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Un boato accoglie la squadra di Mario che entra in campo quasi per ultimo.
Il suo cognome, SERPA, è stampato sulla maglia e un bel sorriso, sul suo volto.
I giocatori si allineano per darsi una stretta di mano, a pochi secondi di distanza segue il fischio di inizio partita.
Mi sento un pesce fuor d'acqua in mezzo alla tifoseria che grida, fa cori mirati al sostegno della squadra e ne indossa la maglia. Io mi rifugio dietro a tre file di spettatori e, di tanto in tanto, mi sposto verso la fine della rete che divide il campetto dalla tribuna per estraniarmi dalle urla e potermi concentrare sull'unica persona per cui sono qui.
Eh già.

Mario si muove velocemente sotto alla tuta che ondeggia ad ogni suo scatto. Ogni tanto, mentre attende il pallone, scalda le mani con il calore del fiato, e, appena può, passa uno sguardo sulla tifoseria. Io mi sollevo in punta di piedi per far sì che mi noti, ma il risultato è deludente.
A metà del primo tempo la sua maglia inizia a creare delle pieghe scure sul tessuto e il sudore si intravede anche nelle ciocche aguzze dei capelli.
Non smette di correre, dà indicazioni ai compagni e ne riceve a sua volta; gli ultimi minuti del primo tempo volano mentre entrambe le squadre cercano di appropriarsi del pallone per centrarlo in porta.
Mario tenta una scivolata ma la palla finisce di pochissimo fuori, sfiorando il palo. L'azione viene accolta con delle lamentele da parte di qualcuno e da sospiri da parte di qualcun altro, tra i tifosi.

Al fischio che segna la fine del primo tempo seguo Mario con lo sguardo. Con una corsetta si siede in panchina e afferra al volo una bottiglietta d'acqua lanciata dall'allenatore. Allenatore che, dopo pochi istanti, si siede al suo fianco dandogli due colpi sulla coscia a cui lui non sembra dar peso e poi, ancora con la mano ferma sul pantaloncino, inizia a spiegargli qualche azione da fare gesticolando frettolosamente con l'altra.
Le mie mani stringono la rete di ferro senza che me ne renda conto.

Mario annuisce, riconsegna la bottiglietta e si posiziona in campo aspettando l'inizio del secondo tempo.

Senza alcun goal, la partita termina accompagnata ugualmente dall'applauso del pubblico ed io, senza togliere lo sguardo dal campetto, lascio scivolare la mia attenzione sulla panchina della squadra di mio interesse, muovendomi oltre la rete. Il loro allenatore va ad abbracciare tutti i ragazzi; quando arriva il turno di Mario, l'uomo gli dice qualcosa all'orecchio che non riesco a decifrare, Mario gli risponde con una lieve risata assottigliando gli occhi. Il sangue ribolle nelle mie vene.

Mi faccio spazio tra la tifoseria mentre i giocatori escono di scena. A fatica raggiungo l'uscita del campetto, in mente quel sorriso rivolto a quell'...uomo.
Con una mano estraggo le chiavi della macchina dalla tasca del giubbino, premo il pulsante per sbloccare le portiere ma una mano nel frattempo si posa sulla mia spalla.

"Già vai?", la voce di Mario risuona dietro di me e non riesco a non voltarmi.

"La partita è finita.", dico, sperando di non sembrare stronzo, anche se dalla sua faccia non ho avuto molto successo.

Posa il borsone a terra. "C'è qualcosa che non va? Non ti è piaciuta la partita?", la sua incertezza fa capolino nella voce.

Sospiro. "No Mario, anzi, mi ha fatto veramente tanto piacere essere venuto qui.", sorrido nello stesso momento in cui i miei occhi incappano su una goccia di sudore che scorre sul collo di Mario. Lotto con tutte le mie forze per mantenere un respiro regolare.

"Allora, se non hai altro da fare, posso chiederti se ti andrebbe di andare a fare un giro per Verona? Sarò sincero con te, a parte la strada che porta da casa mia all'Urban Cafè, non conosco nient'altro di questa città..", ammette ridendo.

Un magone sorge sul mio petto e la vista per un po' si annebbia all'idea di me e lui in giro per Verona. "Ma..", tentennò un po, "Si, non c'è problema", confermo.
E quando mi ricapita?

Il suo sguardo si riempie d'euforia.
"Allora vieni dentro, dai, almeno non stai da solo.", punta l'indice sullo spogliatoio, "Faccio una doccia veloce e sono pronto".

Deglutisco. "D-devo.. Entrare?", seguo con il mio indice la direzione del suo dito.

"Sì, ci sono i miei compagni di squadra. Non si scandalizzano, tranquillo.", mi fa segno di seguirlo, e, come uno scemo, lo seguo davvero.

Più teso di un tronco mi muovo verso lo spogliatoio. Una volta entrato, e resomi conto che tutti sono appena usciti dalla doccia -con tanto di goccioline ancor sul petto- fingo di non vedere nulla se non i loro volti. Mario mi presenta, qualcuno già mi conosce essendo di Verona e la cosa rende tutto ancor più imbarazzante.

Mi siedo sul limite di una panca. Mario toglie i vestiti, il mio sguardo fisso al muro è alquanto ridicolo. Fisso e rifisso la stessa piastrella senza muovere mezza pupilla.

"Torno subito.", dice posando i vestiti su una sedia.

Deglutisco mentre apre la porta che separa lo spogliatoio dalle docce. Ma cosa cavolo sto facendo?
Continuo a fissare il muro fingendo di non ascoltare i discorsi dei compagni di squadra di Mario, discorsi su cosa faranno sta notte, fantasticando su quante "tipe" proveranno a racimolare.

La mia testa si fa sempre più pesante al solo pensiero che, oltre il muro a cui è poggiata la mia testa, sotto al getto d'acqua calda della doccia, c'è Mario.
Stuzzico continuamente il ciuffo in testa con le dita, tirando i capelli e arricciandoli più volte.

La piastrella sembra diventare piccola, poi grande, poi di nuovo piccola, poi offuscata.
Ponendomi l'obbligo di non pensare a niente, passo le dita sulle palpebre, non appena le tolgo davanti a me appare un asciugamano bianco che cammina.

Mario a torso nudo, con i capelli gocciolanti e munito di un altro asciugamano appeso sulla sua spalla, si accomoda sulla panca di fronte alla mia. Alzo gli occhi al cielo, mi impongo nuovamente di n o n p e n s a r e.

La piastrella torna a fissarmi ma la tentazione di lasciar andare gli occhi dove vuole la mente diventa impossibile da sostenere.
Un impulso spinge il mio occhio più in basso rispetto a dove mi sono imposto di guardare.
Intravedo il bianco del panno che circonda la vita di Mario.

Mi costringo nuovamente a far ciò che è giusto fare: La piastrella.

L'asciu..

Piastrella.

L'asc..

La piastrella.

L'asciuga..

Mario.

Le sue dita sull'asciugamano.

L'asciugamano che scompare.

La piastrella.
La piastrella.
La piastrella.

La notte e Il giorno • Claudio Sona e Mario SerpaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora