IV

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IV

Era il tramonto quando uscii dal supermercato, le maniglie dei sacchetti che premevano sulle mie ferite. Cercai di distrarmi dal dolore guardando gli ultimi raggi solari sparire dietro gli alti edifici della capitale, lasciando tutto nell'ombra.

Avevo salutato mia nonna mezz'ora prima, e già sentivo la sua mancanza. Fortunatamente avrei avuto il giorno dopo libero, quindi avrei potuto passare nuovamente a trovarla. Magari avrei potuto comprarle delle olive, che le piacevano così tanto... Guardai il mio conto sull'Armlet.
"Magari no", pensai afflitta.

Mi diressi in stazione e presi il treno per tornare a casa, pensando a qualche modo per racimolare qualche soldo in più.

***

Davanti a me c'era un'alta rampa di scale. Normalmente non avrei auto problemi, ma le mani mi facevano parecchio male e la sola idea di fare tutto quel percorso mi stringeva lo stomaco. Mandai un messaggio ad Havier, chiedendogli di scendere per aiutarmi con le buste della spesa. Dopotutto era per lui che l'avevo fatta.

Mentre attendevo una sua risposta, iniziai a salire, digrignando i denti e facendo una pausa ogni quattro gradini per riprendermi. Era davvero doloroso.

Quando arrivai all'ultima rampa, rinunciai alla speranza che il mio fidanzato visualizzasse in tempo il messaggio e scendesse ad aiutarmi. Feci un ultimo, grande sforzo e arrivai davanti alla porta del suo appartamento. Con le mani doloranti, suonai il campanello.

Sentii alcuni rumori, poi la porta si aprì e i miei occhi incontrarono quelli verdi di Havier. Indossava una tuta malandata e una maglietta stropicciata. La barba era lunga, incolta, e i capelli castani erano spettinati.

«Oh... ciao Psyche. Sei in ritardo», mi salutò, squadrandomi. Gli sorrisi, impacciata:
«Ecco... ho avuto alcuni problemi con le buste della spesa... ti ho mandato un messaggio, non l'hai letto?»

Lui si grattò la nuca, aggrottando le sopracciglia:
«Uhm, no. Ero impegnato. Vieni, entra.»

Nonostante stessimo insieme da quasi un anno e mezzo, Havi non mi aveva ancora chiesto di trasferirmi da lui. Ma comunque, ogni sera passavo da lui e gli preparavo cena. Aveva perso il lavoro dopo sei mesi che ci conoscevamo e da allora non era più riuscito a trovarne un altro. Per questo lo aiutavo con l'affitto e gli facevo la spesa.

Non appena entrai, uno strano odore mi solleticò le narici. Era molto forte e speziato, ma non riuscivo a capire di cosa si trattasse.
«Cos'è questo odore?», gli chiesi mentre scavalcavo una t-shirt abbandonata per terra. Non era mai stato un tipo ordinato.
«Incenso», mi rispose lui asciutto.
La cosa mi incuriosì:
«E perché...», provai a chiedergli, ma lui mi interruppe:
«Aspetta, queste le porto io», disse, togliendomi i sacchetti dalle mani doloranti. Fu un sollievo.

Gli sorrisi con gratitudine:
«Grazie Havi». Lui annuì e posò tutto sul tavolo della cucina.
«Sai», aggiunsi, «stasera potresti aiutarmi a cucinare», proposi, sperando di ottenere un aiuto da parte sua. Ero terribilmente stanca e quella notte non avevo dormito bene. Ma le mie speranze furono vane:
«Psyche, lo sai come sono fatto, sono un casinista», mi rispose lui, «rischierei solo di rallentarti»
Mi diede un rapido bacio sulla fronte: «Io sono in salotto, chiamami quando è pronto» e si dileguò.

Sospirai, mesta. Nemmeno quella sera mi avrebbe aiutato.

La serata trascorse in fretta. Come sempre, Havier aveva poca voglia di parlare e non appena ebbe finito di mangiare si spaparanzò sul divano. Per un momento pensai di sedermi accanto a lui, ma poi ricordai che detestava essere toccato a meno che non fosse lui a prendere l'iniziativa, e cambiai idea. Lo salutai e mi diressi a casa a piedi, visto che casa mia non era molto lontana.

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