Capitolo 12

38 6 0
                                    

Avevo appena sentito la sua voce, finalmente. Mi sembrava un sogno, uno di quelli da cui non vorresti più svegliarti.
"Dì, qualcosa."
Parlò ancora.
"Ecco... Io..."
Non sapevo cosa dire.
"Ma hai qualche problema? Perché balbetti sempre?"
Chiese. Che stronzetto, non era colpa mia se mi metteva agitazione. Avrei voluto linciarlo, ma aveva quel qualcosa nella voce che lo faceva apparire come un bambino curioso, preoccupato, ma anche strafottente.
"Sempre meglio di Lei che non parla mai."
Dissi inviperita, mettendomi a braccia conserte.
"Non riesco a parlare con te."
Disse come intimidito.
"Cosa intenDe?"
Chiesi curiosa.
"Non sono bravo a parlare con le femmine."
Disse vergognoso. Dio, sembrava proprio un bambino.
"Beh, magari potrebBe iniziare ad imparare."
Dissi dolcemente, per poi sedermi su una poltrona posta di fronte a Lui.
"Come ti chiami?"
Mi chiese dolcemente ed innocentemente.
"Darcy... Tu invece?"
Riflettei sul fatto che nessuno mi aveva ancora detto il Suo nome e pensai di darGli del tu, dato che Lui si rivolgeva così con me e dato che dovevo trattarlo come se fosse un bambino.
"Harry."
Sarebbe stato tenerissimo, se non fosse stato per il fatto che la sua voce era così profonda, roca e dannatamente sensuale.
"Hai un bellissimo nome."
Affermai.
"Vuoi vedere la mia cameretta?"
Mi chiese con voce eccitata, alzandosi. Cazzo quant'era alto!
"O-okay."
Accettai titubante. Percorremmo con agoniante lentezza il tragitto fino alla sua camera. Arrivammo davanti ad una porta in legno scuro, che Lui si affrettò a spalancare. Accese una luce, anche quella era fioca, ma più luminosa rispetto alle precedenti. Mi feci strada nella stanza subito dopo di Lui e quello che vidi mi lasciò interdetta. La stanza era come divisa in due, una parte totalmente in ordine e l'altra completamente in disordine, poi era piena di giocattoli, peluche... Sembrava la camera di un bambino. Lui era lì, al centro della stanza, sulla linea immaginaria che separava le due aree. Ispezionai a fondo, il Signor Jackson mi avrebbe dovuto delle spiegazioni piuttosto esaurienti su tutto ciò. Mi diressi verso la parte in disordine, era davvero un macello. Fogli sparsi sul pavimento insieme a colori e libri, giocattoli fuori posto, peluche su metà del letto lanciati a caso.
"Che casino! Dovresti mettere tutto a posto, bisogna prendersi cura di ciò che si ha."
Dissi iniziando a raccogliere qualcosa dal pavimento per riporla al posto che, immaginavo, gli appartenesse. Lui era ancora fermo lì, non si era mosso più di tanto, si era solo voltato nella mia direzione.
"Perché ci tenevi così tanto a sentire la mia voce?"
Mi chiese improvvisamente.
"Semplice curiosità."
Dissi con un'alzata di spalle, riponendo un libro nello scaffale.
"E vorresti anche vedermi e toccarmi adesso?"
Mi chiese mentre Gli ero di spalle.
"Sì, osservarTi attraverso delle tele non è paragonabile all'osservarti con i mie occhi, dal vivo, per poi toccarTi e constatare il Tuo essere reale."
Dissi.
"Siamo da soli, perché non provi a toccarmi?"
Chiese come per capire che tipo fossi.
"Lo farò quando supererò la prossima prova e poi, non mi è concesso avvicinarmi o toccarTi senza il tuo consenso... È scritto nel contratto."
Lo informai.
"Cos'è un contratto?"
Chiese confuso.
"Un insieme di fogli con delle regole e cose varie."
Gli spiegai vaga.
"Mh."
Disse semplicemente. Mi voltai e andai verso di Lui, senza avvicinarmi troppo, ovviamente, lasciando perdere il disordine.
"Posso farTi una domanda personale?"
Chiesi cauta.
"Sì."
Rispose semplicemente.
"Perché?"
Dissi. Lui mi guardò confuso, allora mi spiegai meglio.
"Perché vivi così?"
Chiesi.
"Così come?"
Chiese ancora confuso.
"Così!"
Esclamai allargando le braccia e indicando ciò che mi circondava con gli occhi.
"Perché viVi isolato da tutto e tutti?"
Avevo appena infranto alcune regole del contratto, ma la cosa non mi importò più di tanto.
"Perché mi piace così. Non mi piacciono i grandi e il Signor Jackson ha detto che, se dovessi uscire da qui, comincerei a far parte del mondo degli adulti e non voglio."
Mi confidò.
"Il mondo dei grandi è pieno di tristezza, delusione, responsabilità, ansie, pensieri, preoccupazioni, non fa per me."
Continuò accompagnando le sue parole con un'alzata di spalle. Mi sembrò di sentire la storia di Peter Pan.
"Già, capisco cosa Vuoi dire, ma prima o poi tutti dobbiamo crescere e fare i conti con la realtà."
Dissi.
"Io preferisco il poi, anzi, il mai e a me piace la realtà in cui vivo e che mi sono costruito, è proprio come la desidero. Niente preoccupazioni o responsabilità, nessuno che mi dice quello che posso o non posso fare, niente regole, faccio quello che mi passa per la mente."
Disse buttandosi sul letto a gambe incrociate.
"Sicuro che non desideri nient'altro? E poi questa non è vita! La vita è ben diversa, bambino o adulto che tu sia. E poi, c'è una cosa che ti accomuna al mondo dei grandi."
Lo portai a riflettere.
"E quale sarebbe?"
Chiese.
"La tristezza. Aggiungerei anche la delusione."
Dissi.
"Su quello ci sto ancora lavorando."
Disse timidamente grattandosi la nuca da sopra il cappuccio. Sorrisi intenerita.
"Credo sia ora di andare a letto."
Dissi.
"Non vuoi restare?"
Mi chiese scattando in piedi.
"Domani tornerò."
Lo rassicurai.
"Hai già scelto la seconda prova?"
Chiesi.
"Sì, è già pronta."
Rispose sicuro. Sentii come se avesse fatto un sorriso maligno, la cosa mi fece rabbrividire.
"Allora a domani, buonanotte... Harry."
Dissi dirigendomi alla porta.
"Buonanotte."
Mi rispose con un velo di tristezza nel tono.
Il giorno seguente l'avrei visto davvero, non stavo più nella pelle. Mi diressi a passo svelto nella mia camera, avevo una notte in bianco che mi aspettava.

Il ragazzo dei ritratti H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora