IV

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Il tormento nel cuore del prete crebbe di  giorno in giorno. Cercava di distrarsi con qualche lavoro manuale volto a  sistemare quella casa che lo aveva accolto da piccolo e che ora  necessitava di piccole sistemazioni, sopratutto il giardino. Non aveva  mai svolto faccende del genere e gli fu difficile imparare da solo, ma  tutto ciò serviva a tenerlo occupato, almeno qualche ora al giorno.
Se i suoi pensieri non andavano a quelle cose, volavano verso la  Esmeralda, lei che ormai era una costante nella sua vita. La sognava e  lei, in sogno, non faceva che torturarlo con una mano, mentre con  l'altra lo carezzava e lo addolciva. Lui la lasciava fare, lasciava che  gli straziasse il petto, fino ad arrivare al cuore che, inesorabilmente,  poi stringeva tra le mani e faceva a pezzi. Frollo si svegliava sempre  sudato e ansante, scosso. Non mancava ad animarlo un certo desiderio di  vederla finalmente nuda davanti a lui, sotto di lui. Quelli erano i  pensieri più subdoli, perché lo coglievano improvvisamente, senza un  reale motivo. Non sapeva mai se fosse tutto frutto di un suo  ragionamento o di un sogno. Si trovava a combattere con sé stesso una  guerra già persa in partenza, lo sapeva. Si sentiva schiacciato da  quelle sensazioni a lui sconosciute, ma anche dalla paura di poterle un  giorno, soffocato dal desiderio, fare del male. Ma lui, oh no, non era  così, non si sarebbe abbassato al livello di quello stupido soldato.  Aveva sbagliato, lo riconosceva, quando tempo addietro aveva cercato di  prenderla con la forza. Ancora se ne rammaricava così tanto...
C'era in lui in amore che faceva male, che lo scindeva in due, spaccato tra dolore e felicità.
Così turbato si era allora distaccato dalla ragazza, ma quella freddezza  che usava con lei non rendeva le cose più facili, anzi, sembrava  accendere in lui un fuoco ancora più forte, gli faceva ribollire il  sangue nelle vene, lo faceva sospirare continuamente. Come era possibile  che quella zingara lo avesse gettato in un simile abisso, dove l'unico  pensiero fisso era sempre lei? Lei, con quelle sue labbra, quelle sue  mani... Se solo avesse potuto sentirle ancora sul proprio petto!
Esmeralda, dal canto suo, si era accorta di come l'uomo tentasse in  tutti i modi di evitarla. Quasi non le parlava, se non per salutarla  quando usciva. Tutto ciò la lasciava sempre confusa, non sapendo cosa  passasse realmente nella mente del suo salvatore e carceriere. Di tanto  in tanto, quando erano nella stessa stanza, vedeva in quegli occhi scuri  passare una saetta di lussuria, una fiamma che accendeva le gote del  prete, ma che, successivamente, sembrava mitigarsi e sciogliersi in  qualcosa di più gentile, dolce. La piccola cominciava a soffrire della  poca attenzione che lui le riservava. Voleva sapere di più, capire cosa  gli succedesse, così da sapere come affrontare la situazione - anche se  in parte era soprattutto la curiosità di una ragazzina. Era una falena  attratta dalla luce, ma Esmeralda sapeva che avrebbe potuto farsi del  male avvicinandosi a quella fonte luminosa, che per lei era  l'arcidiacono.
Nei giorni che seguirono dopo il loro  arrivo, Esmeralda, però -complici il luogo incantevole e la pace  che vi regnava -, in cerca di attenzioni, aveva cominciato a sentirsi  più tranquilla e quindi volle cercare di conoscere meglio colui che  l'aveva sempre terrorizzata, che poi aveva scoperto non essere altro che  un animo straziato.
Quel giorno lo aveva visto uscire poco dopo l'ora Terza e non aveva  resistito a seguirlo. Si era chiesta dove andasse! A volte lo aveva  sentito, prima dell'alba, alzarsi per recitare qualche preghiera, almeno  così aveva intuito. Una volta lo aveva anche spiato dalla sua  finestrella che dava sul giardino dietro la casa. Lo aveva sentito  uscire e poi visto accovacciarsi lì, tra l'erba, osservando le stelle e  la luna, probabilmente Dio.
La gitana indossò il mantello che lui gli aveva procurato, questa volta  adatto a lei, e si preparò a seguirlo. Lui fece lo stesso, ma non si  calò il cappuccio sul viso come aveva sempre fatto. La ragazza attese  che fosse uscito per iniziare a seguirlo. Era piuttosto brava in quel  genere di cose.
Proseguendo a debita distanza dietro di lui notò come conservasse ancora  la sua postura retta e fiera, ma sembrasse molto più rilassato rispetto  a quando lo aveva visto a Parigi. Esmeralda riconsiderò le proprie  opinioni: non lo trovava più brutto, anzi, forse era quasi attraente,  particolare. Passata la paura gli occhi vedono le cose più chiaramente,  non è sempre così? Si crede di vedere un'ombra, di sentire una voce nel  buio della notte, poi, prestando maggiore attenzione, ci si rende conto  che le ombre non sono altro che rami di alberi e le voci il vento che  soffia.
Camminarono a lungo, lui non si voltò mai indietro, fino a quando non  giunsero ad un piccolo villaggio. C'era qualche bottega, una chiesa, una  locanda e patecchi banchetti in legno, poco prima delle case, che  vendevano le merci più disparate. La ragazza rallentò fino a fermarsi  davanti ad uno di essi che vendeva orecchini, bracciali e strani ninnoli  che tintinnavano. Lei si tolse il cappuccio e prese ad osservarli con  curiosità e adorazione. Brillavano così tanto e ai suoi occhi erano i  gioielli più belli che avesse mai visto. L'uomo che stava al di là del  banchetto la osservò con una certa ostilità. Quella pelle scura non era  mai un buon segno.

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