La mia vita, ormai da quattro anni, girava intorno alle scienze e alla tecnologia.
Dopo aver frequentato un liceo scientifico nella mia città natale -Verona- decisi di intraprendere l'università di fisica qui a Milano.
Mi trovai molto bene, anche se non avevo comunque una vita extra scolastica.
L'unico vero 'amico' che mi trovai fu il professor Genovese, un uomo sulla quarantina, capelli brizzolati e una corporatura abbastanza esile, proprio come la mia.
Mi piacque subito, dalla prima lezione.
"Qui non si gioca a salvare il mondo, e neppure a crearlo. Noi siamo qui per capirlo ed aiutarlo a sopravvivere" si era presentato così. Lo ammiravo così tanto che in tutti i cinque anni non mi ero mai perso una sua lezione.
La sua voce c'è l ho ancora impressa nella mente. Mi sembra di sentirlo ancora parlare, con quel suo forte accento meridionale che quasi non sembrava essere italiano.
Dopo due anni che frequentavo assiduamente l'università il professore mi chiese se volevo fare parte di un suo gruppo di ricerca e io ovviamente accettai. Lavorare con lui era un sogno.
Noi studiavamo i corpi celesti e le loro composizioni, un argomento molto interessante.
Nel corso degli anni mi raccontò che riuscì a prendere, alcune volte pagando somme molto alte, dei piccoli meteoriti Che poi noi controllavamo.
Col tempo alcuni nostri collaboratori se ne andarono e ci lasciarono a lavorare da soli. Il professor Genovese voleva scoprire una qualunque forma di vita, anche un insulso batterio, ma fino a quel momento non trovò molto.
Se sapesse tutte le scoperte che ho fatto durante gli anni successivi mi invidierebbe probabilmente.Torniamo a noi però.
Ero davanti alla mia imponente pila di libri, la fissavo perplesso. Vicino c'erano cinque scatole ancora sigillate e sotto alla finestra altre tre scatole con qualche vestito. Non sapevo proprio da dove iniziare.
Non c'era molto spazio dove mettere quelle cose, l armadio era proprio piccolo e sulla scrivania riuscivo ad appoggiarsi a mala pena il computer.
Non mi ero ancora abituato a quell'appartamento, sopratutto per il fatto di doverlo condividere con qualcuno che non conoscevo e che oltretutto non aveva alcuna intenzione di farsi conoscere. Eppure quel cicciotello ragazzo con gli occhiali rotondi sembrava molto simile a me. Forse anche lui era il "secchione della scuola" oppure lo "sfigato". Chissà quante persone che incontriamo per strada, con cui magari non vogliamo avere a che fare, hanno il nostro stesso passato. Magari il ragazzo con i capelli lunghi e i mille tatuaggi che gira in moto un tempo era stato chiamato "deficiente". Magari la ragazza che ora si riempe di cerone in faccia e che fuma trenta sigarette al giorno, un tempo la chiamavano "balena" oppure "mostro". Molte volte si danno titoli alle persone senza conoscerle, anche noi adulti siamo così, non solo i ragazzini. Anche per noi è facile offendere qualcuno perché ha qualcosa che per noi non è bello o normale. Bisognerebbe pensare di più prima di dire o fare qualcosa. Rovinare la vita di qualcuno con uno stupido nomignolo è così semplice.Mi sedetti sul mio letto a fissare il vuoto. "Forse dovrei vivere di più, e meglio, i miei venticinque anni" pensai. Il mio telefono iniziò a suonare. Una canzone dei Maroon 5 risuonava nella stanza.
《Pronto》
《Anthony, amore, come stai? Non ti fai sentire da un po'!》
《Ciao mamma. Tutto bene grazie, voi?》
《Noi sentiamo tanto la tua mancanza. Quando vieni a farci visita?》
《Facciamo sabato. Ora devo prepararmi per andare all'università. Ti chiamo più tardi》
《...ricordati però》
Mia madre era solita chiamarmi ogni giorno e chiedermi come stavo, se avevo conosciuto qualcuno e soprattutto quando andavo a trovarla. Mi dispiaceva molto non essere più con loro, ma infondo siamo fatti per staccarci prima o poi, però la mamma è pur sempre la mamma.
Erano già le nove memo venti ed il traffico di prima mattina non mi avrebbe permesso di arrivare in orario se fossi partito dopo le nove. Così andai in bagno a sciaquarmi la faccia, mi misi un paio di jeans neri e una camicia blu, il piumino e lo zaino in spalla. Mi chiusi la porta di casa alle spalle e tre clack segnalano che avevo chiuso la grande porta a chiave.
Il tempo era proprio brutto quella mattina. Il gelo passava tutti gli strati di tessuto ed infine arrivava alle ossa. In cielo dei grigi piccioni chiacchieravano tra di loro amabilmente.
L'università non era lontana, mi misi ad aspettare il tram impaziente.
《Buongiorno, ha per caso una sigaretta?》 Un ragazzo biondo e con gli occhi verdi si era messo proprio davanti a me. Aveva una larga tuta grigia ed il piumino sbottonato. Una lunga cicatrice ancora rossa risaltava sulla sua chiara guancia. Rimasi a fissarlo senza dire nulla, come in stato di trans. 《Scusami, è che il tram passa fra poco e in tabacchino c'è una cosa immensa e non posso permettermi di fare tardi》 continuò il ragazzo.
《Mi dispiace ma io non fumo》
《Oh ragazzo fai bene! È un brutto vizio... allora per caso hai una caramella?》
《Certo, tieni》
Restammo lì a guardare la strada e senza dire niente continuammo ad essere dei perfetti sconosciuti che prendono la stessa linea di tram.
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Anthony Bright e la terza specie (IN REVISIONE)
Science FictionANTHONY BRIGHT E LA TERZA SPECIE #20 in Fantascienza --- 2 Marzo 2017 #22 in Fantascienza ---10 Maggio 2017 #29 in Fantascienza --- 9 Maggio 2017 Anthony ha voluto scrivere il libro della sua vita e farlo leggere al mondo intero tramite la mia p...