Dalla mattina in cui Frollo aveva pregato la gitana di ucciderlo, egli non era più tornato nel suo studio. La ragazza ignorava completamente dove fosse e non le interessava nemmeno. Sperava, anzi, che non la cercasse più.
Ogni giorno, però, quell'uomo affidava a Quasimodo un cesto pieno di viveri perché glielo portasse e lei potesse mangiare; la sera le faceva portare una bacinella in legno, piena di acqua calda e, insieme ad essa, sempre vestiti puliti. Esmeralda pensò che il gobbo doveva volerle davvero molto bene se si preoccupava così tanto per lei, ma non sapeva che non era opera sua, che lui non era che un tramite.
Un giorno, poi due, tre. Quei piccoli riti si susseguirono per qualche tempo. La zingara si sentiva più a suo agio senza la presenza dell'arcidiacono e, molto in fondo al cuore, lo ringraziava per averla lasciata in pace. Eppure c'era un pensiero che continuava a tormentarla... Quegli occhi scuri che l'avevano guardata in quel modo, quegli occhi che la supplicavano, ancora prima delle parole, di farla finita. Un tremito le scosse la schiena e lei si affrettò a chiudere la finestrella che dava sullo stanzino, attribuendo l'accaduto all'aria fresca proveniente da fuori.
Solo al quinto giorno la gitana sentì dei passi, diversi da quelli di Quasimodo, risalire gli scalini della torre, del suo nuovo nido.
Claude Frollo entrò nel suo studio come una furia, completamente dimentico della ragazza che, per la paura nel vederlo così, si rintanò sul letto, aderendo completamente al muro contro cui si trovava e chiudendosi istintivamente a riccio.- Non va! Non va! -
Urlò l'arcidiacono, con il viso sfigurato dalla rabbia. Le sue guance erano rosse, ma la pelle era più pallida del solito. Grosse occhiaie gli circondavano gli occhi spalancati. Egli gettò un tomo sulla scrivania, con violenza, facendo cadere ampolle piene e vuote, che si infransero sul pavimento. Con esse caddero anche appunti, disegni e altri piccoli oggetti.
- Dove sto sbagliando, dove? -
Sibilò, sopraffatto dal furore. Strinse i denti e i pugni, piantandosi le unghie nei palmi. Prese poi un respiro profondo, cercando di calmarsi. Allora si piegò sui vetri rotti, guardandoli con occhi da rapace. Poteva lasciarsi cadere su di essi, mettere fine a tante cose. Da tempo ormai l'alchimia non riusciva a dargli più soddisfazione, da tempo le sue preghiere non erano più accorate come avrebbero dovuto. Si sentiva svuotato di tutto, pieno di niente se non di amarezza.
Scosse la testa, lasciando perdere per un attimo i vetri e i liquidi sparsi sul pavimento, solo per farsi cadere sulla sua sedia dall'alto schienale. Lì si massaggiò una tempia, tenendo la testa piegata verso destra e il gomito sul bracciolo. Sospirava spesso, mentre la sua mente correva da un pensiero all'altro, senza senso logico.- Me tapino... -
Sussurrò, chiudendo gli occhi.
Li riaprì quando sentì una presenza accanto a lui, vicino alle sue gambe. Esmeralda lo aveva raggiunto ed era piegata a raccogliere ciò che lui aveva fatto cadere. Frollo si sentì avvampare di vergogna. Aveva fatto quella scenata davanti a lei! Per un attimo il suo pensiero aveva abbandonato la mente dello sventurato e quello era stato il risultato.- No, lascia stare, ti farai del male. Ci penso io. -
Esmeralda alzò la testa verso di lui. Nei suoi occhi il prete vide la paura, ma anche una forza nuova, che non seppe identificare.
- Perdonami, non volevo... -
La fece alzare e lei continuava a rimanere muta. Lui ridacchiò piano, alzando un sopracciglio.
- Ma come, hai perso la lingua? E dire che prima cantavi sempre. -
Sul viso di lei scese un velo scuro. La piccola si alzò e tornò ad accoccolarsi sul letto, guardandolo fisso. Lui allora abbassò la testa. Aveva dimenticato quanto fosse doloroso sentirsi guardare così o, almeno, era riuscito a non pensarci, dedicandosi anima e corpo alle funzioni nella cattedrale, ai suoi studi e a poche altre cose. Raccolse il disastro che aveva fatto, velocemente. Lasciò che i vetri gli lasciassero minuscoli tagli sulle mani e che le sostanze che contenevano li facessero bruciare. Non avrebbe mai usato pene corporali su di sé, come il cilicio o la frusta, ma quella era una buona alternativa.
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Odi et Amo
RomanceUna " What If...? ", nel caso in cui Esmeralda avesse preferito salvarsi la vita, piuttosto che la forca. Dal testo: - Ah! Il tuo corpo! - Rise amaramente lui - Cosa me ne faccio di un involucro? Amare il corpo e non lo spirito è una cosa che farebb...