chiudersi un po troppo rumorosamente per essere opera di un sicario, ma non si sa mai.
Avrebbe comunque atteso un po prima di coricarsi, ammesso che il caldo gli permetta di dormire.
Apre la porta tenendosi fuori dal suo specchio, da dentro una falce di luce inizia a disegnarsi in terra.
La lascia sempre accesa in modo da avere una buona visuale del locale nei suoi rientri notturni nascosto nel buio del corridoio esterno nel quale ha sfilato la lampadina.
Nel caso invece la trovasse spenta, beh.. e con la mano accarezza il calcio della pistola che gli sforma un po i pantaloni.
Entra  chiude la porta e poi si guarda attorno, il cuore intorpidito dal caldo inizia a battere a ritmo sostenuto.
Tutto è apposto tutto è in ordine ma lui con la morte ci lavora e la sentirebbe ovunque come si riconoscono i passi di un collega alle proprie spalle.
La sensazione di pericolo, quella spia mentale che lo ha tenuto in vita fino ad ora nonostante la sua sia decisamente fuori dagli schemi ora lo sta martellando.
Impugna la pistola e spegne la luce, cambia subito posizione per non dare punti di riferimento allavversario invisibile e tanto dà agli occhi il tempo di abituarsi al buio, poi aspetta.
Fruga con lo sguardo i chiaro scuri alla ricerca di qualche profilo anomalo.
Con lorecchio batte la casa alla ricerca di una stonatura, uno scricchiolio uno sbuffo, un respiro.
Niente.
Il vantaggio dell'agguato sta nell'invisibilità e lo sa bene.
anche chi lo stava aspettando lo sa.
Solo nei film la gente in certe situazioni urla a squarcia gola minacce e frasi solenni, nella realtà chi perde il vantaggio muore.
Ma cè davvero qualcuno?
Forse è suggestione.
No, così non va, il suo avversario è bravo e deve stanarlo, perché cè, lo sa che cè.
Bagno o cucina? Da dove cominciare?
Scarta il bagno, troppo piccolo.
Si sfila le scarpe e ne lancia una verso una mensola vicino alla porta del bagno facendo cadere rovinosamente una bottiglia e contemporaneamente scivola verso la cucina.
Allunga una mano, accende la luce  e rimanendo nel buio della stanza spiana la pistola.
Niente.
Niente perché nel momento in cui ha spento la luce nell'ingresso, dalla cucina un ombra è strisciata nella stanza principale.
L'ha osservato nel buio nutrendosi della sua inquietudine che cresceva e, come ogni predatore ha aspettato pazientemente quell'attimo che divide la vita dalla morte.
L'uomo percepisce il movimento alle sue spalle si gira e spara due colpi in un unico movimento ma perde l'equilibrio, un errore clamoroso ma per ora lo salva, appena il tempo di percepire qualcosa che lo oltrepassa e atterra dolcemente nella cucina ora illuminata.
Rotola su di un fianco, si porta in posizione di tiro con un ginocchio a terra.
Intravede una sagoma che veloce come un proiettile ripiomba nelloscurità.
Tira altri due colpi.
Ora il suo affanno copre ogni altro rumore.
Ha capito chi dei due è la preda e si scopre sempre più indifeso.
Prova a rialzarsi offrendo piena visuale di se, se ne rende conto come si rende conto di avere perso.
Ha vinto tante di quelle volte  nella vita che certe situazioni le riconosce al volo.
Però non molla.
Istinto di sopravvivenza .
Le nocche della mano diventano bianche da quanto stringono la pistola.
La pistola; si chiede perché l'altro non ha ancora sparato un colpo.
Forse invece hanno sparato e non se nè accorto, fosse così, è alla fine davvero.
Tanto che pensa con la coda dell'occhio vede di nuovo la sagoma che come vomitata dal nulla gli balza contro, giusto il tempo di un ultimo sparo nel vuoto poi si sente spinto a terra e batte la testa.
Sotto a quel peso le spalle gli sembra si stiano lacerando poi un alito caldo sul viso.
Una parte recondita del suo cervello si risveglia richiamata da qualcosa di famigliare, una paura per qualcosa che lui non ha mai visto ma che qualcuno molto prima di lui gli ha lasciato in eredità dalla notte dei tempi.
Quando la porta di casa sua si spalanca di botto è già morto.
Un uomo in divisa ancora che ancora barcolla per lurto vede qualcosa scivolare via.
Urla un ordine che nessuno accoglie, afferra la torcia che porta ala cintura e cerca spiegazioni nel fascio di luce che proietta, ma quello che trova è solo la fonte di altre domande.
Quando finalmente aziona l'interruttore e illumina la stanza capisce che non aveva visto male.
Si siede a terra e con voce scossa alla radio che fruscia in sincrono con la sua mano chiama la sua centrale operativa.

Il bacio della morteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora