Prologo
Quando passavano per le strade, la gente si fermava a guardarli: non perché fossero estremamente belli o particolari, ma perché anche solo uno sguardo a quei due bambini trasmetteva gioia e felicità; cose che da quelle erano venute a mancare da un bel po'.
A piedi nudi e mano nella mano; vestiti di bassa qualità a coprire le ossa sporgenti da sotto essi. Come due angeli poveri, mandati in terra per portare un po' di dolcezza in quel mondo triste, in quella Cefalù triste.
Non serviva altro che sorridessero, correndo spensierati, perché il loro dovere fosse compiuto. Un sorriso innocente, che facesse sentire puri e felici anche gli altri.
Eppure, nemmeno loro erano felici come sembravano; anche quei due bimbi - per quanto bravi fossero a nasconderlo - erano nella miseria e in pericolo, e ne erano a conoscenza.
Sapevano di quanto rischiassero solo vivendo in quel luogo, sapevano che, da un giorno all'altro, sarebbero potuti morire per mano di una faida tra clan. Sapevano che i veri timori, i veri pericoli erano quei cattivi uomini vestiti di nero - con le sigarette tra le labbra sottili, i cappelli scuri unti in testa e gli occhi malvagi - e non il mostro sotto il letto. Sapevano che l'uomo nero esisteva, ma sotto forma di capo mafioso, e non andava a prendere solo i bambini, ma tutti.Tutte cose che, in teoria, un bambino della loro età avrebbe dovuto ignorare. Tutte cose che nel resto del mondo - dove le persone erano più civilizzate di li - avrebbero causato orrore immenso e traumi a chiunque.
Ma quei due - picciridda e querido - erano troppo abituati a tutto ciò, perché l'orribilità di quegli avvenimenti li turbasse fino a portarli a temere di vivere.
Abituati a vedere armi e cadaveri; abituati a sentire le madri di bambini della loro età piangere perché il proprio figlio era stato corroso nell'acido; abituati a vedere macchine costose fermarsi in mezzo alla strada e mani uscire da dietro il finestrino e portarsi via persone, o addirittura sparare a qualcuno.Il motivo per cui si dimostravano così tranquilli di fronte a quelle atrocità, era semplice in una maniera quasi buffa: avevano l'un l'altro.
Il sostegno reciproco, la mano dell'altro da stringere nella propria era tutto quello di cui avevano bisogno per poter continuare a vivere la loro infanzia in modo più tranquillo possibile.
Vedete, quando quei due stavano insieme, nello spazio tra i loro corpi si creava una specie di buco nero, un portale che li poteva portare ovunque volessero: America, in mezzo ad un vulcano, Roma, nella foresta Amazzonica, ovunque.
Ma loro sceglievano sempre lo stesso posto: un luogo solo a loro conosciuto che nessun'altro avrebbe potuto trovare.Il loro ritaglio di universo.
Un luogo magico; piccolo ma abbastanza grande per ospitare tutti i loro sogni e segreti. Un luogo solo loro, dove la crudeltà della vita vera non li avrebbe mai potuti trovare.
E per accedere a questo posto meraviglioso non bastava altro che uno sguardo, un respiro, una carezza; qualcosa di piccolo e banale agli occhi altrui, ma di grande significato per loro.Ma quando questo loro rifugio dal mondo non bastava, quando non riusciva a contenere tutti i segreti e i desideri infantili, allora i due se ne portavano un po' sulla terra, e li depositavano su un albero. Mi correggo, il loro albero.
Quello che, tra i suoi robusti e numerosi rami, nascondeva più segreti di quanto avrebbe fatto un universo intero.Certo, non era il massimo; potevano essere facilmente rintracciati da chiunque, e a volte venivano disturbati da altre persone, ma a loro andava bene lo stesso.
Perché, tutto sommato, quello che veramente contava - quello che rendeva quel banale albero speciale - erano i loro cuori puri e tutti i momenti passati seduti sui suoi rami spessi.Picciridda e querido, i due migliori amici che mai potessero esistere.
Muniti dal Cielo dei cuori più puri, delle promesse più sacre e delle voci più dolci. Quegli angeli che Dio aveva - con tanto dispiacere e timore - mandato sulla terra, affidandoli, però, alla natura; facendole promettere che mai e poi mai avrebbe permesso che accadesse qualcosa ai suoi figlioletti.E lei aveva mantenuto la sua parola, inizialmente un po' riluttante, ma col tempo affezionandosi a quei due tanto da sentirsi come una seconda madre.
Li cullava tra le sue braccia nei momenti di sconforto, e gioiva con loro quando accadeva qualcosa di bello; si vendicava contro chiunque provasse a far loro del male e piangeva quando litigavano tra loro.I suoi protetti, i suoi figli; se solo qualcuno le avesse detto che non avrebbe potuto proteggerli per sempre. Che la fine di quella tranquillità stava giungendo; che la tempesta stava per avere inizio, e lei non avrebbe potuto fermarla.
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Paulo smettila di essere così bello, hai seriamente stancato.
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Picciridda // P. Dybala, C. Marchisio
Fanfic"- Sei così piccola, - soffiò mentre giocherellava con qualche ciocca castana - solo ora capisco il perché del tuo soprannome: picciridda, piccolina, bambina. La mia cita. -"