Da più di due ore sto facendo da Cicerone a Mario. Da piazza Bra a Ponte Pietra, dal Teatro Romano a Castelvecchio.
"E questa è la casa di Giulietta.", scendo dalla macchina, seguito da Mario.
"Con questa é finito il tour?", ride appoggiandosi al tettuccio dell'auto.
"Potremmo andare avanti tutta la notte, ma ti vedo abbastanza stanco.", rispondo sorridendo.
La sua faccia sfatta, per tutta risposta, mi fa capire che il mio intuito non si sbaglia.
"No vabbè, scusami.", passa una mano sul volto strabuzzando gli occhi, "La partita mi ha distrutto.""Vuoi tornare indietro?"
"Non ancora, si sta bene sta sera... No?", cerca conferma nei miei occhi sedendosi sullo scalino di fronte.
Lo raggiungo, al suo fianco.
Mi guarda fisso in viso, io invece fisso le mie scarpe."Cosa c'è?", chiede notando il mio sguardo schivo.
Siamo qui, entrambi, lui non vuole tornare indietro, vuole stare qui, con me, a far cosa se ha appena voltato le spalle al Balcone?
"Perchè?", domando spontaneamente.
"Perchè cosa?", incalza.
"Ti ho portato a vedere uno dei simboli di Verona e tu gli hai voltato le spalle..."
"Perché, magari, c'è qualcosa che mi interessa ancor più del Balcone di Giulietta e non si trova alle mie spalle."
Nel momento esatto in cui termina la frase, sollevo lo sguardo e ricevo un grande sorriso in cambio.
Più passano i secondi e più mi rendo conto dei piccoli particolari che rendono questo momento magico, ad esempio il suo braccio che combacia con il mio, le nostre ginocchia che si toccano, i respiri che si alternano.
Entrambi seduti sullo stesso gradino, entrambi in silenzio aspettando chissà cosa.Fisso ancora a terra, poi riporto lo sguardo sul volto di Mario.
Lui alza le sopracciglia, io non riesco a guardarlo negli occhi per più di tre secondi.Mi alzo da terra preso dall'imbarazzo e faccio per raggiungere la macchina.
"No, aspetta.", mi afferra per il braccio, come già fatto qualche ora prima, si piazza avanti e me e mi stringe in un abbraccio.
Un tornado di emozioni esplode dentro me dal momento in cui sento le sue mani poggiarsi sulla mia schiena fino quando percepisco il suo torace aderente al mio petto.
Lo stringo a me più forte di quanto lui faccia e immergo il mio volto nell'incavo del suo collo.Minuti, secondi o millesimi, non so.
Un tempo impercettibile, ma capace di scandire un ritmo più forte di qualsiasi altra cosa: il battito dei nostri cuori, all'unisono.Pian piano le nostre braccia si sciolgono, le mani scivolano e i nostri occhi s'incrociano. Lentamente, e svogliatamente, siamo di nuovo l'uno di fronte all'altro.
Mario distoglie la sua attenzione da me, cosa che mi crea un certo disagio.
Avanza verso l'auto, un po' stornato dall'azione che lui stesso ha iniziato. Non mi guarda, ha il volto teso verso il basso e, una volta nell'auto, osserva fuori dal finestrino, aspettando il mio arrivo.
Prendo coraggio ed entro anch'io.Silenzio. Silenzio è tutto ciò che circola fra noi.
Sospiro, ancora in preda alle emozioni che mi ha lasciato, cercando di capire che errore abbia commesso.
Se di errore si tratta.Attendo cinque minuti esatti, per tutti e cinque scruto Mario dallo specchietto retrovisore centrale. Lui non fa una piega, il suo sguardo diretto fuori dal vetro.
Giro la chiave, metto il moto la macchina.Non capisco.
Forse il mio atteggiamento è risultato troppo eccessivo, forse non si aspettava un abbraccio di ricambio così affettuoso?
Ad ogni caso io ho sentito ciò che emanava quell'abbraccio, da entrambe le parti, e c'era tutto ciò che ci dovrebbe essere in un abbraccio.
So che questa sensazione sia giunta anche a lui, ne sono certo.Un'altra mezz'ora di pensieri, a tormentarmi, come nel viaggio d'andata. Che scatole.
"Scusa.", il suono grave della sua voce emerge nel silenzio che quasi fa rumore dentro ai quattro lati dell'auto.
Svelto gli do un'occhiata.
"Non avrei dovuto."
Ma cosa sta dicendo?
"Tu sei il mio datore, io sono il tuo dipendente.", le sue parole rimbombano nella mia testa.
"Io sono Claudio, e tu sei Mario.", ribatto nervoso.
"Tu sei il mio datore, io sono il tuo dipendente.", ripete nuovamente.
"Ma smettila!", alzo la voce, "Perchè devi sminuire quell'abbraccio? Hai paura dei tuoi sentimenti?", chiedo provocandolo.
"Ti sto soltanto rendendo partecipe della realtà.", dice con tono apatico, cosa che mi stupisce.
Quasi all'Urban, svolto verso la via di casa mia. In questo momento non mi frega più di niente. Non mi frega del bar, di Paolo, delle vendite, di andare a vedere com'è ridotto il locale.
"Dove stiamo andando adesso?!", il tono paranoico di Mario satura in modo ancora più consistente la mia idea.
~~
Vi lascio con la solita "suspance" che amate tanto e vi do appuntamento al prossimo capitolo 😄❤️
(DA NON PERDERE!)
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La notte e Il giorno • Claudio Sona e Mario Serpa
FanfictionQuando faccio per rispondere al suo sorriso, mi rendo conto di non dover fare alcuno sforzo. Dal primo sorriso che gli ho porto, la mia espressione non é cambiata nemmeno per un istante, e mentre realizzo questa cosa, non fa più così tanto freddo.