VII pt.2

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Le settimane successive a quella notte d'amore erano state piacevoli per  entrambi. Passavano quasi tutta la giornata insieme, tranne quando  Claude Frollo era costretto a recarsi in paese per svolgere quello che  ormai era diventato il suo lavoro. Conosceva bene le erbe e la medicina,  per questo, nonostante la diffidenza, le persone si rivolgevano a lui.  Era necessario anche per procurarsi quel tanto di denaro che bastasse  per mangiare. Nonostante tutto avevano trovato, la zingara e il prete,  il loro posto nel mondo, l'equilibrio giusto. Tra i due ne gioiva molto  di più l'uomo, il cui cuore sembrava essersi acquietato, finalmente.  Dormire accanto ad Esmeralda era per lui fonte di grande gioia, come lo  erano le lunghe passeggiate o le sere passate a chiacchierare - seppur  fosse lui a parlare per la maggior parte del tempo.
Aveva scoperto una nuova vita e, sorprendentemente, gli piaceva. Era  totalmente diversa dalla vita che aveva condotto precedentemente, ma ora  si sentiva libero, pieno, completo. Di tanto in tanto con la mente  tornava alla sua cattedrale, al suo figlio adottivo, al ricordo del  fratello e allora cominciava a provare una certa dose di nostalgia per  tutti i riti giornalieri che svolgeva, per i suoi studi e il suono delle  campane. Ma poi vedeva il sorriso della Esmeralda e allora tutto si  dissolveva, allo stesso modo in cui evapora l'acqua gettata sul fuoco.
Anche la gitana sentiva la mancanza della Corte, dei balli nelle piazze  e, soprattutto, della sua dolce e adorabile Djali, ma la presenza di  Frollo le bastava, lui che era diventato la sua nuova famiglia. Si  bastavano l'un l'altra.

- Esmeralda... -

L'uomo la chiamò, mentre preparava un unguento profumato con alcune  erbe. Teneva gli occhi fissi sul pestello, eseguendo movimenti decisi  con le mani. Lei gli si accostò subito, sorridendo. Si sedette di  slancio sul tavolo, facendo dondolare le gambe ed osservando il suo  interlocutore.

- Ditemi! - 

La sua voce era squillante. Il sospiro appena accennato dal prete, che  non preannunciava mai nulla di buono, le fece corrugare le sopracciglia.  Non era uno dei suoi sospiri tormentati, ma comunque la rese inquieta.

- Ditemi. - 

Ripeté con tono più basso, posandogli una mano sulla spalla, mentre con l'altra tormentava il proprio amuleto.

- Posso farti una domanda? È da qualche tempo che mi tormenta. -
- Certo. Potete chiedermi quello che volete, lo sapete. Così mi fate preoccupare... - 

L'arcidiacono si umettò le labbra, smettendo per un attimo con quello  che stava facendo per poter guardare la ragazza negli occhi. Le  poggiò una mano su una guancia, accarezzandola piano, per poi  intrecciarsi attorno alle dita le ciocche dei suoi capelli corvini.

- Perché mi ami? - 

Quella domanda, fattale con quel tono così accorato, come quello di un  bambino che non capisce, riuscì a sorprenderla. Non era il genere di  domanda che si aspettava e, in tutta sincerità, non sapeva cosa  rispondere. La zingara si lisciò la gonna, sporgendo in fuori il labbro  inferiore.

- Non saprei dirvi. C'è forse un motivo per cui amare? -
- Ma che cosa ho mai fatto io per farti innamorare di me? Io povero  curato a Notre Dame e tu... Tu magnifico essere, angelo più bello di  tutto il Creato. -

Esmeralda sorrise dolcemente e gli appoggiò una mano sul petto. Solo lui sarebbe stato capace di dire certe cose.

- Temete forse non sia amore? -
- Temo possa essere il tipo di amore che provavi per quel giovanotto. -

Lei scosse la testa.

- No, questo no. È una cosa molto diversa, lo sento dentro. L'amavo  intorno, quel suo aspetto da Dio, la sua armatura lucente, ma non sapevo  non avesse nulla dentro. Con voi, invece... Provo qualcosa che riesce a  darmi i brividi. Qualcosa di profondo, che non riesco a comprendere del  tutto, ma so che al vostro fianco mi sento sempre felice, al sicuro e  amata. -
- Anche dopo le cose che ti ho fatto? -
- Siete umano e sbagliate come tutti. Clopin lo diceva sempre: l'uomo non è uomo senza errori. - 

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