Capitolo 14

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Sono a scuola. La stessa professoressa di inglese di due anni fa, sta spiegando e nelle occasioni in cui mi guarda, mi lancia occhiate truci. Questa situazione è strana, avevo chiesto a Beatrice se l'arpia insegnasse ancora in questa scuola e lei mi aveva risposto che aveva cambiato scuola,bah. Odio quella prof, così come l'inglese:avevo una pronuncia pessima nella sua materia e non andavo bene in inglese e lei, continuava a farmi leggere testi lunghi, quanto la distanza tra la Terra e la Luna, e a chiamarmi alla lavagna in ogni occasione. Ora sono migliorata, in un paese in cui puoi parlare solo l'inglese, ti adatti, anche se il sentimento che provo verso di lui non è migliorato. Non c'è un motivo preciso, solo non mi capacito che una lingua come l'inglese sia più importante dell'italiano, una lingua discendente dai romani, un impero che è stato padrone del mondo. Ad interrompere i miei pensieri omicidi verso l'inglese è la prof, che esclama alla lavagna, con un ghigno:

-Luce, cara, vieni qui e parlaci un po' di New York, delle differenze, delle usanze, ecc.

Quanto la posso odiare? Ve lo dico io, quella ce l'ha con me. M'incammino sicura verso la prof, ora sono più brava in inglese e non mi fa più paura, mi rivolgo ai compagni, che all'improvviso si sono zittiti e hanno tutti gli occhi puntati su di me. Cerco di parlare, ma non esce alcuna parola, cerco di aprire la bocca per emettere qualunque suono, ma niente, le parole non escono, non so cosa sia, forse l'ansia. La professoressa mi guarda divertita e mi domanda, poco prima di scoppiarmi a ridere in faccia:

-Cosa hai imparato a New York? A stare in silenzio.

Tutti scoppiano a ridere. Fossi stata la ragazzina di anni fa, probabilmente sarei scoppiata a piangere per l'imbarazzo, ma invece, invasa da una rabbia spaventosa, tiro uno schiaffo talmente forte alla professoressa, che cade per terra. Intorno a me non sento più niente, vedo solo la strega che si porta la mano sulla guancia colpita. Fatto questo le giro intorno saltellando e mostrandole il dito medio con entrambe le mani. Sembro una matta, ma continuo a girarle attorno muovendo le mani. Scoppio a ridere, ma a ridere veramente, quelle risate rumorose che ti portano dolore alla pancia. Sento un voce lontana:

-Luce, stai sognando.

Continuo a ridere, finché la voce è sempre più vicina e l'immagine della prof a terra sempre più lontana. Apro faticosamente un occhio e, quando vedo la fonte del rumore alla mia sinistra, che mi guarda divertito, sbuffo rumorosamente e borbotto:

-Hai rovinato il sogno più bello della mia vita.

-Ridevi come un maniaco.

Racconto il sogno a Brad senza tralasciare nessun dettaglio, con gli occhi chiusi, e lui scoppia a ridere.

-Sei incredibile. 

Apro gli occhi e vedo in che posizione siamo. Brad è senza maglietta, osservo il suo braccio sotto al mio collo, e l'altro appoggiato sulla mia vita, mi sta guardando, le mie gambe sono finite sulla sua vita. 

-Come sono finita così?

-Verso mezzanotte hai cominciato a muoverti, borbottavi che non riuscivi a trovare la posizione giusta, quando hai tirato su le gambe e hai usato il mio braccio come cuscino, ti sei addormentata.

-Ah. 

Una cosa da sapere su di me :di notte non riesco a stare ferma, a meno che, come ieri pomeriggio con Cole, non abbia alcuna forza.

-Devo dire che questi pantaloncini ti donano molto. Certo che non si capisce che l'azzurro è il tuo colore preferito. 

Sussurra al mio orecchio, portando una sua mano possente, sull'elastico dei pantaloncini, scendendo, accarezzandomi la coscia nuda.

-Qual è il tuo colore preferito? 

-Non ne ho uno in particolarità sinceramente, ma se dovessi scegliere, il nero, mi da idea di potenza, durezza...in tutti i sensi, tentazione e...

-Stupidità!

-Cosa? No!

Con uno scatto salgo a cavalcioni su di lui e Brad deglutisce. Lo blocco al letto con le mani sui suoi polsi. Mi avvicino al suo orecchio, provocando un leggero movimento sul suo bacino e gli sussurro:

-Si, è il colore della stupidità, è di notte che si fanno le cose più stupide, ti ricordi quella notte nel mese di agosto, quando siete venuti a casa mia nel mio cortile e avete tagliato i fiori che io e mia nonna avevamo coltivato con tanto amore?

Ci tenevo a quei narcisi, li avevo anche chiamati per nome, ero scoppiata a piangere quando la mattina ero scesa per salutarli e avevo trovato solo i gambi. Li hanno sgozzati, le teste erano sparite, e io non ho neanche potuto fargli il funerale. Detto questo mi alzo dal letto, provocando un altro sfregamento involontario sul suo bacino...ops, un rigonfiamento nei pantaloni, quanto mi dispiace. Esco dalla stanza, dopo aver sentito un sei una stronza , dalla bocca di Brad.  


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