Capitolo 13

33 6 0
                                    

"Pronta Signorina?"
Mi chiese il Signor Jackson. Quella mattina avrei dovuto sostenere la seconda prova, quella che, se l'avessi superata, mi avrebbe permesso di vederlo davvero, finalmente.
"Cosa devo fare?"
Chiesi impaziente e anche un po' preoccupata.
"Dovrà... Mangiare del formaggio."
Disse stranito dalla prova proposta dal suo Padrone, come se per lui non ci fosse nulla di strano o di difficoltoso. Sbiancai.
"Spero stia scherzando..."
Dissi con un fil di voce. Tutto, ma quello no.
"No, nessuno scherzo.... Ha deciso tutto il Padrone."
Bene, lo avrei ammazzato. Riluttante, mi sedetti di fronte a quel coso. Gliene avrei dette di tutti i colori, quello era certo. L'odore era nauseante, ero certa che avrei rimesso anche quel giorno. Lo dovevo afferrare con le mani, portarlo alla bocca, inserirlo in essa, masticarlo e ingoiarlo, facile, no? No, per niente, almeno non per me.
"Avanti Signorina, ce la può fare."
Mi incoraggiò il Signor Jackson. Feci un respiro profondo, afferai il pezzo di formaggio, per fortuna era solo uno, e lo inserii velocemente in bocca, per poi masticare e ingerire. Veloce e indolore, almeno così credetti.
"Ha visto? Non è stato poi così difficile."
Mi fece notare l'uomo al mio fianco. Feci un lieve sorriso, per poi rendermi conto di ciò che era appena accaduto. L'avevo toccato, l'avevo messo in bocca e l'avevo mangiato, tutto ciò mi fece ritornare la nausea, anche più forte, a tal punto da correre nuovamente al lavello per rimettere.
"Quando potrò incontrarlo?"
Chiesi ,dopo essermi pulita le labbra, lavata per bene le mani e fatto degli sciacqui con del collutorio che mi diede il Signor Jackson, anche se io avevo optato per la candeggina.
"La sta già aspettando."
Disse sorridente. Io, in confronto a lui, parevo un cadavere, non ci voleva proprio la cosa del formaggio, stavo già male di mio.
Mi diressi davanti alla Sua porta, presente nella solita stanza e bussai.
"Sono io."
La porta si aprì, rivelando la figura alta e nera del giorno prima.
"Vieni."
Disse facendomi segno di seguirlo, fu in quel momento che decisi di incominciare la mia ramanzina.
"Senti..."
Iniziai seguendolo.
"... Quella di oggi è stata troppo! Come ti è saltato in mente?! Eppure ti avevo espresso esplicitamente il mio disgusto verso il formaggio e tu te ne sei totalmente fregato. Okay che devono essere prove e che quindi vuoi mettermi alla prova per capire quanto davvero ci tengo a conoscerti, ma c'è un limite a tutto e tu lo stai davvero superando! Io già non mi sentivo bene, dopo questo io..."
Mi interruppi improvvisamente quando i miei occhi si scontrarono con due pozzi verdi. Presa dalla ramanzina, non mi ero resa conto che eravamo arrivati nella sua stanza, con la solita luce proveniente dalla lampada posta su di un comodino accesa e che lui si era già mostrato. In quel momento, se qualcuno mi avesse detto che la perfezione non esiste, gli avrei sicuramente riso in faccia. Quel ragazzo davanti a me, ne era la prova inconfutabile. I ritratti non gli rendevano affatto giustizia, quel ragazzo era come una divinità scesa in terra per mostrarsi a me, per rivelarmi la sua magnificenza, la sua virilità, la sua supremazia, la sua smisurata bellezza, ma c'era qualcosa in lui che mi riportò alla realtà. Aveva i capelli scompigliati, la camicia bianca sgualcita e leggermente sbottonata, che metteva in mosta alcuni tatuaggi, pantaloni scuri e scarpe, tipo stivaletti, marroncine, consumate sul davanti. Aveva lo sguardo timido ed intimidito rivolto a me, sembrava stesse aspettando con impazienza una mia qualche reazione. Vederlo lì, poco distante da me, mi fece venir voglia di toccarlo,al ché distolsi subito lo sguardo.
"Tutto bene?"
Mi chiese titubante.
"Ecco... è che... io... non credevo che tu..."
Balbettai indicandolo impacciata.
"Non ti piaccio?"
Disse con tono triste, sembrava potesse scoppiare a piangere da un momento all'altro.
"Sì! Cioè no... Voglio dire, sei un bellissimo ragazzo."
Stavo andando nel pallone.
"Allora perché non mi guardi?"
Domanda, ahimè, sensata.
"Se ti guardo, mi vien voglia di toccarti e non posso."
Spiegai sincera.
"Perché no?"
Chiese.
"Devo superare ancora la terza prova."
Gli rammentai.
"E poi... Mi sembri il tipo che ha bisogno di prepararsi psicologicamente e mentalmente, prima di affrontare qualcosa."
Spiegai cercando i suoi occhi.
"Tu non sei pronto, oggi, ad essere toccato da me."
Parlai ancora. In quel momento i nostri sguardi si incontrarono. Era una tentazione irresistibile, ma non dovevo cedere, non potevo.
"Come mai hai dei tatuaggi?"
Chiesi curiosa, anche per cambiare discorso, guadagnandomi uno sguardo confuso da parte sua.
"Intendo quei disegni sul tuo corpo."
Mi spiegai meglio.
"Il Signor Jackson dice che sono un modo per raccontare la nostra storia, senza il bisogno delle parole. Dice anche che sono un modo per rendere indelebili determinati avvenimenti della nostra vita, un modo per ricordare con più chiarezza anche le cose che magari vorremmo dimenticare, ma che sappiamo faranno sempre parte di noi, saranno sempre un pezzo della nostra storia che, per quanto possa essere forte il nostro desiderio di cambiarla, resterà immutabile."
Spiegò osservando i tatuaggi in vista. Rimasi stupefatta, commossa, era davvero bello quello che aveva trasmesso il Signor Jackson al ragazzo di fronte a me.
"Sono pienamente d'accordo con lui."
Dissi rivolgendogli un sorriso dolce.
"Anche tu ne hai?"
Mi chiese, spostando il suo sguardo su di me.
"Sì, giusto qualcuno."
Ammisi.
"Me li fai vedere?"
Mi chiese con gli occhi che gli brillavano.
"Ehm, non credo sia il caso..."
Dissi.
"Dai, se tu mi fai vedere i tuoi, io ti faccio vedere i miei."
Disse di rimando. Sapevo che se si fosse spogliato, il mio autocontrollo sarebbe andato a farsi fottere e l'impulso di toccarlo avrebbe vinto.
"Magari domani, eh? Domani io ti faccio vedere i miei e tu mi fai vedere i tuoi, okay?"
Cercai di rimandare.
"Okay."
Disse sconfitto, sbuffando.
"Prima hai detto che non ti senti bene, cos'hai?"
Mi chiese preoccupato, avvicinandosi di qualche passo.
"Nulla, solo un po' di mal di testa e stanchezza, ci sono abituata."
Dissi cercando di far sembrare la cosa meno grave di quel che era.
"Vuoi riposarti?"
Mi chiese premuroso.
"Magari."
Dissi con un sorriso flebile, passandomi una mano dietro al collo. Ero davvero a pezzi.
"Perché non ti stendi un po'?"
Mi propose indicando il suo letto. Okay che sarebbe stato come addormentarsi nel letto di un bambino, ma il bambino in questione aveva almeno vent'anni.
"Allora? Prometto che non ti farò nessuno scherzo."
Disse con occhi sinceri. Cautamente mi avvicinai al suo letto, dalla parte sfatta, senza mai distogliere lo sguardo da lui. Mi sedetti, per poi togliermi le scarpe, stendermi e mettermi sotto le coperte. Mi rigirai finendo nel mezzo del letto, raggomitolata, in posizione fetale. Durante tutto ciò, lui non mi staccò gli occhi di dosso.
"Posso mettermi accanto a te?"
Chiese cauto. Ci pensai un po' su, osservandolo attentamente. Ero troppo stanca per preoccuparmi di cosa potesse fare.
"Va bene... In fondo è il tuo letto, sono io l'intrusa."
Gli feci notare. Lui sorrise e si sistemò accanto a me, sopra le coperte.
"Non hai freddo?"
Gli chiesi.
"No, affatto."
Disse indifferente, come se il gelo presente colpisse solo me. Pensai che fosse abituato, viveva lì da tempo, forse troppo.

Il ragazzo dei ritratti H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora