Elisa

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"Vuoi prendere come tuo legittimo sposo..." a volte queste parole mi ritornano in testa, ricordandomi di quanto fui stupida, rinfacciandomi tutta la mia falsità e sentendomi solo un'ipocrita.
Per anni non ho fatto altro che piangere, ho perso giorni chiedendomi e ipotizzando tutti i possibili "se", ma nulla si può sapere, forse doveva andare così, forse no. Ma non lo saprò mai. E mentre vi parlo piango anche se voi non ve ne rendete conto, non ce ne sono lacrime, le ho finite esattamente 5 anni fa, quando ancora non credevo a ciò che era successo, quando sembrava tutta pura illusione, magari era solo un brutto sogno. Non doveva andare così, se io non fossi stata una codarda non sarebbe successo. E invece no, perché non solo mi convinsi di amarlo e lo sposai, ma prima cercai la donna della mia vita, il mio unico amore e le dissi tutto, feci parlare il cuore, non misi freni, e, come se non fosse successo mai nulla risposi si alla fatidica domanda.
Era felice, lui. Io lo sembravo, ma andava bene così.

Partimmo per il viaggio di nozze, una crociera, con otto tappe, quindici giorni di luna di miele, eravamo gasatissimi.
Lui follemente innamorato. Io lo sembravo, ma andava bene così.

Cosa poteva succedere? Nessuno sapeva niente, solo io e i miei sensi di colpa. Potevo farcela a nascondere tutto, almeno per il momento.

Così partimmo il giorno dopo, arrivammo a Roma, le tappe prevedevano Copenaghen, San Pietroburgo, Stoccolma, Riga, Talling in Finlandia, e infine il giro dei Fiordi e ritorno in Italia. Il sogno di una vita stava per avverarsi.

Passarono quattro giorni, tutto era favolosamente bello, incantati dalle meraviglie dei posti tutto sembrava felice, perfetto. Finché la mattina di visitare Stoccolma non successe quel che successe.

Quando si è felici i sensi di colpa si sentono meno, si dimenticano, quella mattina ero così rilassata, così energica e felice della nostra vacanza che, mentre ammiravamo il Palazzo Reale tra un sorriso, una risata e qualche fotografia lasciai il mio telefono in mano a Luca, dimenticandomi del messaggio ancora visibile.
Con innocenza Luca aprì Whatsapp, doveva inviare un messaggio a sua madre, così aveva detto. Solo dopo che l'aveva ormai letto mi ricordai di ciò che non doveva leggere. Non disse nulla. Mi guardava, e piangeva. Dopo un po', emise un labile suono "Perché?"
Io non risposi. Piangeva. Restammo seduti sul prato antistante il Palazzo per un bel po', fin quando non mi disse: "o resti tu o io, su quella nave non ci torniamo insieme. Non m'importa più di niente, neanche di te". Cercai di spiegarmi ma fu inutile, ma lui mi bloccò prima di poter fare una frase compiuta. Non c'erano valide spiegazioni ed aveva ragione.
Non era arrabbiato, era deluso e fu proprio questo che mi fece sentire una merda e che mi fece accettare il fatto di non tornare su quella nave.
Si alzò e se ne andò, senza una parola, uno sguardo. Mi lasciò lì, immobile, su quel prato a fissare l'acqua del mare che avevamo intorno, non sapevo cosa avrei dovuto fare eppure qualcosa mi diceva di restare lì, e così feci.

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