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Un castello;

Un castello; quando le mura immaginarie non bastavano a proteggerli dal mondo esterno, Lucia e Paulo costruivano un castello vero e proprio, fatto di lenzuola e cuscini.

Sembrava una cosa stupida, infantile - e forse lo era davvero - ma a loro piaceva, quindi perché smettere?

Lucia stava finendo di sistemare i cuscini, quando Paulo entrò dentro il fortino stringendo tra le mani la radio portatile che suo padre gli aveva regalato per il suo quindicesimo compleanno, oggetto che aveva sempre accompagnato i due nelle loro escursioni in quel castello soffice.

- Hai preso le caramelle? - le chiese, sintonizzando la radio sulla loro stazione preferita.

- Si, tutto pronto. - confermò, lasciandosi cadere sul cuscino morbido dietro alle sue spalle, seguita a ruota dall'amico.

Lucia prese una caramella dal sacchettino bianco in mezzo ai loro corpi, accompagnando il suono del suo masticare con la musica che usciva dalla radio.
Era buffa: sembrava veramente una bambina, e nei momenti come quello Paulo realizzava perché le fosse stato affibbiato quel soprannome - picciridda.

- Che ti va di fare, oggi? - le chiese mentre partiva Can't Help Falling In Love di Elvis Presley.

- Non lo so, - mugugnò, pescando un'altro dolcetto - avrei voglia di un bel gelato. -

- D'accordo, e dopo andiamo anche al mercato, però. Devo fare la spesa. - ricevette un cenno d'assenso da parte di Lucia - E ti va di dormire qui, stasera? Non penso mia madre ci lascerà tenere tutti i cuscini e le coperte per noi, ma potremmo sempre improvvisare un castello con un lenzuolo. - alzò le spalle.

- Certo, - ridacchiò lei - ne parli come se non lo avessimo fatto già un milione di volte, Paulo, quando in realtà capita quasi tutti i giorni. Sai, sei un po' strano ultimamente, ti senti bene? -

- Si, si. - scosse la testa, passandosi una mano sul volto stanco - Sono solo un po' preoccupato per l'arrivo di quel nuovo tipo, il principe, o quello che è. -

Lucia provò una grande compassione nei confronti dell'amico, sempre in pensiero per tutti i suoi cari.
Si sentiva quasi colpevole di avergli detto tutto, perché con ciò aveva causato in lui un estremo stato d'ansia.

Lasciò da parte le caramelle per un attimo - che tanto aveva quasi finito - per girarsi di lato, e trovarsi faccia a faccia con Paulo; i loro volti a pochi centimetri di distanza.
Gli sorrise tristemente, cercando di portare via tutta quella preoccupazione con una carezza sulla guancia, e succhiargli via dagli occhi lo stress con uno sguardo profondo.

- Paulo, - gli soffiò sul volto, continuando a sfiorargli la pelle abbronzata con le dita sottili, tanto delicatamente da parere qualcosa di surreale - andrà tutto bene. Siamo sopravissuti ad alcuni dei peggiori mafiosi di Sicilia, e lo faremo anche questa volta. -

Le labbra soffici e piene della ragazza gli toccavano la pelle come fossero piccole fiamme innocue, che, seppur bruciassero, non arrecavano tanti danni quanto un fuoco vero.
Una sensazione piacevole, che Paulo aveva assaporato centinaia di altre volte, ma mai nel modo in cui stava facendo in quel momento.

- Mangia una caramella, querido, ti farà solo bene. - ridacchiò, imboccandolo con un dolcetto che aveva pescato dalla busta.

Paulo le sorrise, gustandosi il dolciume e chiedendone immediatamente un'altro.
A quella domanda, il viso di Lucia andò in fiamme, e la ragazza si mise a sedere, portandosi le mani dietro alla schiena con un sorriso al metà tra il dispiaciuto ed il divertito.

Inizialmente, lui non capì, ma quando vide sacchettino bianco - poco prima pieno zeppo - vuoto un'espressione scocciata gli comparve sul volto.

- Lucia! - sbottò, incrociando le braccia al petto e mettendosi a sua volta a sedere - Le hai finite tutte, di nuovo! -

- Oops. - ridacchiò, coprendosi la bocca con una mano.

- D'accordo, - sbuffò Paulo, abbassando lo sguardo, prima di aggiungere, in un ghigno - te la sei cercata. -

Le saltò addosso, iniziando a solleticarle la pancia, il collo e le gambe. Lei non riuscì a fare altro che ridere fino alle lacrime, pregandolo - tra una risata e l'altra - di smetterla.
E la cosa peggiore era che solo Paulo conosceva i punti in cui era più sensibile; così, avendo due braccia muscolose, riuscì nel tempo stesso a tenerla ferma e solleticarla.

- Ora le mangi ancora tutte le caramelle? - le chiese, i volti nuovamente a due centimetri di distanza.

- No, no, lo prometto. - sospirò sfinita, cercando di riprendersi da tutto quel ridere.

Paulo non si allontanò, siccome non vedeva perché dovesse farlo: gli piaceva sentire il fiato caldo di Lucia sulle sue guance e poter vederle gli occhi verdi così chiaramente, da così vicino.

Avrebbe potuto baciarla, se avesse voluto. Baciarla e togliersi il dubbio che lo tormentava da tempo: qual'era il sapore delle sue labbra?
Eppure non lo fece; si limitò a rimanere fermo li, in quella posizione, in silenzio, con la guancia che gli bruciava ancora dal bacio ricevuto poco prima da lei.

E anche Lucia - che avrebbe potuto scostarlo dal suo corpo ed alzarsi - rimase immobile dov'era, incantata dalla bellezza del suo amico per quella che le parve come un'eternità.

Che poi, quant'era un'eternità?
Per quanto ne sapeva lei, poteva essere un secondo; un battito delle lunghe ciglia di Paulo, una sua carezza sul volto, un suo sguardo sfuggente, un suo sorriso regalato da dietro la spalla.
Al fianco del suo amico, il tempo non aveva un'unità di misura ben precisa: decidevano loro quando sarebbe passato e quando no; decidevano loro quando avrebbe dovuto fermarsi oppure accelerare.
Era tutto nelle loro mani, da sempre e per sempre.

Comunque, fatto sta, che rimasero immobili, a guardarsi negli occhi, per un'eternità; una loro eternità; la loro eternità.
Ed era semplicemente fantastico.


Picciridda // P. Dybala, C. MarchisioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora