00. Dalla fine, il principio

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30 Febbraio

Avete mai avuto una di quelle giornate no? Che piuttosto che alzarvi dal letto e dire "buongiorno mondo" vi sotterrereste sotto un cumulo di coperte per non uscirne mai più?

Ecco, per me quello era proprio un giorno da passare in isolamento forzato pur di non mettere il piede fuori dalla stanza, così "no" da aver sperato in un'influenza improvvisa e debilitante o nel crollo del soffitto dell'Hurtsroad's College – niente meno che il Collegio più rinomato e facoltoso di tutta la Gran Bretagna dell'est. Non c'era famiglia che non provasse a inserire i propri figli nell'infinita lista d'attesa dei nuovi iscritti, eppure io quella mattina sarei stata immensamente lieta di vedere tutta la scuola e i suoi abitanti rasi al suolo. O almeno, lontani anni e anni luce da me.

Esageravo?

Io dico proprio di no visto che di lì a qualche ora mi sarei resa ridicola davanti a tutto il corpo docenti e gran parte della popolazione studentesca. Non ero mai stata particolarmente credente o attenta al fato, le coincidenze o l'allineamento dei pianeti, ma il fatto che fosse anche – addirittura! – venerdì non aveva potuto che attirare la mia attenzione.

E lasciatemelo dire, il mio oroscopo negli ultimi tempi non ne indovinava una.

Ci tengo a precisare che non ero così melodrammatica da lasciarmi scoraggiare da un inizio settimana come un altro. Anche se, ammettiamolo, ben due ore consecutive con il professor Barry, temutissimo insegnante di scienze, di prima mattina avrebbero fatto inorridire chiunque. Il motivo della mia disfatta e del senso di nausea che mi accompagnava da almeno una settimana era semplice e inopinabile: quell'oggi avrei giocato la mia prima – e si sperava anche ultima – partita come alzatrice nella squadra di pallavolo della scuola.

E pensare a che a me, la pallavolo, neanche piaceva. E lo sport in generale. E tutto ciò che prevedesse un minimo di attività fisica da parte mia.

Qualcun altro con forti istinti suicidi oltre me?

La sveglia cominciò a suonare per la quarta volta e io, sopraffatta dalla disperazione e in modo assolutamente maturo e consono ai miei venerandi diciassette anni, mi tuffai sotto le coperte decisa a ignorare ogni responsabilità che incombeva su di me.

Continuare a maledire la mia totale incapacità negli sport che prevedessero il coinvolgimento di una palla e di uno sforzo da parte mia non sarebbe servito a nulla. Perlomeno, non ora che l'Apocalisse era imminente.

Piuttosto era il caso di trovare una via di fuga e anche con rapidità.

«Leanne, è tardi. Alzati!» sbuffai sentendo la voce di Madison, la mia compagna di stanza. «Così farai tardi» commentò con tono disinteressato.

«Mmh...»

«Niente "mmh", Leanne. Smettila di ignorarmi o...» La minaccia venne interrotta da un bussare alla porta.

«Sono Annabeth, posso entrare?»

Ecco, era proprio la fine, ormai non avevo più via di scampo. Annabeth era la mia migliore amica, oltre che l'unica persona, a parte mia madre, capace di farmi davvero paura: la sua testardaggine, infatti, unita a una vena dispotica, autoritaria e di certo non sottovalutabile facevano sì che io finissi sempre per darle ascolto.

Una vera fortuna, sotto questo punto di vista, che tre anni prima mi avessero assegnato una camera diversa dalla sua nel dormitorio femminile. Altrimenti, sfuggire ai suoi rimproveri e al suo sguardo indagatore si sarebbe rivelata un'impresa molto più difficile.

Abbassai con circospezione un lembo del lenzuolo e da dietro i capelli arruffati riuscii a intravedere la ragazza aprire la porta, sorridere con gentilezza alla mia compagna di stanza e raggiungermi in poche falcate. Madison se ne andò, lasciandomi sola e indifesa con il nemico.

Tutta colpa di un fidanzato per fintaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora