CAP.7 DA SOLA

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Continuavamo a camminare e a cambiare vagone,i passeggeri dei vagoni più avanti erano altrettanto pieni di ragazzi .Li stavo contando:8
Avevamo già passato 8 vagoni, pieni ognuno di 46 ragazzi.
Alcune volte mi fermavo a guardarli. Li fissavo negli occhi,ma subito dopo passavo il mio sguardo a qualcun'altro.
Come una palla che rimbalza dalle mani di un giocatore a un altro,il mio sguardo continuava a cambiare la direzione,la persona,il soggetto.
Ogni volta che ci spostavamo da una carrozza a un altra e percorrevamo l'intercomunicante mi saliva un groppo in gola. Prima della partenza mi ero documentata sulla struttura dei treni .Mi ricordo che le carrozze viaggiatori odierne sono normalmente del tipo a carrelli, ognuno dei quali comprende una coppia di assi, per un totale di quattro. Sono di lunghezza media di 26 metri per circa 4 metri d'altezza massima dal piano del ferro e 2,8 metri di larghezza. Quando mi ripetevo in mente queste cose ,mi accorgevo di quanto potessero sembrare inutili ,ma ormai quando me ne accorsi le avevo già imparate a memoria. Mentre, invece, quando ci fermammo me ne resi conto. Avvertì alla spalla un dolore meno forte,più debole .La ferita aveva smesso di sanguinare. La sentinella aveva mollato la presa e ora stava cercando di aprire una porta chiusa a chiave di fronte a noi. Un formicolio istantaneo mi percosse tutto il corpo. Anche l'altra guardia stava facendo la stessa cosa. Cercava di aprire un 'altra porta. Ci volevano dividere. Ognuno per conto suo. Vedevo il ragazzo,a un paio di metri di distanza, impaurito.Goccioline di sudore li scendevano lentamente sulla fronte.Aveva le guance rosse e si mordeva le labbra. Era terrorizzato da quello che ci stava accadendo. Respirava affannosamente e sempre più veloce. Quando si accorse di essere osservato ,mi guardò ricambiando.Aveva un espressione imbarazzata. Un ciuffo li cadde sulla fronte mentre il viso si arrossava ancor di più.
Furono solo pochi secondi,ma abbastanza da capire quel che voleva dirmi. Con la bocca mimò il numero 23.
Non sapevo cosa volesse dire e non avevo il tempo per capirlo.
Il vigilante girò la maniglia con estrema delicatezza,quasi da non fare alcun rumore.
In quel momento la porta davanti a noi si aprì leggermente.
Chiusi gli occhi,strizzandoli.
Non volevo sapere cosa si celasse al di là. Non volevo rimanere lì. Volevo solo poter ritornare indietro.

Non di nuovo.
No.
No.
No.

Mi girai di scatto e iniziai a correre. Il vigilante mi afferrò il polso per bloccarmi,ma io lo strattonai e mi liberai. Era il momento di prendere le redini al cavallo. I piedi mi facevano male. Le suole delle scarpe battevano sul pavimento piastrellato.
Correvo sempre più veloce. Entrai in diversi vagoni e ogni volta accelleravo la velocità. Sentivo i passi delle guardie risalire da un vagone all'altro. Grida e urla provenivano da i vagoni che lasciavo alle mie spalle.Dovevo seminarli. O c'era qualcosa che mi avrebbe permesso di nascondermi?

Non si può sempre scappare,bisogna anche fermarsi a ragionare.

Le parole di mio padre me le ricordavo sempre.Piccole perle di saggezza mi riafforavano nella mente.Mi mancava tanto la mia famiglia.Mi mancavano gli sguardi dolci e comprensivi di mio padre,la voce squillante, ma gentile di mia madre.Mi mancavano i numerosi litigi con mia sorella.Mi mancavano i miei amici.Mi mancava tanto puffy,il mio gatto.Avevamo dovuto lasciarlo a casa perché ci avrebbe impedito di scappare velocemente. Avrei dovuto lasciarlo lì per poi non rivederlo più .L'ultima volta che l'ho visto ,prima di uscire di casa,stava seduto sopra una coperta stesa sul mio letto.Rannicchiato su se stesso dormiva. Era dolce. Avevamo detto alla nostra vicina ,un po anziana,di accudirlo durante la nostra assenza. Io avevo insistito con i miei genitori nel non voler lasciare il nostro gatto a una povera cieca ,ma loro continuarono negli ultimi mesi a ripetermi che sarebbe stato piú felice e più sereno nel starsene a casa .Così addolorata ,avevo dato tutte le indicazioni sul cibo e su come avrebbe dovuto occuparsi di lui. Sapevo che non l'avrei più rivisto,ma la sola speranza di ritornare un giorno a Londra mi sollevava. Piansi. La nuova generazione aveva causato troppa sofferenza . Una rabbia mi ribolliva dentro. Mi stava uccidendo. Mi avevano lasciato da sola .
Non avevo nessuno. Ero sola.
Sapevano solo rovinare.
Spezzare.
Strappare.
Uccidere.
Ricacciai indietro le lacrime e proseguii.Enrata nel sesto vagone mi guardai in giro.
Non avrei potuto continuare così,dovevo mischiarmi agli altri ragazzi.Non vidi nessun posto libero.Un calore mi avvampava in pancia.Decisi di continuare a cercare. Non potevo arrendermi.
Cambiai vagone e nel settimo trovai un posto libero. Si trovava al centro e 1 ragazzo e due ragazze stavano sedute a guardare fuori il panorama.
Nuvole bianche avevano coperto l'intero cielo azzurro. Ora era completamente bianco. Bianco come la neve,come il nulla.Arrivata da loro mi sedetti con tanta fretta che non ebbi nemmeno la cortesia di chiedere se quel posto era vuoto .Non mi importava.Ora era mio. Poi però mi sorse un dubbio.
Perché mai ci dovrebbe essere un posto libero al centro di un vagone?
Era già di qualcuno quel posto, probabilmente. Sarà stato di un ragazzo perché se c'erano due ragazze e un ragazzo mancava un maschio. Io non ero un maschio. Mi misi il cappuccio della felpa per nascondere i capelli biondi ,ora ancora più scompigliati. Il ragazzo me vicino mi disse a bassa voce :"non puoi restare qui ,il nostro compagno è andato in bagno. Sta per tornare. Alzati!"
Io lo guardai sconcertata. Pensavo fossimo tutti dalla stessa parte ,ma continuavo a sbagliare. Lo fissai per diversi secondi senza dire una parola poi alla fine dissi:"Io resto qui a questo posto e il tuo compagno probabilmente è morto".Mi feci scappare un sorriso. Continuai:"Non ti puoi alzare ,per nessun motivo. Fidati,esperienza".Li indicai con la testa la spalla ,che aveva preso un colorito violastro intanto. Era immobilizzato ,mi studiava la ferita .Aveva gli occhi a mandorla, marroni e il naso a patata. Aveva un viso rotondo,i capelli neri erano arruffati. Con uno scatto veloce si alzò e disse a gran voce :"È qui la ragazza!"
Lo fissai arrabbiata.Cosa cavolo aveva in mente. Maledizione. Le guardie del vagone subito dopo arrivarono , mi fecero alzare dal sedile e puntando le armi sul mio petto mi chiesero di allontanarmi.Scavalcai le gambe del ragazzo e rimasi ferma nel corridoio con gli occhi di tutti puntati su di me.Non era certo quello il mio piano. Mi portarono fino alla fine del vagone dove ero stata portata precedentemente. Arrivata lì mi accorsi che il ragazzo visto poco prima non c'era più. La guardia che invece mi teneva il polso ,adesso mi guardava con occhi pieni di disprezzo.Mi presero dalle spalle e mi spinsero nella stanza che si nascondeva dietro quella misteriosa porta.
Sentii chiudersi una serratura.Mi girai di scatto e iniziai a cercare di aprire la porta. Niente. Era bloccata.
Mi avevano chiuso dentro.
Iniziai a urlare picchiando coi pugni la porta. Quando le energie si esaurirono mi calmai accosciandomi a terra .Ero stanca di essere rinchiusa. Iniziai a singhiozzare,ma poi quei singhiozzi si rivelarono solo un interrotto pianto. Da lì fino a quel momento non mi ero ancora guardata attorno. Mi alzai a fatica e iniziai a camminare nella stanza. Era completamente rivestita di ferro arrugginito. A terra era stato appoggiato al pavimento un materasso senza fodera e senza alcun tipo di coperta .Accanto al materasso era affiancato un vassoio con sopra un bicchiere di acqua e un pezzo di pane integrale.
Sicuramente volevano farmi patire la fame. Mi avvicinai all'unico finestrino non completamente oscurato. Mi  passavano davanti campi verdi .Il cielo adesso stava diventando più scuro anche dovuto al fatto che si stava facendo tardi. Vedevo il paesaggio dissolversi pian piano,come un film fatto scorrere troppo velocemente. Mi sdraiai sul materasso che sarebbe stato il mio futuro letto e iniziai a riflettere. Pensare è facile,riflettere è più impegnativo,ma ragionare è spesso arduo. In quel momento avevo male alla testa e vedevo duplicarsi le poche cose attorno a me. Mi stava venendo sonno. Furono solo pochi i minuti che bastarono per chiudere gli occhi e iniziare a dormire.

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