Scendo dall'auto con l'unico intento di entrare in casa, perciò cammino veloce con passo deciso verso il portone del palazzo.
Certo, dopo il tonfo della portiera, che Mario mi stia raggiungendo, clicco il tastino sulla chiave e, alle mie spalle, con due lampeggi la macchina si chiude.Senza voltarmi percorro gli scalini della prima rampa. Ancora incurante delle domande e dei lamenti di Mario, termino la seconda. Giunto alla fine della terza rampa di scale schiavo la porta del mio appartamento, lasciandola accuratamente semiaperta.
"Si può sapere cosa ti è preso?", sbotta Mario correndo sugli ultimi gradini.
"Cosa le è preso.", lo correggo una volta dentro, dandogli le spalle mentre sfilo il giubbetto e lo posiziono sull'attaccapanni.
In quell'istante di silenzio immagino un sopracciglio alzato sulla sua faccia, accompagnato da un'espressione inerme.
"Sono il tuo datore, no?", mi volto verso di lui, guardandolo negli occhi, "Allora facciamo sì che tutto sembri veritiero".
Mi avvicino al divano, sposto due cuscini, sprofondando sulla seduta. Provoco Mario distogliendo ancora una volta lo sguardo dal suo, concentrandomi sul telecomando e poi sulla televisione, che dopo nemmeno mezzo secondo si spegne.
"Perché hai spento la TV?", chiedo con un finto tono scocciato.
"Numero uno: non ti darò mai del "lei". Numero due: sarai pure il barista più gnocco d'Italia ma al contempo sei anche il più stronzo.", dice a colpi di fiatone, "E a me non piacciono le persone stronze."
Gesticola usando le mani come se fossero lame.
Sono sicuro che se non fossi il suo datore, mi avrebbe già mandato a quel paese molto spiccio."Ah sì? E allora perché mi hai seguito fin quassù?", lo provoco nuovamente.
"Eh?", domanda sconcertato alla ricerca di spiegazioni.
"Premesso che non sono stronzo~", puntualizzo, "avresti potuto prendere una taxi e tornartene a casa, invece hai deciso di seguire ogni mio passo, non sapendo dove stessi andando.", gli faccio notare.
Alza gli occhi al cielo.
"Senti, cosa vuoi da me?" Si avvicina con fare piuttosto brusco."Cosa voglio io?", mi guardo attorno enfatizzando ogni movimento per fargli capire che non sono io il pesce fuor d'acqua, non sono io quello che ha fatto capolino a casa del suo "datore di lavoro" senza nemmeno chiedere "permesso".
"Smettila. Okay?", mi punta il dito contro.
Ormai siamo a qualche centimetro l'uno dall'altro.
Flette le ginocchia davanti al divano, facendo sì che i suoi occhi siano di fronte ai miei.
"Se sono qui è perché tu mi hai condotto qui. Volontariamente o involontariamente, che sia". Fa una pausa, poi ricomincia con una voce cauta, scura, sensuale: "Non mi piacciono questi giochetti scemi, ma soprattutto, non voglio gioc.."L'istinto mi sovrasta.
In un attimo faccio combaciare le mie labbra con le sue, morbide, delicate, e, a primo impatto, impacciate. Un mix che rende il tutto completamente nuovo, intrigante, mentre risulta assolutamente stuzzicante il solletico che creano i nostri baffi e la nostra barba che si incontrano per la prima volta.
Il suo respiro irregolare porta qualche sbuffo sulle mie labbra, cosa che mi fa sorridere."Non mi prendere in giro, mi hai fatto fare tre rampe di scale.", mi rimprovera con un sorrisetto per poi far ripiombare la sua bocca sulla mia.
Posiziono una mano sulla sua nuca avvicinando ancora di più i nostri visi. Percorrendo la linea del suo collo faccio scivolare il mio indice sul retro di esso, a ridosso del piercing, stuzzicandolo."Smettila.", ammonisce, fissandomi.
"No.", do un colpetto sulla sua fronte con la mia, continuando a far roteare e tirare leggermente il piercing.
"Smettila.", mi ripete con gli occhi lucidi.
Faccio segno di negazione con la testa e per tutta risposta ricevo un ulteriore bacio, ancora più profondo e stuzzicante. La forza delle sue labbra, per quando domata, mi costringe ad inclinare la schiena indietro, obbligandomi a poggiarmi sullo schienale del divano. Mario posa le sue mani sulle mie cosce sollevandosi leggermente per raggiungermi, portandosi avanti per non interrompere il momento.
Sembro un bambino alla scoperta di un nuovo giocattolo. Lascio che Mario prenda il sopravvento dei miei sensi, bloccandomi sul divano e proseguendo nell'abile lavoro delle sue labbra sulle mie.
Talvolta si allontana, imprimendo qualche bacio sull'incavo del collo per poi risalire e posizionarsi sul mio tatuaggio con tre stelle, probabilmente trovandolo intrigante. Talvolta invece si spinge verso l'orecchio, afferra con i denti il mio orecchino e lo tira scrutando con la coda dell'occhio il mio volto.
Il suo ginocchio nel mezzo delle mie gambe e una mano che preme sul mio fianco come a dirmi di restare fermo.
Allungo la mia mano sul dorso della sua lasciando che il mio pollice accarezzi il dorso e le sue dita.Riporta il suo viso sul mio, senza baciarmi però. La voglia di farlo supera ogni mia aspettativa ma più mi avvicino più lui si allontana, compiaciuto.
Provo a fermare il suo movimento posizionando nuovamente la mia mano dietro al suo collo, ma sta volta riesce a sfuggirmi alzandosi in piedi prima che le mie dita siano capaci di afferrarlo."Domani a che ora devo andare al bar?", si volta mostrandomi le spalle.
Non riesco a dire niente. Resto ammutolito e del tutto privo di forze, confuso e un po' irritato dal fatto che si sia staccato da me.
"Farò il turno pomeridiano, se lei lo approva. Altrimenti non esisti a chiamarmi.", chiude la porta e i suoi passi rimbombano per la tromba delle scale.
Mi scatta l'embolo appena percepisco che mi abbia dato del "lei" quando fino a trenta secondi prima mi stava baciando.
Poi se n'é andato così, di punto in bianco, senza una parola carina, senza spenderne nemmeno una su ciò che ha provato.
Resto per tutta la notte sul divano, raggomitolato in una coperta, senza chiudere occhio.
La percezione del suo volto a due centimetri da me, il suo respiro sulla mia pelle e il ricordo della morbidezza delle sue mani mi fanno rabbrividire ogni istante di più.
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La notte e Il giorno • Claudio Sona e Mario Serpa
FanficQuando faccio per rispondere al suo sorriso, mi rendo conto di non dover fare alcuno sforzo. Dal primo sorriso che gli ho porto, la mia espressione non é cambiata nemmeno per un istante, e mentre realizzo questa cosa, non fa più così tanto freddo.